
Nel villaggio di Rabour, in Kenya, non c’è acquedotto e la popolazione usa l’acqua piovana o di sorgenti naturali. I missionari della Consolata hanno già realizzato un pozzo, ma per rendere accessibile l’acqua pulita c’è bisogno di una pompa (sostenibile perché alimentata a energia solare) e di serbatoi nuovi.
Il progetto Amico Kenya, energia per l’acqua aiuterà a migliorare la qualità della vita della popolazione locale.
Rabour si trova nella contea di Kisumu, zona centro occidentale del Kenya, poco distante dal lago Vittoria e a circa 100 km dal confine con l’Uganda.
È una piccola comunità rurale immersa nella bellezza naturale della regione ma segnata da gravi difficoltà socioeconomiche. La gran parte delle persone praticano agricoltura di sussistenza e vivono una condizione di grande povertà, aggravata dai fenomeni atmosferici a volte estremi.
Le famiglie, in larga parte della comunità etnica Luo (che convive con minoranze Kamba, Kikuyu, Luhya), vivono con meno di due dollari al giorno, coltivando mais, manioca, fagioli e patate, e commerciando piccoli beni nei mercati locali.
I servizi pubblici sono minimi, l’accesso all’acqua pulita è sporadico e le piogge – spesso causa di inondazioni – sono al tempo stesso una benedizione e una minaccia.
Accesso all’acqua
In questo contesto operano da otto anni i missionari della Consolata, responsabili della parrocchia di San Giovanni XXIII, un punto di riferimento non solo spirituale ma anche sociale per circa 1.700 fedeli, per le sei comunità sparse nei villaggi circostanti, e per tutta la popolazione locale, che in totale conta circa 4mila persone.
Qui, tra celebrazioni e attività pastorali, i missionari lavorano quotidianamente per migliorare la vita della popolazione, offrendo sostegno concreto a chi vive ai margini.
Uno dei problemi più urgenti che si trovano ad affrontare è quello dell’accesso della popolazione all’acqua potabile: per bere, cucinare, lavare.
In assenza di acquedotti pubblici, la maggior parte delle famiglie dipende dall’acqua piovana o da fonti naturali insicure. L’acqua contaminata è spesso all’origine di malattie, in particolare tra bambini e anziani. Cosa che rende ancora più difficile una realtà sanitaria già compromessa dalla grande diffusione dell’Hiv/Aids, e dalla generale scarsità di opportunità per curarsi.

Il progetto

La parrocchia, per anni, ha raccolto l’acqua piovana in grandi serbatoi, costosi e, spesso, insufficienti. Nel 2024, grazie alla collaborazione con l’organizzazione non governativa locale «Stawisha dada», i missionari della Consolata hanno realizzato la perforazione di un pozzo.
Tuttavia, il sistema di pompaggio manuale installato è molto faticoso, e risulta impraticabile per anziani e bambini, e poco funzionale per servire la crescente domanda della comunità.
Per questo hanno pensato di installare un impianto a energia solare per alimentare una pompa che fornisca acqua potabile in modo efficiente e sostenibile, e l’acquisto di nuovi serbatoi per migliorarne la conservazione e la distribuzione.
L’acqua pompata verrà utilizzata per bere, cucinare e lavarsi, migliorando le condizioni igieniche, riducendo l’incidenza di malattie e liberando tempo ed energie – in particolare per le donne – che potranno essere dedicate a lavoro, studio o cura dei familiari.
Il progetto sarà gestito dai padri Martin Omondi Oluoch e André Nzuzi Mabiala, missionari della Consolata, insieme a un comitato locale, con una struttura trasparente e un sistema di manutenzione garantito dalle offerte della comunità.
Aiutare Rabour non significa solo portare acqua, ma portare dignità, salute, speranza a un’intera comunità.
di Luca Lorusso
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Luca Lorusso
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