Slow page dei Missionari della consolata

Cambiare abitudini. 

Davvero il cambiamento ambientale passa soltanto dalle decisioni dei grandi poteri o possiamo contribuire anche noi, con le nostre piccole e forse banali scelte quotidiane a modificare il senso di marcia del nostro pianeta?

La domanda finale, retorica fin che si vuole, che Maurizio ci propone alla fine dell’articolo, dovrebbe farci riflettere più di quanto siamo soliti fare. Davvero il cambiamento ambientale passa soltanto dalle decisioni dei grandi poteri o possiamo contribuire anche noi, con le nostre piccole e forse banali scelte quotidiane a modificare il senso di marcia del nostro pianeta?

Possibile che non si risolva mai nulla? Possibile che gli atti necessari per riequilibrare la situazione traballante del nostro piccolo pianeta siano impossibili? Gli annunci allarmati della comunità scientifica internazionale non allarmano nessuno. Il mondo dell’economia guarda con disgusto ogni regolamentazione, i politici fanno annunci, il popolo si inebria con l’aggettivo «nuovo» per dimenticare le vecchie frustrazioni della quotidianità.

Perché il presidente statunitense Barack Obama, considerato un potenziale ambientalista, si impantana negli inutili vertici internazionali e riesce, come tutti i suoi vituperati predecessori, al massimo, a partorire un «ci penseremo poi»?

Il meccanismo è perverso. L’uomo più potente del mondo che ha dato più speranze, non solo nel campo della tutela della vita, compresa la nostra, sul pianeta terra, non fa nulla.

E tutti a dire: ecco, il solito racconta balle. Dovrebbe fare questo, quello, quell’altro e  quell’altro ancora.

Lui dovrebbe fare. Il Governo dovrebbe fare. Gli scienziati dovrebbero fare. Il mio vicino di casa dovrebbe fare. Il mio cane dovrebbe fare. Io no. Io vado bene così. Anzi, io cosa posso fare? Nulla.

Quale relazione tra il frigo debordante di cibo che finirà nel pattume e Barack Obama?

Nessuna? Come può un uomo solo far cambiare le abitudini di centinaia di milioni di uomini che non vogliono, assolutamente, cambiare abitudini? Siamo tutti degli irresponsabili quindi? Purtroppo il problema è che tutti navighiamo in un mare di letame, ma fingiamo di trovarci bene (o magari ci stiamo davvero?).

Non si può avere percezione di un problema se non ne provi i sintomi. È come quando hai una malattia fatale e stai benissimo. Capita, non te ne accorgi, non è un problema. Oppure quando fumi come un turco e sul pacchetto sono scritte le peggiori minacce: morte, pelle secca, denti marci… Però fumi lo stesso perché ti manca la «materialità» del problema e, le parole del predicozzo, sono appunto solo parole che se ne vanno come i colpi di vento. L’indomabile istinto umano ad agire in ciò in cui crede e conosce. Nessuna novità da Platone in avanti: le idee sono una cosa, la realtà decisamente un’altra.

È interessante constatare come si accusino i giovani di non rispettare le regole quando il mondo «adulto» ha un comportamento totalmente irresponsabile. Gli adolescenti estremi di oggi non sono che il frutto del nostro esempio. Ha scritto Erich Fromm che l’essere umano è l’unico animale che si trova male nell’ambiente naturale. Forse viene da qui questo istinto necrofilo? Questo insaziabile desiderio di distruggere tutto ciò che porta vita? Oppure, si vuole dire che un capannone sopra un prato crea ricchezza?

Lo stile di vita odierno, definito occidentale in senso lato, prevede un consumo perpetuo ed accelerato. Per salvare questo modello ci siamo inventati le tecnologie più disparate. Tutte hanno fallito. È vero, a Londra non c’è più la nera nebbia data dai fumi di carbone, ma ci sono le polveri sottili e, in generale, tutto l’ecosistema si trova nella situazione più critica da millenni a questa parte. La comunità scientifica, esclusa qualche voce isolata e spesso derisa, racconta il problema ma non la soluzione. Perché la soluzione, dicono, potrebbe essere dolorosa: perdita di posti di lavoro.  Quando capiremo che dobbiamo fare tutti un passo indietro? Che stiamo distruggendo non solo il futuro delle prossime generazioni ma anche il nostro? Il cambiamento non può che passare dall’uomo comune, dalla sua voglia di vivere. Lavoriamo tanto per poter distruggere con più foga e convinzione. Questo è il progresso?

Maurizio Pagliassotti

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