Slow page dei Missionari della consolata

Ponti verso Oriente

L’Asia, un grande continente dalla storia millenaria, patria di antichissime filosofie, religioni e forme artistiche. Quattro passi in punta di piedi per esplorare qualcosa di interessante e «leggero» dell’immenso mondo asiatico.

Il vaccaro e la tessitrice
Durante l’impero Jade, in un giorno di primavera, sette tessitrici magiche scesero dal cielo per bagnarsi nelle acque sorgive della terra. Un giovane vaccaro che passava di lì cominciò a spiarle, poi rubò i vestiti alla più giovane delle sette. La ragazza così non poté più tornare in cielo e, in seguito, diventò la moglie del giovane vaccaro.
Quando l’imperatore Jade venne a conoscenza del fatto, ordinò alle guardie di scendere sulla terra e riportare in cielo la giovane tessitrice. Il vaccaro la seguì, ma fu scoperto dalla regina Madre del cielo, la quale, prima che lui riuscisse a riprendere sua moglie, estrasse dalle sue trecce una forcina e tracciò una linea nel cielo per separare la coppia. Questa linea diventò la Via Lattea, conosciuta in Cina come fiume d’argento o fiume celestiale.
La grande regina del cielo permise ai due innamorati di vedersi solamente una volta all’anno, il settimo giorno del settimo mese a mezzanotte, ma rimanevano sempre separati dal fiume d’argento.
La loro storia mosse a compassione le gazze della terra, le quali, proprio in quella particolare notte, volarono in cielo e formarono un ponte con le loro ali sul fiume d’argento, così che il vaccaro e la tessitrice potessero incontrarsi.

Da «Il Tesoro Invisibile: fiabe e racconti di 15 paesi». Emi, Bologna, 2003.

Ye Jun, la donna che racconta questa fiaba, viene dalle province meridionali della grande Cina. È una storia d’amore fra amanti separati, la cui passione contrastata viene aiutata dall’intervento delle gazze che riportano armonia nell’ordine delle cose. Per eccesso, anche i nostri mondi così lontani avrebbero bisogno di gazze in grado di creare ponti; non solo quelli economici, ma anche quelli che hanno nell’arte, nel racconto, nel gioco, nella poesia i suoi pilastri portanti.

Tre, due, uno… GO!
Il Go è uno dei giochi più vecchi del mondo. Lo inventarono i cinesi, si dice, circa 4 mila anni fa. Appartiene alla famiglia dei grandi giochi da tavola, come il più popolare backgammon o come le tante forme di scacchi che si sono venute via via creando sia in Occidente che in Oriente.

Da subito, divenne popolare tra le classi più nobili e presso i circoli intellettuali della Cina come grande gioco di strategia e metafora dell’equilibrio delle forze naturali. In una seconda fase, il Go iniziò a diffondersi anche in Giappone e in Corea, affermandosi all’inizio come gioco per le élites, ma diventando in seguito un gioco di massa. È attraverso il Giappone che il Go viene conosciuto, già anticamente, anche in Occidente. Ancora oggi il gergo del Go è quello derivato dal giapponese, i cui termini servono ai praticanti per potersi capire fra di loro in tutto il mondo.
In Oriente è oggi giocato a livello professionistico e rappresenta anche una fonte di guadagno per coloro che vi si dedicano. Tornei di Go sono organizzati a tutti i livelli e sponsorizzazioni garantiscono premi non indifferenti ai giocatori più abili. Al contrario, in Occidente e soprattutto in Europa è rimasto ancora a livello amatoriale il che non gli ha impedito di diffondersi in modo davvero sorprendente.
A differenza degli scacchi, della dama o di altri giochi di scacchiera, Go non punta all’annientamento dell’avversario, ma a costruire dei territori occupando aree della tavola di gioco con le pedine del proprio colore. Cercando, ovviamente, di impedire all’avversario di fare altrettanto. Il Go spinge sovente il giocatore a fare dei compromessi grazie ai quali si può arrivare a concedere territori in una zona per poterne acquisire altri più estesi in un’altra. L’abilità dell’esperto giocatore consiste nell’individuare quali siano gli scambi più vantaggiosi. Go non è un gioco di pura intelligenza, ma punta a ricercare l’armonia e l’equilibrio del mondo. Per questa ragione, è importante dare ascolto alle sensazioni, «ascoltare» l’andamento della partita e sviluppare senso di misura, cosa che rende il gioco una vera e propria filosofia di vita che trova nel pensiero Tao molte similitudini.
Il Go è un gioco che impegna due giocatori, distinti dal colore delle loro pedine, chiamate pietre: bianco e nero. Il set originale di pietre prevede 181 pedine per il nero (che inizia il gioco e normalmente assegnate al giocatore più debole, e 180 pedine bianche). Le regole sono semplici, ma la strategia che le applica può essere molto complessa. La tavola da gioco (goban) ufficiale è un reticolo di 19 righe orizzontali e 19 righe verticali, che si intersecano in 361 incroci. Il goban è una rappresentazione del mondo circondato dalle acque: come il mondo agli inizi dei tempi inizia con il goban vuoto. A turno i giocatori posano le loro pietre su qualsiasi incrocio libero della tavola, iniziando in questo modo a occupare territori del mondo. Ogni pietra ha la funzione di posto di frontiera e non può essere rimossa o spostata una volta che viene collocata sul goban.
Nonostante la staticità delle pietre, il Go è un gioco molto dinamico. Le varie fasi della partita, condita da varie strategie di attacco e di difesa, portano al consolidamento finale dei territori che devono essere più estesi di quelli dell’avversario e non, come ricordato all’inizio, all’annientamento dell’avversario. Anzi, proprio perché il Go è un gioco che premia l’equilibrio e l’armonia, chi cerca con determinazione la pura distruzione dell’avversario o si incaponisce nella difesa di una posizione, può uscire castigato dal confronto.
Normalmente si consiglia ai principianti di iniziare ad impratichirsi delle strategie del Go con un goban
ridotto, di soltanto 9 x 9 linee, richiedente un numero più limitato di pietre.

HANNO DETTO DEL GO…
Ill goban deve essere quadrato perché rappresenta la terra e i suoi angoli retti significano rettitudine. Le pietre dei due avversari sono bianche e nere. Questa differenza significa lo Ying e lo Yang; sparsi in piccoli gruppi su tutta la superficie della tavola di gioco simboleggiano i corpi celesti. Una volta espressi questi significati tocca ai giocatori fare le mosse e ciò è espressione di regalità. Seguire le regole – entrambi i giocatori sono assoggettati ad esse – è il rigore del Tao.
Pan Ku – storico cinese del primo secolo.

Il Go utilizza gli elementi più semplici e i concetti più elementari: linea e cerchio, legno e pietra, bianco e nero, combinandoli grazie a regole semplici che danno vita a strategie sottili e a tattiche complesse che stimolano l’immaginazione.
Iwamoto Karou – giocatore professionista di Go

Quando vincere diventa più importante del divertimento, Go si trasforma da sorgente di saggezza in una fonte d’inganno.
John Stephenson

Circa trecento anni fa, un importante monaco cinese si recò in visita in Giappone e gli venne mostrata una partita di Go, appena giocata da un maestro di quel tempo. Senza conoscere nulla della partita, se non la descrizione sommaria che gli venne riferita, il monaco ne studiò le mosse e, dopo pochi istanti, notò con ammirazione e rispetto che il giocatore doveva essere un uomo che aveva ricevuto l’illuminazione, ciò che corrispondeva al vero. È interessante notare come questa storia venga raccontata sia dai giocatori di Go per illustrare le qualità e i principi del gioco, sia dai buddhisti per esaltare l’acume e la sapienza del monaco cinese.
William Pinchard

Go sta al gioco occidentale degli scacchi come la filosofia sta alla contabilità in partita doppia.
Trevanian

Per chi volesse saperne di più si consiglia la consultazione del sito della «Federazione italiana gioco Go», www.figg.org, da cui abbiamo tratto le informazioni presenti in questo articolo. Il sito offre un sommario delle regole di gioco, un corso interattivo per l’apprendimento autodidattico delle strategie, nonché consigli su come conseguire pubblicazioni e materiale di gioco.

Un istante di luce
La poesia Haiku è una delle più importanti ed antiche forme poetiche giapponesi. Letteralmente Haiku significa «poesia del viandante» ed è, a tutti gli effetti, uno scorcio di realtà fotografato nell’immediatezza del cammino. Caratterizzato per la sua eccezionale brevità, la metrica dell’Haiku prevede tre soli versi che la tradizione fissa rispettivamente in 5 + 7 + 5 sillabe. I primi due versi descrivono una realtà, mentre una rottura netta o cesura introduce il terzo verso caratterizzato da un’illuminazione o stupore. In origine, i contenuti dell’Haiku erano la natura, i sentimenti e le emozioni del poeta nei confronti della natura. Oggi, tuttavia, si scrivono Haiku il cui contenuto può spaziare ovunque. L’ambiente metropolitano, per esempio, suggerisce lo spunto per composizioni poetiche molto profonde e illuminanti.
Nato in Giappone nel diciassettesimo secolo, l’Haiku è venuto via via diffondendosi ed affermandosi in altri continenti. In alcuni paesi – negli Stati Uniti si insegna tecnica di scrittura Haiku in alcune scuole superiori – gli si riconosce tutto il suo valore didattico e formativo. Comporre Haiku significa, infatti, guardare il mondo con un occhio speciale, attento alle piccole cose e a cogliere l’essenza di un’esperienza che si svela di fronte ai nostri occhi. La sua brevità spinge l’autore a liberarsi dal fardello delle parole inutili, per concentrarsi su quelle che meglio esprimono un’emozione.
Insomma, una vera e propria palestra di vita e di riflessione. Perché, allora, non provare a scrivere qualche Haiku? Potrebbe essere una buona maniera per dare spazio alle emozioni nascoste dentro le immagini del nostro viaggio nel tempo e nello spazio.

Per saperne di più:
AA.VV., Haiku, Bur, Rizzoli, 2001.
http://haiku.cascinamacondo.com

Fiore caduto
ecco, risale al ramo,
una farfalla.
Moritake

Io non ho nulla
ma che dolcezza in cuore
e che frescura.
Issa Kobayasci

Da AMICO maggio 2006

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