Slow page dei Missionari della consolata

6 gennaio 1958. Dal TANGANIKA. Lettera del Padre Lorenzo Gobatti I.M.C.

Padre Lorenzo Gobatti, missionario della Consolata, ritratto in AMICO n.1 del 1958.

Pubblichiamo una delle due lettere di Missionari della Consolata che componevano il primo numero di AMICO nel febbraio del 1958.

«50 anni fa….» racconterà la storia di AMICO e, rileggendo le sue pagine, ripercorrerà la storia della missione, dagli anni che precedettero il Concilio Vaticano II fino ai giorni nostri.

Dal Territorio del TANGANIKA (Africa 0. Inglese).
Lettera del Padre Lorenzo Gobatti I.M.C.

Padre Gobatti è un giovane Missionario di Vittorio Veneto. Allievo delle nostre Case Apostoliche, fu ordinato Sacerdote nel 1952. Per quattro anni fu insegnante e vice Direttore dei giovani di ginnasio-liceo nel Piccolo Seminario S. Paolo a VaraIIo Sesia.
Da due anni si trova nel cuore dell’Africa, nella diocesi di Iringa, Missione affidata ai Missionari della Consolata dopo la prima guerra mondiale. Su un territorio di  50000 Kmq appena  cinquantadue Missionari lavorano fra una popolazione di 370000 abitanti, di cui solo 60.000 sono Cattolici.
Ecco le prime impressioni del Missionario ai suoi ex allievi.

Wasa, 6 gennaio 1958

Carissimi Chierici
Grazie dei vostri tanto cari auguri natalizi. Non ho dimenticato alcuno di voi, come di nessuno conservo un poco lieto ricordo. Grazie delle vostre espressioni di riconoscenza per quel poco che ho fatto per voi.
Certo che anche solo dopo due anni d’Africa, le cose si vedono in un modo molto diverso, credetemi. Vorrei dirvi molte cose, dato che ho così poche occasioni di scrivervi.
Voi state camminando ed un senso di sicurezza va formandosi in ciascuno, più vi avvicinate al Buon Dio che vi aspetta a braccia aperte; eppure dovete scusarmi se il ricordo che io conservo di voi è quello dei ragazzoni di una volta, senza preoccupazioni, che mi hanno dato tanti momenti di soddisfazione e, vorrei dire, di gioia. È forse per questo, che non sono ancora riuscito a dimenticarvi.
Sognate l’Africa e qualche migliaio di zucche nere su cui rompere l’aspersorio, ma non dimenticate che l’Africa l’avete sotto i piedi, anche se è la vostra testa per ora su cui dovete battere l’aspersorio perché vi entri tutto ciò che di umano e di divino vi farà bravi Missionari.
Sapete che io non sono un essere complicato e quindi non so farmi bello avanti a voi, quasi mettendomi a modello del buon Missionario. Ringrazio Dio per avere nel mio cuore tutta la buona volontà di esserlo.
Non c’è nulla, credetemi, che vi sarà inutile, e ve lo dico non per averlo sentito dire, ma per esperienza. Conoscete il mio lavoro svolto in Italia. Ed ora in Africa? Sentite.
Faccio mattoni, case, tetti. Faccio il pittore. Devo cavarmela con il camion, trattore, moto e motori. Ho fatto da solo l’impianto completo della luce nella missione con piazzamento dinamo. Come falegname ho fatto uscire armadi, letti,tavolini, sedie manici da scope! Tempro scalpelli e sparo mine, coltivo tabacco, caffè, zucche, fragole, ortaggi d’ogni genere. So cantare, suonare e farmi un buon caffè.
Vi dico questo non per farmi un monumento, ma perché comprendiate che qui non si tratta di scegliere un mestiere: si tratta di essere disposti e preparati a farli tutti. Perciò fortunato chi venendo in Africa saprà già come si piantano i cavoli e con che luna, come si pulisce una candela del motore, come si pianta un chiodo senza pestarsi il dito. Ma mi domanderete: allora via i libri di filosofia e teologia? Sotto con i manuali Hoepli? No, assolutamente no. Non trascurate neppure una riga dei vostri testi di teologia. Gli studi che state facendo vi ricorderanno che anche con un martello in mano e la cazzuola o una chiave inglese, siete Preti e Missionari, e che se piantate tabacco, prima di tutto avete la Fede e l’Amore di Dio da seminare in queste terre. Anche per me quello che vi ho descritto è solo la cornice della mia giornata di lavoro. Nonostante la difficoltà della lingua, la mia occupazione quotidiana è la catechesi dei catecumeni e dei neofiti divisi per gruppi o anche individuale. Ogni mese ed anche più sovente la visita alle scuole-cappelle mi fa sentire Sacerdote e Padre in quegli incontri così simpatici di grandi e piccoli che tutto attendono dal Missionario e che quando meno te l’aspetti ti fanno la domanda: “Padre, e a me il Battesimo quando me lo dai?”. Allora capisci che i tuoi sacrifici cooperano ad estendere il Segno di Dio in questo angolo sperduto dell’Africa.
In quanto ad ottimismo come Andiamo? Intendo un ottimismo che sia soltanto un gradino più del realismo, perché troppo sarebbe illusionismo. Attendere prima di giudicare, perché se oggi giudichi così, domani giudicherai cosà. Soprattutto prima di farti la tua esperienza, necessaria, fidati e appoggiati all’esperienza altrui, risparmierai tempo e…nasate. Non pensare mai di avere il monopolio del buon senso, perché il Signore di buon senso ne ha seminato un poco in tutte le teste, ciò ti porterà a cooperazione. Infatti se la tua parte di criterio può fare qualcosa, quando questo viene messo in società si forma un capitale e si possono fare miracoli.
Se avrete voglia di lavorare, senza scegliere, perché tutto deve essere fatto, non ci sarà posto a nostalgie e malinconie. Per quanto poco farete, sarete felici, perche avrete la soddisfazione di averlo fatto voi con l’aiuto di Dio. Saranno solo cento cristiani ma sono sangue vostro, sarà una casa povera ma tra i mattoni avrete lasciata un po’ di pelle delle vostre mani.
Sappiate cogliere ogni occasione che i Superiori vi presentano per esercitarvi nello spirito di responsabilità. Ciò che fate fatelo per convinzione. È essenziale questo. Vi troverete ad avere tutto voi in mano in una Missione, alla quale dovete dare un indirizzo ed una forma. Riceverete direttive, ma la realizzazione poggerà su di voi, sul vostro criterio, rettitudine e buona volontà. Allora per conoscervi basterà guardare i vostri cristiani: i neri sono bambini, copiano e riflettono come uno specchio la vita del Padre Missionario.
Vi saranno necessarie tante buone virtù e quel tanto di difetti sufficienti a conservarvi umili davanti a Dio: cosi riconoscerete che ogni risultato viene dalla sua mano provvidenziale e paterna.
Desiderate qualche mia impressione sull’Africa e sui neri, meglio sui nostri Africani qui in Iringa, perché l’Africa ed anche solo il Tanganyka è un complesso di infinite distinzioni per lingua usi e costumi. E non è facile per me definirvi anche soltanto i nostri WAHEHE, perché non posso sinceramente considerarmi un veterano d’Africa.
Questa gente è così diversa da noi che costituisce una scoperta per chi l’avvicina la prima volta, gente che vuole con tutte le forze agganciarsi in qualche modo alla nostra civiltà.
Noi offriamo un punto solido e sicuro di agganciamento: la nostra Fede. E se la nostra civiltà venisse rivelata loro soltanto attraverso i principi della nostra Fede cristiana, ammessa la distinzione tra progresso e civiltà, non stenterei a dire che in breve tempo assumerebbero una relativa civiltà, pur rimanendo di troppi secoli indietro in fatto di progresso. Purtroppo però avvicinano contemporaneamente un altro volto del nostro mondo evoluto ma non scevro di rughe. Mancando i Negri di discernimento e di analisi, possono confondere il cristiano con il cristianesimo, il bene con la soddisfazione dei loro desideri, il male con l’opportunismo, i mezzi considerarli fine allo scopo: raggiungerci.
Credo non errare affermando che la superficialità è una loro caratteristica, in quanto la loro mente non è mai stata abituata al ragionamento. I loro interessi circoscritti alla capanna, ai campi, ai figli, al bestiame, li rendono refrattari e sospettosi, per ora, a qualsiasi forma di società come intesa da noi. La loro società è la famiglia, qualsiasi infiltrazione esterna è un attentato alla loro proprietà e ai loro interessi.
Ho detto: superficiali; ciò non vuoi dire che in genere non comprendano il dono della Fede. Lo capiscono anche i vecchi, quando, pur ritenendosi troppo anziani per abbracciarla, riconoscono l’importanza e la superiorità della nostra Religione. Comprendono che noi non siamo qui per far intravedere qualche cosa di irraggiungibile, un gradino proibito alle loro capacità, quasi vietato da pregiudizi di casta o di sangue. Sanno che offriamo loro un qualche cosa di sostanziale, il meglio che secoli di cristianesimo ci hanno lasciato. Non si può pretendere che riescano a soppesare fino in fondo l’entità del dono, radicati come sono a tradizioni tribali millenarie; come non possiamo pretendere che un bimbo comprenda appieno il perché di tante disposizioni paterne a suo riguardo: beve e si imbeve di principi che non comprende, ma che formeranno in futuro la sua personalità.
Nostro scopo qui è creare una tradizione cristiana, non distruggendo le loro tradizioni, ma presentando loro qualche cosa di migliore, che loro stessi possano scegliere al confronto, senza quasi sentirsi violentati in cose che hanno per secoli costituito il loro mondo senza sentirsi umiliati da avvicinamenti che li porrebbero su di un piano quanto mai insufficiente di vita e di mentalità.
Considerato quindi l’ambiente, la mentalità, il clima, non sono peggiori cristiani dei loro fratelli, nella Fede. Dio non li disdegna, come non disdegna i fanciulli, e i Negri hanno tutto dei bimbi, virtù e difetti. Difetti che se per un fanciullo della nostra terra sono sufficienti pochi anni per correggerli, qui è il popolo che è bambino e gli anni diventano generazioni intere, prima che nel fanciullo maturi l’uomo.
E noi Missionari che cosa siamo per loro?
Non siamo i civilizzatori, né gli eroi. Siamo semplicemente i Padri. A loro completa disposizione, dalla nascita, alla sepoltura, compresa talora la scelta della moglie… Noi stessi del resto non ci sentiamo eroi.
Eroe è colui che in un momento di euforia, forse con un pizzico di ambizione compie un gesto straordinario. L’eroismo è di un momento. Il Missionario è un… povero diavolo, in pieno possesso delle sue facoltà mentali, che non può concedersi il lusso dello sforzo straordinario di un istante. Noi camminiamo coi piedi per terra e ci meravigliamo noi stessi che non tutti i giovani sentano il coraggio di compiere quelle semplici cose che sono il nostro pane quotidiano.
Ma se essere eroi vuol dire lavorare spesso senza risultato, amare senza ricompensa, credere nella bontà, desiderare il bene, ricordare i comodi della vita civile per farne dono a Dio, allora eroi lo siamo e nel pieno senso della parola, perché sentiamo che Dio ci ha dato un cuore grande, ma ci fa la grazia di sentircelo piccolo piccolo di fronte al bene da compiere.
Forse la nostra concezione della vita è di versa. Non è un calendario da cui giorno per giorno si stacca un foglio, con gioia alla vigilia, con malinconia quando la festa è passata. Per noi la vita è come una candela che si consuma ma per dare luce, forse una luce povera ma genuina e sincera sempre perché è la Luce del mondo.
Per gli Africani siamo semplicemente i Padri. Una parola che ci sentiamo ripetere cento volte al giorno. Abbiamo rinunciato sulla terra a questo nome benedetto per il Signore e ce lo rivolgono ad ogni passo su questi sentieri pieni di rovi cento facce sporche che neppure l’acqua del Battesimo ha potuto lavare completamente.
Carissimi Chierici, il foglio è al termine. Non esigete di più da me: non sono uno scrittore. Se volete saperne di più venite e vedrete.
Ossequiate i vostri Superiori, salutate i Confratelli.
Ricordatemi presso la tomba del nostro Veneratissimo Padre Fondatore, perché sono un suo figliuolo anch’io e pregate che possa farGli onore come Sacerdote e come Missionario.

 
Nel Signore aff.mo
Padre Lorenzo Gobatti
Missionario della Consolata

Da A.MI.CO. n.1 – 1958

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