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Punti fermi sull’Africa.

In un’ora di grandi cambiamenti per il continente, alle prese con problematiche, speranze, sfide antiche e nuove, per cercare di capire è più utile individuare dei "punti fermi" che inseguire la cronaca.
Quelli che ci propone l’autore di questo libro, uno dei grandi saggi africani contemporanei, possono essere particolarmente illuminanti.

Autore: Ki-Zerbo Joseph
(1922-2006), originario del Burkina Faso, animatore della lotta anticoloniale e poi leader dell’opposizione nel suo paese, è il padre della storiografia africana e uno dei maggiori intellettuali africani del Novecento. Numerose le sue opere. Ebbe un ruolo preminente nella direzione della "Storia generale dell’Africa" dell’Unesco.
 
Contenuti:
La storicità dell’Africa, la sua identità, lo sviluppo endogeno, l’unità africana, il continente nella mondializzazione: sono i temi dei cinque saggi dello storico burkinabè riuniti in questo volume postumo.
In un’ora di grandi cambiamenti per il continente, alle prese con problematiche, speranze, sfide antiche e nuove – si pensi al ruolo della Cina, alla lusinghiera crescita macroeconomica di alcuni paesi africani, alla diffusione delle colture destinate ai biocarburanti, al fenomeno del land grabbing, alle emigrazioni di massa -, per cercare di capire è più utile individuare dei "punti fermi" che inseguire la cronaca.
Quelli che ci propone l’autore di questo libro, uno dei grandi saggi africani contemporanei, possono essere particolarmente illuminanti.

anno: 2011
formato: 14×21
pagg. 272
euro 15,00

INDICE

Introduzione, a cura del Ceda, 11

Prima parte – LA STORICITÀ DELL’AFRICA

1. L’Africa, culla e speranza dell’umanità, 25
2. Storia e coscienza negra, 35
3. Storia e sviluppo, 58

Seconda parte – L’IDENTITÀ AFRICANA

4. Le identità culturali africane, 79
5. Le identità, l’identità: verso l’Unione africana, 103
6. La pertinenza della scuola rispetto alla società africana, 112

Terza parte – LO SVILUPPO ENDOGENO

7. Lo sviluppo endogeno come rimedio alla pauperizzazione del Burkina Faso, 135
8. Ubuntu, ovvero "l’uomo come rimedio all’uomo", 145
9. Africa: la sfida della ripresa economica e dello sviluppo accelerato. Prospettive storiche, 159

Quarta parte – L’UNITÀ AFRICANA

10. Le tre dimensioni di un’integrazione autentica, 193
11. Integrare significa camminare verso noi stessi, 211
12. Intellettuali africani, nazionalismo e panafricanismo: una testimonianza, 222

Quinta parte – LA MONDIALIZZAZIONE

13. La mondializzazione per chi?, 245

Riferimenti bibliografici, 269
 

PRESENTAZIONE

Punti fermi sull’Africa
di Joseph Ki-Zerbo

 
Punti fermi sull’Africa (Repères pour l’Afrique) è, presso le Edizioni Panafrika Silex/Nouvelles du Sud, il primo volume di una serie di scritti inediti di Joseph Ki-Zerbo. Egli ha scritto testi molto noti nel campo della storia (Storia dell’Africa nera), dell’educazione (Éduquer ou périr), dello sviluppo (La Natte des autres), dell’ambiente (Compagnons du soleil); questi libri rappresentano solo una piccola parte della sua produzione intellettuale.
Specialista di storia africana, insegnante, uomo di cultura, militante politico, Joseph Ki-Zerbo si è espresso a vario titolo attraverso un gran numero di articoli in giornali e riviste, conferenze, interviste e discorsi, tutti latori di numerosi messaggi, ed è un dovere portare questi messaggi a conoscenza delle nuove generazioni. A tal fine, il Ceda (Centre d’études pour le développement africain, Centro di studi per lo sviluppo africano, con sede a Ouagadougou, Burkina Faso) ha ideato il progetto "Histoires d’Afrique", centrato sulla persona e l’opera di Joseph Ki-Zerbo.
Il progetto "Storie d’Africa" si articola in tre fasi, di cui due sono già state realizzate. La prima consisteva nella produzione di una trasmissione radiofonica sul tema dell’educazione in Africa in una prospettiva storica ed è stata realizzata da Dunia in cooperazione con la radiotelevisione belga.
La seconda ha visto la produzione di un film documentario di 52 minuti sul tema "Identités-Identité pour l’Afrique» (Identità, sia al singolare che al plurale, per l’Africa). Realizzato dal regista Dani Kouyaté e prodotto dal Ceda per Sahelis Production, il film è stato presentato nel corso dell’edizione 2005 del Fespaco (Festival panafricano del cinema di Ouagadougou) dove ha vinto il premio dell’Uemoa, l’Unione economica e monetaria dell’Africa occidentale.
La terza fase riguarda la capitalizzazione dei fondi documentari. L’operazione si svolge in tre tempi. Il primo, indispensabile per il futuro, consiste nella raccolta e salvaguardia degli scritti di Joseph Ki-Zerbo, in particolare mediante un deposito presso gli Archivi nazionali del Burkina Faso. Un’indagine, ancora non esaustiva, ha permesso di stilare un elenco di 334 documenti attinenti ai seguenti campi: storia, politica, società, cultura/educazione, economia/sviluppo, ambiente. Purtroppo, ad oggi sono stati raccolti solo 194 documenti.
Il secondo consiste nel pubblicare, dopo una lettura sistematica dei documenti raccolti, il maggior numero possibile di titoli, organizzati secondo tematiche ben definite.
Il terzo riguarda la diffusione degli scritti presso il più largo pubblico possibile. Non solo i libri che saranno stampati, ma anche la maggior parte dei documenti raccolti saranno a disposizione di tutti grazie alle nuove tecnologie d’informazione e di comunicazione, in particolare attraverso il sito internet del Ceda.
Questo volume introduttivo, Punti fermi sull’Africa, privilegia quattro temi fondamentali che rappresentano quattro costanti del pensiero e dell’opera di Joseph Ki-Zerbo: la storicità dell’Africa, l’identità africana e l’educazione africana, lo sviluppo endogeno, l’unità africana, insomma i quattro pilastri della costruzione dell’Africa. Questi temi s’intersecano da un testo all’altro e possono essere letti senza un ordine cronologico preciso.

La storicità dell’Africa
Far prendere coscienza agli africani del loro posto nella storia umana, non più attraverso quella, servile, alla quale sono stati ingiustamente confinati, è una missione permanente nella quale si sono impegnati predecessori famosi fra cui, per fare un esempio, Cheikh Anta Diop. Joseph Ki-Zerbo fa parte di questa nobile stirpe impegnata ad "arrestare la disfatta della coscienza negra", secondo le sue parole.
Nel testo L’Africa, culla e speranza dell’umanità, leggiamo: «L’Africa ha generato la civiltà umana durante il più lungo periodo della storia del mondo (…) La madre dell’Egitto era la Nubia con i suoi prolungamenti sahariani». Purtroppo, «prelevare dai trenta ai cento milioni dei migliori figli e figlie di un continente come carne grezza per quattro secoli lascia ovviamente tracce, cicatrici permanenti non solo nella dimensione dell’avere, ma anche dell’essere…». Di conseguenza, «occorre sciogliere dalle catene le coscienze e gli inconsci».
Questa maieutica si prolunga nel saggio Storia e coscienza negra, perché «il fatto di riprendere coscienza della propria storia è un segno di rinascita per un popolo». Così veniamo a sapere che ad ogni fase, dalla concezione della proprietà fondiaria fino alla religione e all’estetica, passando per l’organizzazione sociale, «la storia occupa un posto rilevante nella vita tradizionale dei negri… ma la storia dei negri è stata loro brutalmente confiscata». Da qui il pressante appello: «Dobbiamo risalire alle fonti, fino a quelle più remote» e, perché no, fino «alla parentela tra Egitto e attuale Africa nera» e chiarire la questione «dell’anteriorità e del senso della corrente d’influenza». Questo cammino non è altro che una rinascita.
Nell’ottica di questa rinascita, il saggio seguente s’interroga sui rapporti tra Storia e sviluppo. «Si avanza, ma si progredisce davvero? (…) Il problema assillante dei costi umani è al centro della dialettica tra storia e sviluppo. Il principio della storia umana, così come dello sviluppo (e forse anche delle finalità), è la libertà, la non determinazione, l’attitudine alla scelta». Lo sviluppo della storia coincide con la storia dello sviluppo? In effetti, nei contesti e negli ambiti del progredire della storia e/o dello sviluppo, troviamo: la natura e l’ambiente, la demografia, le tecniche e le scienze, i fenomeni culturali e religiosi, la politica e i rapporti di potere.
In vista di «ridivenire soggetti della nostra storia e di realizzare un autosviluppo (endogeno) che sia anche un ecosviluppo, occorre adottare la giusta strategia per raggiungere la maturità storica e il vero sviluppo: realizzare prima l’integrazione africana come condizione di una globalizzazione percorribile e valida». Ma questo non dovrebbe cominciare con la ricerca, con la conquista dell’identità? Eccoci allora giunti a un secondo campo di azione.

L’identità africana
Il saggio Le identità culturali africane intende individuare alcuni punti di riferimento che permettano di porre correttamente il problema dello sviluppo culturale del continente africano. Innanzitutto, l’identità culturale non è una struttura fossile o statica; non è neppure un concetto astratto o un’etichetta incollata dal di fuori.
L’identità culturale è un processo che ingloba il passato e il presente ma anche, potenzialmente, il futuro, perché la cultura è la storia in cammino. L’identità culturale è la vita; è il luogo di una lotta senza esclusione di colpi per la difesa dei valori supremi e l’avvento di una neocultura che dovrebbe essere una sintesi dinamica tra il meglio di noi stessi e ciò che di più prezioso proviene dall’esterno: «sintesi che può prefigurare ciò che sarà il nostro popolo domani».
Dalle molteplici identità africane all’identità africana: questo è il lungo cammino dello sviluppo, definito come «un passaggio da sé a sé a un livello superiore»
. Nel saggio Le identità, l’identità: verso l’Unione africana, l’autore pone «l’identità come base preliminare, fondante e costitutiva». Secondo quest’approccio, «non c’è identità pura, ogni identità endogena vivente è un mix, soggetto a shock, contraddizioni, opposizioni, disfunzioni e conflitti… Così il meccanismo mondiale di sottrazione e di prelievo anonimo di beni, servizi e saperi, aggravato dal gioco speculativo del denaro, non deve essere dissociato dalla gigantesca erosione culturale (una vera apocalisse al rallentatore) che, attraverso la comunicazione, ma anche l’importazione quotidiana di beni industriali dall’estero, sconvolge la loro cultura senza controparte… In effetti, valori come l’alterità, l’integrità, la solidarietà, la fedeltà alla parola data, sono sottoposti a un’erosione, persino a un completo sradicamento».
Da questo punto di vista si pone anche la questione dell’educazione in Africa. Il testo La pertinenza della scuola rispetto alla società africana afferma senza mezzi termini: «Oggi la scuola africana non parte sufficientemente dai bisogni delle società africane nella sfera del vivere, del sopravvivere e delle ragioni del vivere».
In definitiva, in termini di identità africana, «appartenenze molteplici e identità disparate abitano gli individui, i popoli e gli stati africani». Tale situazione esige un’identità africana contemporanea, un’identità motrice, una personalità, un quadro costitutivo.

Lo sviluppo dell’Africa
«Non si sviluppa, ci si sviluppa. Non c’è sviluppo "chiavi in mano". L’unico sviluppo percorribile e valido è lo sviluppo "chiavi in testa"». Così viene definito da Joseph Ki-Zerbo lo sviluppo endogeno. «Non è un ulteriore africanismo né una neonegritudine, è un concetto universale. È un momento preciso di un processo: un misto nella verticalità del tempo tra l’antico e il nuovo e nell’orizzontalità dello spazio».
Tre testi che si completano a vicenda trattano dello sviluppo: dello sviluppo percepito a livello micronazionale; dell’uomo come finalità dello sviluppo; e infine della dimensione continentale dello sviluppo.
Il saggio Lo sviluppo endogeno come rimedio alla pauperizzazione del Burkina Faso mostra l’inanità dello sviluppo valutato solo a livello micronazionale.
La percentuale dei poveri nel Burkina Faso era del 46% nel 2003 ed è in aumento. Numerose sono le cifre e i fatti che disegnano una «diagnosi della paralisi dello sviluppo esogeno imposto al Burkina Faso, che genera non solo povertà ma pauperizzazione».
La si analizza in termini di vittime dell’insicurezza alimentare, di aumento del numero degli agricoltori poveri addetti alle colture alimentari, di abbassamento continuo del livello reale dei redditi rispetto a quello che erano all’inizio degli anni Sessanta, di soppressione di posti di lavoro in seguito a ristrutturazioni e privatizzazioni, di flusso crescente di popolazioni rurali verso le città.
Non ci sarà nessuna possibilità di sradicare la pauperizzazione senza ricorrere all’opzione e alla pratica dello sviluppo endogeno. Ma, nel contempo, si deve subito affermare che non c’è sviluppo endogeno senza la condizione preliminare dell’integrazione subregionale dell’Africa occidentale. «Da solo, il Burkina Faso è una vittima programmata del mercato mondiale».
Il testo Ubuntu o l’uomo rimedio per l’uomo indica l’uomo come finalità dello sviluppo.
«Ubuntu è il collettivo umano solidale, un paradigma, antidoto assiale e specifico alla mercantilizzazione di tutto l’uomo e di tutti gli uomini (…) È in nuce nella matrice dell’eminente dignità della persona».
«Ogni nazione, ogni persona consapevole deve associarsi alla ricerca di un progetto globale che coniughi le acquisizioni della coscienza, patrimonio comune dell’umanità, con la convivialità verso la natura, preistoria dell’uomo, e di fronte ad altri esseri umani, superamento e realizzazione dell’uomo». È in questa problematica che si situa ubuntu, che è innanzitutto il partito preso di difendere l’essere umano come essere culturale.
Non si può esprimere meglio la solidarietà fra tutti gli esseri umani che con queste parole: «Il giovane iniziato mandingo, alla domanda "Chi sei?", risponde: "Non sono niente senza di te, non sono niente senza di loro. Quando sono arrivato, ero nelle loro mani; erano lì ad accogliermi. Quando me ne andrò, sarò ancora nelle loro mani; saranno lì per riaccompagnarmi"». La dimensione dell’ubuntu «è l’espressione di questo voler vivere, non gli uni con gli altri, ma gli uni attraverso gli altri».
Innalzare o raddrizzare la piramide ubuntu: questa è la sfida per l’Africa, esplicitata nel testo Africa: la sfida della ripresa economica e dello sviluppo accelerato. Prospettive storiche.
«La crisi economica non è congiunturale, ma strutturale. Si tratta di una crisi di civiltà per tutti i continenti; ma per l’Africa è anche un problema di sopravvivenza», afferma Joseph Ki-Zerbo, che la colloca nei processi storici fatti di trasformazioni, rotture e continuità positive e negative.
«Ci sono sempre stati cambiamenti positivi, soprattutto prima del dominio coloniale in cui, attraverso trasformazioni economiche e culturali successive, gli africani sono passati dai clan dei villaggi alle chefferies, ai regni e agli imperi. Ci sono state numerose rotture, memorabili o sconosciute, dovute agli africani, dalla tratta atlantica fino all’indipendenza dei paesi africani, in cui alcuni risultati positivi sono stati strappati a fatica da alcuni dirigenti o gruppi sociali».
Ma cambiamenti negativi sono da segnalare in quattro ambiti: la demografia ormai galoppante, l’ecosistema in preda alla deforestazione e alla desertificazione, gli sconvolgimenti alimentari e, infine, la sfera politica e socioculturale, «segnata da un lato dalla centralizzazione monarchica del potere e, dall’altro, da uno smantellamento progressivo degli elementi costitutivi del patrimonio originale».
Fra le continuità positive c’è in primo luogo la presenza di strutture non capitalistiche. «Le strutture precapitalistiche restano qui più fresche e più vivaci». In secondo luogo, si deve notare «la tradizione di lotta, il rifiuto dell’ingiustizia e dell’oppressione. Un caso esemplare di tale continuità nel rifiuto ci è fornito dai popoli del Sudafrica». Sono presenti, tuttavia, continuità negative. Dall’«estrazione del minerale nero (…) passando dallo sforzo di guerra imposto al continente fino alle migrazioni dei lavoratori africani; tutto avviene come se, da secoli, l’Africa assistesse impotente al proprio saccheggio, al prelievo delle sue forze vive». Una seconda costante riguarda «il ritmo lento dello sviluppo scientifico e tecnologico in Africa, e questo problema si coniuga con quello, più globale, della non industrializzazione del continente».
Infine non si deve trascurare il peso di alcuni temi quali la salvezza spirituale, il progresso e lo sviluppo, che sono stati manipolati e hanno comportato, in parte, l’anestesia delle coscienze africane. Questo è avvenuto in tutte le fasi dell’itinerario economico del continente africano, nel quale si possono distinguere cinque periodi.
Il primo periodo va dalle origini fino al XV secolo: l’Africa è quasi interamente padrona delle proprie iniziative. Nel secondo periodo, dal XV al XIX secolo, comincia ad affermarsi il ruolo negativo del continente rispetto al mondo esterno.
Il terzo periodo, dal 1885 al 1945, è l’era della dipendenza diretta e immediata in tutti i campi.
Il quarto periodo, 1945-1973, è quello delle conquiste politiche e ideologiche.
Il quinto periodo, dal 1973 ad oggi, è il tempo delle crisi, segnato da sconvolgimenti ambientali, energetici ed economici.
In termini di prospettive, «tre imperativi possono imprimere all’Africa una svolta qualitativa e positiva: il radicamento nelle proprie culture, l’integrazione africana e lo stato di diritto. Queste sono le condizioni fondamentali, necessarie e sufficienti, per una vera ripresa africana».

L’unità africana
Gli scritti riguardanti l’unità dell’Africa sono incentrati sull’imperativo dell’unità, sulle sue diverse dimensioni e sul ruolo degli intellettuali.
Il testo Le tre dimensioni di un’integrazione autentica, come indica il titolo, propone l’integrazione verticale, l’integrazione orizzontale e l’integrazione sociale o organica.
«La dimensione storico-culturale realizza un’integrazione verticale (…) In effetti, fra la storia cristallizzata di ieri, la storia fugace e inafferrabile del presente e infine la storia anticipata di domani, risiede una delle dimensioni tragiche della condizione umana. Fra questi tre momenti è la coscienza storica a intervenire come catalizzatore, elemento di coerenza, di integrazione e di concretizzazione, senza il quale la nostra personalità sarebbe frantumata. Senza passato, non abbiamo futuro; senza presente non abbiamo passato. Da qui la necessità di riunire gli elementi sparsi dell’identità storica africana, ponendola in sé e in rapporto con gli altri. Chi sono? Da dove vengo? Di chi siamo figli? Di quale civiltà siamo i padri? Altrettante domande a proposito della ricerca dell’anteriorità e, come ultima risposta: sì, l’Africa ha fisicamente, biologicamente, intellettualmente e spiritualmente generato il mondo». La seconda dimensione spaziale ed economica si riferisce all’integrazione orizzontale. «Il progetto storico-culturale, se non è infrastrutturato, rischia di dar vita a un fantasma di identità e di autenticità se la base materiale è inesistente o alienata, smantellata o soggiogata da una cultura da preda che poggia sulle tecniche e su una economia conquistatrici». Il rimedio contro tale rischio è l’integrazione orizzontale. «Il controllo di uno spazio abbastanza ampio è la condizione sine qua non per uno sviluppo africano a misura del XXI secolo, ma anche a misura del nostro patrimonio».
La terza dimensione è l’integrazione sociale o organica. «Occorre accostarsi alla coesione fondata sulla cultura e su quel minimo di coesistenza sociale senza il quale non c’è collettività viabile».
«Delle tre dimensioni dell’integrazione, quella orizzontale e multiforme dovrebbe beneficiare di una priorità di urgenza. La parola d’ordine vitale, oggi, per le nuove generazioni è l’integrazione orizzontale per ritrovare noi stessi».
Integrare significa camminare verso noi stessi. Ripercorrendo le varie dimensioni dell’integrazione e basandosi sugli esempi di alcuni paesi, questo saggio mostra che per tale approccio non esistono modelli. Neppure il nostro passato offre modelli da riprodurre.
Nel testo Intellettuali africani, nazionalismo e panafricanismo, una testimonianza, Joseph Ki-Zerbo, dopo aver dato una definizione degli intellettuali, tratta del nazionalismo, della nazione e del panafricanismo, mostrando come siano logicamente legati. E, sotto questo profilo, egli identifica il ruolo degli intellettuali.
«C’è da un lato, in senso stretto, la collettività degli intellettuali, che è un gruppo ibrido, eterogeneo; e in senso lato, l’intellettuale collettivo, con, ovviamente, azioni e reazioni costanti tra questi due poli (…) L’intellettuale è immerso nella società, immerso nella mondializzazione aggressiva in corso, non può rifugiarsi in una per sfuggire all’altra, ma soprattutto non può richiamarsi all’indipendenza nei confronti del sistema di cui è un meccanismo decisivo (…) Ciò significa che gli intellettuali africani devono essere in prima fila nella responsabilità civica».
E la nazione? È forse troppo presto per la nazione africana, o troppo tardi per «creare il sentimento di appartenenza necessario ad ogni collettività per essere visibile e riconosciuta»? Non c’è nazione senza stato di diritto. «Lo stato di diritto è l’istanza oggettiva dotata di una distanza e di una neutralità minima nei confronti di tutti i cittadini e dei gruppi considerati come uguali». Nel contesto africano è il panafricanismo che dà significato e pregnanza alla nazione.
Almeno per i paesi francofoni, la frattura tra nazionalismo e panafricanismo si è operata in occasione della «falsa scelta» imposta dal colonizzatore tra «l’unità nel sistema coloniale e l’indipendenza nella divisione». Ne risultò di conseguenza «il grande scisma nei ranghi degli intellettuali».
In seguito, a livello dell’Organizzazione dell’unità africana (Oua), «la lotta per il nazionalismo africano è stata sottratta alla lotta per il panafricanismo, e gli intellettuali hanno per la maggior parte accettato, avallato, questa dicotomia fatale». Ma la globalizzazione attuale rende più caduco il micronazionalismo e più imperativo il panafricanismo.
L’impegno dell’intellettuale africano per coniugare nazionalismo e panafricanismo, «il binomio propulsivo della rinascita africana», è duplice, perché «il nazionalismo senza panafricanismo è sprovvisto di significato, e il panafricanismo senza contenuto liberatore è un’assurdità». Peraltro, è «il sapere autentico che dà agli intellettuali la legittimità e la credibilità per mettersi, insieme al popolo, a capo della rinascita africana. Gli intellettuali possono assumere la missione di Iside presso l’Osiride africano».

La mondializzazione
La mondializzazione per chi? è il saggio che chiude questo dossier, un testo che fa appello a un’attenta vigilanza, perché la globalizzazione può generare il meglio come il peggio. «Non c’é una sola mondializzazione, ma più mondializzazioni vissute diversamente da gruppi diversi, secondo processi a volte convergenti e concordanti, a volte discordanti e antagonisti o conflittuali».
In effetti, «non si mondializza innocentemente». A partire dal caso africano, la mondializzazione opera in gran parte secondo meccanismi di inclusione e di esclusione. L’attuale sistema-mondo, nelle sue dimensioni ambientali, demografiche, economiche e culturali, genera un sovrappiù per gli individui e i gruppi a Nord come a Sud.
«Davanti a una mondializzazione fondata su un’alleanza planetaria, si trovano dei ricchi il cui obiettivo è quello di arricchirsi ancora di più, senza limite finanziario, geografico, politico o statale». Che fare?
«I valori del lavoro, dello sforzo, del bene sociale, del sentimento civico di appartenenza a una comunità che deve rendere conto del bene comune, della responsabilità condivisa, del rispetto delle differenze devono ovunque, ma soprattutto a Sud del pianeta, emanare norme sovrane che governino le regole del gioco economico e sociale. Davanti ai mondializzatori, la risorsa fondamentale dei paesi del Sud e degli africani in particolare è la regionalizzazione, la creazione di grandi spazi… La regionalizzazione è la grande realtà dell’inizio del terzo millennio».

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