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17/ Atti. La passione di Paolo a Gerusalemme

Da Gerusalemme a Cesarea, in catene

Jerusalem - foto in CC da Joachim Tüns_flickr.com

«PASSIO PAULI» A GERUSALEMME (At 21,17-23,35)

Il terzo viaggio missionario di Paolo, caratterizzato da un soggiorno prolungato a Efeso, e particolarmente fruttuoso per la diffusione del vangelo nella provincia romana dell’Asia, si conclude non più ad Antiochia, ma a Gerusalemme, città nella quale inizierà la passione di Paolo.

Gli inizi del suo soggiorno nella città santa sembravano promettenti: arrivato a Gerusalemme, infatti, Paolo, con Luca e altri collaboratori, va subito a trovare Giacomo e gli anziani per raccontare quanto il Signore ha compiuto, per mezzo suo, tra i pagani, e la reazione è molto positiva.

17 Arrivati a Gerusalemme, i fratelli ci accolsero festosamente. 18 Il giorno dopo Paolo fece visita a Giacomo insieme con tutti noi; c’erano anche tutti gli anziani. 19 Dopo aver rivolto loro il saluto si mise a raccontare nei particolari quello che Dio aveva fatto tra i pagani per mezzo del suo ministero. 20 Come ebbero ascoltato davano gloria a Dio.

At 21,17-20

Ma Paolo ricorda bene le parole rivoltegli dal profeta Agabo a Cesarea:

10 Eravamo qui da alcuni giorni, quando giunse dalla Giudea un profeta di nome Agabo. 11 Egli venne da noi e, presa la cintura di Paolo, si legò i piedi e le mani e disse: “Questo dice lo Spirito Santo: l’uomo a cui appartiene questa cintura sarà legato così dai Giudei a Gerusalemme e verrà quindi consegnato nelle mani dei pagani”.
12 All’udir queste cose, noi e quelli del luogo pregammo Paolo di non andare più a Gerusalemme.
13 Ma Paolo rispose: “Perché fate così, continuando a piangere e a spezzarmi il cuore? Io sono pronto non soltanto a esser legato, ma a morire a Gerusalemme per il nome del Signore Gesù”.

At 21,10-13

Non morirà a Gerusalemme, Paolo, ma lì inizia la sua passione alla quale è dedicata l’ultima parte degli Atti che accompagna Paolo fino a Roma, previo un soggiorno di due anni a Cesarea, sede del Procuratore romano.

ll tempo dei grandi viaggi missionari è finito. In questi ultimi capitoli degli Atti, l’annuncio della Parola per fondare comunità non ha più luogo. Non troviamo più alcuna annotazione sullo sviluppo delle Chiese.

La nuova vicenda inizia a Gerusalemme con un discorso degli anziani della comunità a Paolo (21,20-26), poi con un discorso di Paolo al popolo (22,1-21). Segue una serie di quattro processi a Gerusalemme e a Cesarea, di importanza crescente (23,1; 24,1; 25,1; 26,1).

In questa passione di Paolo, che lo fa partecipare, come ogni martire, a quella di Gesù, il tema di fondo dei discorsi, quasi la loro ragion d’essere, è la risurrezione.

Infine Luca racconta il viaggio di Paolo a Roma (27,1-28.31). Nella capitale dell’Impero si compie la svolta decisiva: ormai ci si rivolge ai pagani senza più tener conto del privilegio dei Giudei di ricevere per primi la Parola (28,28). Così emerge definitivamente e liberamente il grande movimento di vita che attraversa il mondo: la Risurrezione e lo Spirito (Bibbia Civiltà Cattolica, p. 1810).

Nei capitoli 13-20 degli Atti, Luca ha descritto Paolo nella sua vita attiva di missionario instancabile; adesso, in Atti 21-28, descrive Paolo nella sua vita «passiva», o piuttosto nella sua passione: arrestato, imprigionato, sottoposto a vari processi.

Inviando Anania di Damasco a incontrare Saulo, Gesù gli aveva rivelato la sua missione: «Và, perché egli è lo strumento che ho scelto per me perché porti il mio nome dinanzi alle nazioni e ai re e ai figli d’Israele, e io gli mostrerò quanto dovrà soffrire per il mio nome» (9,15-16). Queste parole si sono avverate nella vita attiva di Paolo e ancor più ora nelle sue sofferenze patite a causa del nome di Gesù.

Vi sono somiglianze tra la passione di Gesù e quella di Paolo: come Gesù, Paolo viene arrestato con false accuse, perseguitato dai Giudei e, in un certo senso, protetto dalle autorità romane che evitano gli venga fatto del male. Tuttavia, anche come prigioniero, Paolo continua a essere testimone del nome di Gesù e della sua risurrezione.

Paolo viene arrestato nel Tempio (21,26-36).

Entrato nel Tempio per accompagnare quattro uomini che avevano fatto un voto, Paolo viene avvistato da alcuni Giudei dell’Asia, i quali, con accuse che rivelano tutto l’odio che hanno per lui, cercano di prenderlo per ucciderlo. Lo salva un tribuno romano, comandante della guarnigione romana a Gerusalemme (v 31ss).

27 Stavano ormai per finire i sette giorni, quando i Giudei della provincia d’Asia, vistolo nel tempio, aizzarono tutta la folla e misero le mani su di lui gridando: 28 «Uomini d’Israele, aiuto! Questo è l’uomo che va insegnando a tutti e dovunque contro il popolo, contro la legge e contro questo luogo; ora ha introdotto perfino dei Greci nel tempio e ha profanato il luogo santo!». 29 Avevano infatti veduto poco prima Tròfimo di Efeso in sua compagnia per la città, e pensavano che Paolo lo avesse fatto entrare nel tempio. 30 Allora tutta la città fu in subbuglio e il popolo accorse da ogni parte. Impadronitisi di Paolo, lo trascinarono fuori del tempio e subito furono chiuse le porte. 31 Stavano gia cercando di ucciderlo, quando fu riferito al tribuno della coorte che tutta Gerusalemme era in rivolta. 32 Immediatamente egli prese con sé dei soldati e dei centurioni e si precipitò verso i rivoltosi. Alla vista del tribuno e dei soldati, cessarono di percuotere Paolo. 33 Allora il tribuno si avvicinò, lo arrestò e ordinò che fosse legato con due catene; intanto s’informava chi fosse e che cosa avesse fatto.

At 21,27-33

Arrestandolo, il tribuno romano sottrae Paolo dal probabile linciaggio ad opera dei Giudei e, intanto, con senso di giustizia, cerca di capire chi sia Paolo e perché sia così detestato dai suoi correligionari giudei.

Paolo ha così l’occasione di esporre la sua identità all’autorità romana. Chiede quindi al tribuno l’autorizzazione di parlare ai Giudei.

34 Tra la folla però chi diceva una cosa, chi un’altra. Nell’impossibilità di accertare la realtà dei fatti a causa della confusione, ordinò di condurlo nella fortezza. 35 Quando fu alla gradinata, dovette essere portato a spalla dai soldati a causa della violenza della folla. 36 La massa della gente infatti veniva dietro, urlando: «A morte!».
37 Sul punto di esser condotto nella fortezza, Paolo disse al tribuno: «Posso dirti una parola?». «Conosci il greco?, disse quello, 38 allora non sei quell’Egiziano che in questi ultimi tempi ha sobillato e condotto nel deserto i quattromila ribelli?». 39 Rispose Paolo: «Io sono un Giudeo di Tarso di Cilicia, cittadino di una città non certo senza importanza. Ma ti prego, lascia che rivolga la parola a questa gente». 40 Avendo egli acconsentito, Paolo, stando in piedi sui gradini, fece cenno con la mano al popolo e, fattosi un grande silenzio, rivolse loro la parola in ebraico dicendo:…

At 21,34-40

Arringa di Paolo ai giudei di Gerusalemme (22,1-21)

In questo importante discorso rivolto in ebraico ai Giudei, nel Tempio, Paolo racconta la sua conversione/chiamata (è la seconda volta che viene narrata in Atti, dopo 9,1-9), mettendo in risalto soprattutto la sua ortodossia farisaica, il suo passato di persecutore dei cristiani e il suo incontro a Damasco con Gesù il Nazareno che lo mandava «lontano tra i pagani». Il discorso di Paolo fa irritare ancora di più i Giudei.

1 «Fratelli e padri, ascoltate la mia difesa davanti a voi». 2 Quando sentirono che parlava loro in lingua ebraica, fecero silenzio ancora di più. 3 Ed egli continuò: «Io sono un Giudeo, nato a Tarso di Cilicia, ma cresciuto in questa città, formato alla scuola di Gamaliele nelle più rigide norme della legge paterna, pieno di zelo per Dio, come oggi siete tutti voi. 4 Io perseguitai a morte questa nuova dottrina, arrestando e gettando in prigione uomini e donne, 5 come può darmi testimonianza il sommo sacerdote e tutto il collegio degli anziani. Da loro ricevetti lettere per i nostri fratelli di Damasco e partii per condurre anche quelli di là come prigionieri a Gerusalemme, per essere puniti.
6 Mentre ero in viaggio e mi avvicinavo a Damasco, verso mezzogiorno, all’improvviso una gran luce dal cielo rifulse attorno a me; 7 caddi a terra e sentii una voce che mi diceva: Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? 8 Risposi: Chi sei, o Signore? Mi disse: Io sono Gesù il Nazareno, che tu perseguiti. 9 Quelli che erano con me videro la luce, ma non udirono colui che mi parlava. 10 Io dissi allora: Che devo fare, Signore? E il Signore mi disse: Alzati e prosegui verso Damasco; là sarai informato di tutto ciò che è stabilito che tu faccia. 11 E poiché non ci vedevo più, a causa del fulgore di quella luce, guidato per mano dai miei compagni, giunsi a Damasco.
12 Un certo Anania, un devoto osservante della legge e in buona reputazione presso tutti i Giudei colà residenti, 13 venne da me, mi si accostò e disse: Saulo, fratello, torna a vedere! E in quell’istante io guardai verso di lui e riebbi la vista. 14 Egli soggiunse: Il Dio dei nostri padri ti ha predestinato a conoscere la sua volontà, a vedere il Giusto e ad ascoltare una parola dalla sua stessa bocca, 15 perché gli sarai testimone davanti a tutti gli uomini delle cose che hai visto e udito. 16 E ora perché aspetti? Alzati, ricevi il battesimo e lavati dai tuoi peccati, invocando il suo nome.
17 Dopo il mio ritorno a Gerusalemme, mentre pregavo nel tempio, fui rapito in estasi 18 e vidi Lui che mi diceva: Affrettati ed esci presto da Gerusalemme, perché non accetteranno la tua testimonianza su di me. 19 E io dissi: Signore, essi sanno che facevo imprigionare e percuotere nella sinagoga quelli che credevano in te; 20 quando si versava il sangue di Stefano, tuo testimone, anch’io ero presente e approvavo e custodivo i vestiti di quelli che lo uccidevano. 21 Allora mi disse: Và, perché io ti manderò lontano, tra i pagani».

At 22, 1-21

Paolo si dichiara cittadino Romano (22,22-29)

Il riferimento a una predicazione tra i pagani scatena una vera sommossa tra la folla dei Giudei. Volendo conoscerne la ragione, il tribuno pensa di far torturare Paolo perché confessi il crimine che ha commesso. Mentre però stanno per flagellarlo, Paolo rivela un altro dettaglio della sua identità: è cittadino romano di nascita, e un cittadino romano ha dei diritti speciali (v. 25).

22 Fino a queste parole erano stati ad ascoltarlo, ma a questo punto alzarono la voce gridando: «Togli di mezzo costui; non deve più vivere!». 23 E poiché continuavano a urlare, a gettare via i mantelli e a lanciare polvere in aria, 24 il comandante lo fece portare nella fortezza, ordinando di interrogarlo a colpi di flagello, per sapere perché mai gli gridassero contro in quel modo.
25 Ma quando l’ebbero disteso per flagellarlo, Paolo disse al centurione che stava lì: «Avete il diritto di flagellare uno che è cittadino romano e non ancora giudicato?». 26 Udito ciò, il centurione si recò dal comandante ad avvertirlo: «Che cosa stai per fare? Quell’uomo è un romano!». 27 Allora il comandante si recò da Paolo e gli domandò: «Dimmi, tu sei romano?». Rispose: «Sì». 28 Replicò il comandante: «Io, questa cittadinanza l’ho acquistata a caro prezzo». Paolo disse: «Io, invece, lo sono di nascita!». 29 E subito si allontanarono da lui quelli che stavano per interrogarlo. Anche il comandante ebbe paura, rendendosi conto che era romano e che lui lo aveva messo in catene.

At 22,22-29

Comparsa davanti al sinedrio (22,30-23,11)

Questo tribuno è un uomo scrupoloso, ha già corso il pericolo di fare ingiustizia a un cittadino romano, e ora vuole rendersi conto di come mai i Giudei siano così «incazzati» (per dirlo in linguaggio romanesco) contro Paolo. Allora convoca la più alta autorità giudaica, il Sinedrio, per sentire le accuse che hanno contro Paolo. Anche Gesù era stato processato davanti al Sinedrio (cf. Mt 26,56ss) e si possono osservare le somiglianze e le differenze del comportamento di Gesù e di Paolo di fronte a esso: Gesù tace, Paolo parla e non porge l’altra guancia quando viene percosso (vv. 2-3). Inoltre, astutamente, Paolo sfrutta ciò che sa riguardo ai vari partiti in conflitto tra loro che lo compongono, e sobilla l’animosità dei suoi membri (v. 6). Infatti il gruppo dei Farisei credeva nella risurrezione dei corpi, mentre quello dei Sadducei la negava. Il cuore del messaggio cristiano era proprio la risurrezione di Gesù e, giustamente Paolo può dire di essere fariseo e che è a causa della sua fede nella risurrezione che è ora in giudizio. Questo dà origine a un’infuocata discussione, per cui il comandante, per assicurare l’incolumità di Paolo, lo fa riportare nella fortezza.

Come già in 18, 8-9, e più tardi in 27, 24, in mezzo a tutte le sue tribolazioni, Paolo trova conforto dalla vicinanza del Risorto che lo incoraggia e lo dirige verso Roma, senza però rivelargli in che modo vi arriverà (v. 11).

30 Il giorno seguente, volendo conoscere la realtà dei fatti, cioè il motivo per cui veniva accusato dai Giudei, gli fece togliere le catene e ordinò che si riunissero i capi dei sacerdoti e tutto il sinedrio; fece condurre giù Paolo e lo fece comparire davanti a loro.
1 Con lo sguardo fisso al sinedrio, Paolo disse: «Fratelli, io ho agito fino ad oggi davanti a Dio in piena rettitudine di coscienza». 2 Ma il sommo sacerdote Anania ordinò ai presenti di percuoterlo sulla bocca. 3 Paolo allora gli disse: «Dio percuoterà te, muro imbiancato! Tu siedi a giudicarmi secondo la Legge e contro la Legge comandi di percuotermi?». 4 E i presenti dissero: «Osi insultare il sommo sacerdote di Dio?». 5 Rispose Paolo: «Non sapevo, fratelli, che fosse il sommo sacerdote; sta scritto infatti: Non insulterai il capo del tuo popolo».
6 Paolo, sapendo che una parte era di sadducei e una parte di farisei, disse a gran voce nel sinedrio: «Fratelli, io sono fariseo, figlio di farisei; sono chiamato in giudizio a motivo della speranza nella risurrezione dei morti». 7 Appena ebbe detto questo, scoppiò una disputa tra farisei e sadducei e l’assemblea si divise. 8 I sadducei infatti affermano che non c’è risurrezione né angeli né spiriti; i farisei invece professano tutte queste cose. 9 Ci fu allora un grande chiasso e alcuni scribi del partito dei farisei si alzarono in piedi e protestavano dicendo: «Non troviamo nulla di male in quest’uomo. Forse uno spirito o un angelo gli ha parlato». 10 La disputa si accese a tal punto che il comandante, temendo che Paolo venisse linciato da quelli, ordinò alla truppa di scendere, portarlo via e ricondurlo nella fortezza. 11 La notte seguente gli venne accanto il Signore e gli disse: «Coraggio! Come hai testimoniato a Gerusalemme le cose che mi riguardano, così è necessario che tu dia testimonianza anche a Roma».

At 22,30-23,11

Complotto dei giudei contro Paolo (23,12-22)

L’odio dei Giudei verso Paolo, considerato traditore ed eretico, è senza limiti, e non si arresta neppure quando Paolo è sotto la protezione dell’autorità romana. Organizzano perciò un complotto per ucciderlo mentre viene portato in tribunale (mi viene in mente il caso dell’assassino di John F. Kennedy, Lee Oswald, ucciso mentre era scortato dalla polizia nel 1963). Questo complotto viene smontato dal coraggio di un giovane coraggioso, nipote di Paolo, che viene a conoscenza del piano criminale e si presenta alla fortezza romana per trasmettere la sua informazione. È anche un dettaglio interessante di informazioni sulla famiglia di Paolo: egli aveva almeno una sorella e un nipote.

12 Fattosi giorno, i Giudei ordirono un complotto e invocarono su di sé la maledizione, dicendo che non avrebbero né mangiato né bevuto finché non avessero ucciso Paolo. 13 Erano più di quaranta quelli che fecero questa congiura. 14 Essi si presentarono ai capi dei sacerdoti e agli anziani e dissero: «Ci siamo obbligati con giuramento solenne a non mangiare nulla sino a che non avremo ucciso Paolo. 15 Voi dunque, insieme al sinedrio, dite ora al comandante che ve lo conduca giù, con il pretesto di esaminare più attentamente il suo caso; noi intanto ci teniamo pronti a ucciderlo prima che arrivi».
16 Ma il figlio della sorella di Paolo venne a sapere dell’agguato; si recò alla fortezza, entrò e informò Paolo. 17 Questi allora fece chiamare uno dei centurioni e gli disse: «Conduci questo ragazzo dal comandante, perché ha qualche cosa da riferirgli». 18 Il centurione lo prese e lo condusse dal comandante dicendo: «Il prigioniero Paolo mi ha fatto chiamare e mi ha chiesto di condurre da te questo ragazzo, perché ha da dirti qualche cosa». 19 Il comandante lo prese per mano, lo condusse in disparte e gli chiese: «Che cosa hai da riferirmi?». 20 Rispose: «I Giudei si sono messi d’accordo per chiederti di condurre domani Paolo nel sinedrio, con il pretesto di indagare più accuratamente nei suoi riguardi. 21 Tu però non lasciarti convincere da loro, perché più di quaranta dei loro uomini gli tendono un agguato: hanno invocato su di sé la maledizione, dicendo che non avrebbero né mangiato né bevuto finché non l’avessero ucciso; e ora stanno pronti, aspettando il tuo consenso».
22 Il comandante allora congedò il ragazzo con questo ordine: «Non dire a nessuno che mi hai dato queste informazioni».

At 23,12-22

Trasferimento di Paolo a Cesarea (23,23-34)

Per sottrarre Paolo all’incessante persecuzione da parte dei Giudei che lo vogliono morto, il tribuno romano con un dispiegamento imponente di forze lo fa trasferire nottetempo a Cesarea ove risiede Felice, il procuratore romano. Paolo è cittadino romano, quindi merita una protezione di riguardo. È la prima volta che Luca ci dice che Paolo è a cavallo (v 24), anche se nella tradizione pittorica è spesso rappresentato (erroneamente) come caduto da cavallo alle porte di Damasco («cadendo a terra» 9,4).

Il racconto trasmette anche dettagli interessanti del rapporto tra autorità subalterne e il procuratore, come lo scambio di lettere, il nome accurato del tribuno romano della fortezza di Gerusalemme, Claudio Lisia, e il nome del procuratore romano, Felice, che riceve Paolo, prigioniero, nella sua residenza a Cesarea, cioè nelle prigioni della sua residenza.

23 Fece poi chiamare due dei centurioni e disse: «Preparate duecento soldati per andare a Cesarèa insieme a settanta cavalieri e duecento lancieri, tre ore dopo il tramonto. 24 Siano pronte anche delle cavalcature e fatevi montare Paolo, perché venga condotto sano e salvo dal governatore Felice». 25 Scrisse una lettera in questi termini: 26 «Claudio Lisia all’eccellentissimo governatore Felice, salute. 27 Quest’uomo è stato preso dai Giudei e stava per essere ucciso da loro; ma sono intervenuto con i soldati e l’ho liberato, perché ho saputo che è cittadino romano. 28 Desiderando conoscere il motivo per cui lo accusavano, lo condussi nel loro sinedrio. 29 Ho trovato che lo si accusava per questioni relative alla loro Legge, ma non c’erano a suo carico imputazioni meritevoli di morte o di prigionia. 30 Sono stato però informato di un complotto contro quest’uomo e lo mando subito da te, avvertendo gli accusatori di deporre davanti a te quello che hanno contro di lui».
31 Secondo gli ordini ricevuti, i soldati presero Paolo e lo condussero di notte ad Antipàtride. 32 Il giorno dopo, lasciato ai cavalieri il compito di proseguire con lui, se ne tornarono alla fortezza. 33 I cavalieri, giunti a Cesarèa, consegnarono la lettera al governatore e gli presentarono Paolo. 34 Dopo averla letta, domandò a Paolo di quale provincia fosse e, saputo che era della Cilìcia, 35 disse: «Ti ascolterò quando saranno qui anche i tuoi accusatori». E diede ordine di custodirlo nel pretorio di Erode.

At 23,23-34

Questo viaggio di Paolo a cavallo verso Cesarea, segna anche la sua partenza definitiva da Gerusalemme, città che non verrà più menzionata nel resto di Atti. Dopo essere stato testimone del Risorto a Gerusalemme di fronte ai Giudei, Paolo lo sarà ora, da prigioniero, di fronte al procuratore e al re Agrippa a Cesarea.

Conclusione

Luca dedica molto spazio alla passione di Paolo, quasi come un omaggio al grande missionario che ha trascorso vari anni in prigione. Il suo arresto nel Tempio, le accuse ingiuste verso di lui, i vari tentativi di ucciderlo e il suo trasferimento, come prigioniero, a Cesarea. Anche come prigioniero Paolo continua a testimoniare Gesù Cristo attraverso una serie di discorsi indirizzati ai Giudei e ai pagani, un pubblico selezionato di autorità religiose e civili. Paolo offre questa testimonianza non solo a parole ma anche pagando di persona, perché la Parola di Dio non si lascia imprigionare, come dice Paolo in 2 Tim 2,9: «Ricordati che Gesù Cristo, della stirpe di Davide, è risuscitato dai morti, secondo il mio vangelo, a causa del quale io soffro fino a portare le catene come un malfattore, ma la parola di Dio non è incatenata».

di Mario Barbero

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Mario Barbero

Padre Mario Barbero, missionario della Consolata, nato nel 1939, è stato a Roma durante il Concilio, poi in Kenya, negli Usa, in Congo RD, in Sudafrica, in Italia, di nuovo in Sudafrica, e ora, dal 2021, nuovamente in Italia. Formatore di seminaristi, ha sempre amato lavorare con le famiglie tramite l’esperienza del Marriage Encounter (Incontro Matrimoniale).

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