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Inni cristologici /4 (Col 1,15-20)

Ogni cosa porta in sé l’impronta del primogenito

Cristo redentore a Lisbona, Portogallo. Foto in CC di Motoki Tonn su Unsplash.

Fin dalle origini, le comunità cristiane hanno compreso l’identità e la natura di Gesù Cristo, e le hanno descritte in testi belli e densi di significato.
Nell’inno cristologico di Colossesi 1,15-20, Paolo pone al centro il Cristo, creatore e salvatore.

Una delle Chiese alle quali l’apostolo Paolo fa arrivare l’annuncio del Vangelo, anche tramite le sue lettere, è quella di Colossi: una comunità ben organizzata che celebrava regolarmente le assemblee liturgiche in casa di Ninfa e di Filomene.
Come accadeva alle altre Chiese, anche a Colossi esisteva un problema legato ad alcuni falsi maestri che cercavano di indurre i cristiani a tornare a certe pratiche di sapore pagano come ricorrenze settimanali, noviluni, culto degli angeli, in opposizione alla fede nel Dio unico e alla salvezza proveniente dal Crocifisso. Paolo ammonisce i colossesi e li esorta a bandire tali pratiche. E lo fa riaffermando la centralità di Cristo nell’ambito della creazione e sottolineando la sua insostituibile mediazione per la redenzione e il perdono dei peccati.

Creatore e salvatore

Ci associamo a quanto ha detto Papa Benedetto XVI nell’udienza generale del 4 gennaio 2006 a proposito di questo testo: «L’inno […] è incorniciato da un’ampia formula di ringraziamento (cfr. Col 1,3.12-14). Essa ci aiuta a creare l’atmosfera spirituale […]. La lode sale a ”Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo” (v. 3), sorgente di quella salvezza che è descritta in negativo come “liberazione dal potere delle tenebre” (v. 13), cioè come “redenzione e remissione dei peccati” (v. 14). Essa è poi riproposta in positivo come “partecipazione alla sorte dei santi nella luce” (v. 12) e come ingresso “nel regno del Figlio diletto” (v. 13)».
L’inno può essere diviso in due parti. La prima (vv. 15-17) descrive il Cristo e il suo ruolo nella creazione; mentre la seconda (vv. 18-20) mostra la mediazione del Figlio nella redenzione.
Le due strofe ricalcano, quindi, due realtà teologiche: la creazione e la salvezza.

Cristo immagine

In questa puntata leggiamo la prima parte (vv. 15-17): «Egli è l’immagine del Dio invisibile, primogenito di tutta la creazione, perché in lui furono create tutte le cose nei cieli e sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili: Troni, Dominazioni, Principati e Potestà. Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte in lui sussistono».
Cristo è l’unico mediatore per la creazione. L’autore dell’inno vuole presentare il primato assoluto del Figlio.
L’attenzione del lettore, dunque, deve mantenersi costante sulla persona del Cristo. Tutto ruota attorno a lui.
Egli è «l’immagine del Dio invisibile», cioè «figura», «immagine materiale e ideale». Egli è la manifestazione di una realtà invisibile. L’invisibilità di Dio prende forma percettibile nel volto del Cristo (cfr. Gv 14,9).
Papa Benedetto XVI, nel testo citato, nota che l’immagine esprime «non tanto la somiglianza, quanto piuttosto l’intimità profonda col soggetto rappresentato».
Lo stesso lessema «immagine» (eikon) viene usato nelle formule della cristologia paolina (cfr. 2Cor 4,14) e rimanda al testo di Gen 1,26-27, dove si afferma che Dio creò l’uomo a sua immagine e somiglianza. Lo si trova inoltre nell’elogio alla Sapienza esaltata come «immagine della sua [di Dio] bontà» (cfr. Sap 7,26).
Nel contesto dell’inno, il termine «immagine» esprime l’intimo e intenso rapporto che Cristo ha con il Dio invisibile, e si pone come ponte tra noi e lui, rendendolo un Dio visibile e percepibile.
Lo scopo di questa mediazione sta nel fatto che Cristo vuole renderci capaci di sentire il suo amore paterno, che si manifesta poi nella redenzione, nella remissione dei peccati (Col 1,13), nella riconciliazione (Col 1,20) e nella partecipazione al suo regno (Col 1,13).

Cristo primogenito

La seconda caratteristica assegnata al Cristo dal versetto 15 è quella di «primogenito di ogni creatura».
Il termine «primogenito», applicato a Cristo, indica, non solo che egli è il primo dei fratelli, ma anche che gode di una relazione privilegiata con il Padre, derivata dall’essere generato da Lui.
L’idea della generazione del Cristo trova il suo retroterra in quella della Sapienza creata, generata prima di ogni cosa, e mediante la quale Dio ha creato tutte le cose (cfr. Prov 8,22-26).
La posizione primaria di Cristo appare anche in altri passi del Nuovo Testamento: Rom 8,29; Eb 1,6; 11,28; 12,23; Ap 1,5.
Sia Paolo che la tradizione paolina applicano il termine «primogenito» sempre al Cristo: in Rom 8,29 è in relazione ai molti fratelli; in Col 1,15 il termine si riferisce a Cristo quale mediatore di tutte le cose create; infine in Col 1,18 si riferisce a «quelli che risorgono dai morti».
In una parola, dunque, il Cristo è «primogenito» per il fatto che è prima di ogni cosa e superiore a tutte le cose create.

Le funzioni di Cristo

I versetti 16 e 17 descrivono le funzioni del Cristo nei confronti della creazione. Egli è la causa esemplare, la causa finale e, infine, il principio di coesione di ogni realtà creata.
Tutte le cose sono state create in lui, per mezzo di lui e in vista di lui (v. 16). Nell’atto di creare, Dio ha avuto Cristo come modello, come prototipo di ogni singola realtà. L’attività creatrice di Dio è in armonia con il modello: tutto è forgiato perché portasse impresso il sigillo di Cristo.
Allo stesso modo, quanto viene all’esistenza, trova in Cristo il suo scopo finale: tutta la storia, sia delle persone che del cosmo, ha un fine preciso, e cioè il suo proprio modello.
Tutto va verso di Lui, che non sarà raggiunto fino a quando non si riconoscerà la sua impronta su ogni cosa. Ne consegue che Cristo deve diventare per noi il punto fisso di riferimento, il motivo della nostra esistenza.
Il cosmo intero deve lasciare trasparire l’impronta di Cristo.
Questa sua presenza estensiva gli conferisce autorità nei cieli e sulla terra.
Si sa che nella Bibbia due estremi esprimono una totalità: dunque, i cieli e la terra rappresentano tutto il creato: tutti gli esseri che si trovano in cielo e in terra hanno una diretta relazione con Cristo. Niente è lasciato a sé: né le cose visibili, cioè quanto cade sotto la nostra esperienza sensoriale, né le invisibili, cioè tutte le cose che sfuggono alla esperienza immediata della persona.
Nessuna realtà creata, sia visibile che invisibile, può rivendicare un ruolo autonomo dal primogenito o estraneo a esso.
Niente, dunque, può sfuggire all’autorità e signoria cosmiche di Cristo (cfr. 2,10.15). Egli è il principio in cui tutte le cose hanno vita, esistenza e coesione: senza la sua presenza e la sua impronta, tutto cadrebbe nel nulla del non senso.
La prima parte termina con un’affermazione riassuntiva.
Cristo «è prima di tutte le cose e tutte sussistono in lui».
A questa espressione fa eco il primo versetto del prologo del Vangelo di Giovanni: «In principio era il Verbo», che significa: quando tutto ebbe il suo principio il Verbo era già lì.
L’inno, tuttavia, aggiunge che tutte le cose sussistono in lui: la permanenza in esistenza di tutto il creato, quindi, dipende da lui.
Se questo è vero, la nostra risposta dovrebbe esprimere un impegno indefettibile nel cercare Lui in tutte le cose.
In sintesi possiamo concludere che, per l’inno di Colossesi 1,15-20, il Cristo è il principio di coesione di tutte le cose, il mediatore, e la destinazione verso cui converge l’universo.

Qualche domanda

  1. Sono cosciente di una tale dignità e autorità di Cristo?
  2. Cosa provo se penso che ogni cosa che esiste porta in sé l’impronta del primogenito?
  3. Che primato dò io al Cristo nella mia vita di cristiano e testimone della risurrezione?

di Antonio Magnante

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