Slow page dei Missionari della consolata

Mongolia, terra lontana e magnifica

Apparentemente inospitale per gelo, lingua, enormi territori disabitati. La Mongolia affascina e sfida: è piena di ricchezze minerarie, di storia, cultura, spiritualità.

 

 

  

Visita la pagina dedicata al progetto di solidarietà: Amico gher.

La Mongolia il 28 giugno è andata alle urne (544 candidati per 76 seggi) per eleggere il suo nuovo Grande Khural (Parlamento), il settimo da quando nel 1990 si è affrancata dal controllo dell’Unione Sovietica. In gioco, in particolare, il futuro economico e le relazioni con i Paesi esteri, altamente interessati alle sue risorse minerarie, non sempre prive di attriti. Il Paese dell’Asia Centrale, popolato da 2,8 milioni di abitanti, definito da Washington come l’unica vera democrazia della regione, da quando ha cominciato a sfruttare i giacimenti minerari sta attraversando una fase di boom economico senza precedenti. Lo scorso anno ha registrato una crescita maggiore del 17% – grazie alle ingenti concessioni minerarie a favore dei due vicini affamati di risorse – Cina e Russia – e delle grandi compagnie transnazionali.
Siamo in una fase delicata per lo sviluppo della giovane repubblica mongola: le ricchezze del sottosuolo (in particolare rame, oro, carbone, uranio) potrebbero far diventare il Paese una sorta di Qatar delle steppe oppure ridurlo alla povertà per quella «maledizione delle risorse» che potrebbe seguire a una gestione poco accorta della ricchezze.

LA MONGOLIA DEL PROSSIMO FUTURO

Al Partito Democratico che ha vinto le elezioni, sia pure con una maggioranza risicata, è stato affidato il compito di amministrare questa giovane democrazia e di gestirne le ricchezze in un governo di coalizione. Il capo del partito, e nuovo primo ministro, Novrov Altankhuyag, in una prima intervista ha sottolineato la volontà del governo di combattere la corruzione (la Mongolia nel 2011 era al 120° posto fra le 183 nazioni del mondo), promuovere la giustizia, creare opportunità di lavoro e ridistribuire le ricchezze.
Certo un compito che non sarà di facile realizzazione se guardiamo all’attuale situazione del Paese con una crescente migrazione verso la capitale Ulaanbaatar che oramai conta 1,2 milioni di abitanti, con il 20% della popolazione urbana sotto il livello della povertà, il tasso di inflazione al 16,6% (Maggio 2012), un’infrastruttura nazionale da rimettere in sesto e ripianificare, anche per facilitare l’esportazione delle risorse minerarie, la mancanza di manodopera qualificata per gestire il complesso lavoro estrattivo, un serpeggiante spirito nazionalistico che non gradisce le concessioni a compagnie straniere, e il flusso migratorio da Paesi terzi, soprattutto dalla Cina, verso le zone minerarie.
La crescente economia e l’apertura al mercato globale evidenziano alcuni nuovi scenari indicatori di quello che sarà la Mongolia nel prossimo futuro. Primo fra questi la crescente stratificazione sociale fra un ceto estremamente ricco, una classe media poco numerosa, e la grande massa della popolazione che cerca di sopravvivere, o di vivere alla meno peggio.
Sempre più evidente è il contagio da elementi culturali esterni: la Mongolia sta cercando una nuova identità. Anzi, vorrebbe ritrovare il suo antico orgoglio, quello che nel XIII secolo aveva mosso Gengis Khan fino a riunire il più esteso impero della storia. Le vecchie generazioni hanno nostalgia di un passato millenario ma a Ulaanbaatar si assiste a un vertiginoso cambiamento di rotta. I giovani sono stati investiti dalle tentazioni consumistiche importate dal Giappone, dalla Corea e dall’Occidente: girano con occhiali da sole, capelli tinti di biondo, scarpe griffate e T-shirt con scritte in inglese, sono espertissimi in nuove tecnologie, di handphones, games, tablets, computers.
Quanto sarà in grado questo popolo e la sua dirigenza di non disperdere il suo capitale culturale senza negarsi gli aspetti positivi della modernità e del progresso economico?
Questa è la grande sfida culturale che il Paese deve affrontare fin da adesso per proiettarsi nei prossimi anni in un modello di società in cui a farla da padrona non sia la sola economia.

LA CHIESA CATTOLICA IN MONGOLIA
«Il 10 Luglio 1992 la chiesa cattolica nacque nelle grandi steppe dell’Asia Centrale. Questo accadde quando i primi tre missionari della Congregazione del Cuore Immacolato di Maria (Cicm) misero piede sul suolo Mongolo». Così scriveva sua Ecc. Mons. Winceslao Padilla, attuale Pefetto Apostolico della Mongolia, in un articolo per il ventennale della presenza della chiesa cattolica nel Paese centro asiatico.
Erano anni incerti subito dopo il crollo del sistema comunista russo e i primi timidi passi verso un regime democratico.
«Vieni e vedi» era il motto iniziale adottato dai primi tre pionieri con un doppio significato: da una parte un percorso di conoscenza della realtà mongola da parte dei missionari stessi e dall’altra la volontà di accoglienza e di famigliarità nei primi contatti con la gente locale.
«Non ci hanno preoccupato più di tanto – ha scritto ancora il vescovo – le iniziali difficoltà incontrate: il rigido clima invernale, la lingua, una forte identità religiosa buddista con evidenti elementi sciamanici della popolazione, una crescente presenza di altre chiese cristiane, la completa assenza di strutture e di fedeli della chiesa cattolica… Queste situazioni costituivano per noi una grande sfida e una grossa opportunità convinti come eravamo che Dio, che ci aveva chiamati e inviati in Mongolia, era già presente nella vita della gente Mongola prima ancora che arrivassimo noi».
Le prime attività di questa nascente Chiesa si sono realizzate nel sociale: i ragazzi dei tombini inizialmente raccolti negli appartamenti dei missionari, e in seguito in un loro centro, il Verbist center; le mense delle suore di Madre Teresa, la scuola di arti e mestieri dei Salesiani, e poi, via via, una serie illimitata di servizi per le classi più povere della popolazione. Nella lista delle opere sociali oggi figurano:
•    due centri per ragazzi di strada;
•    due scuole materne Montessoriane;
•    due scuole elementari;
•    un centro per bambini portatori di handicap;
•    la scuola tecnica dei salesiani con più di 300 studenti;
•    tre biblioteche con sale di lettura e computer;
•    un dormitorio per ragazze che vengono dalla campagna per seguire corsi universitari;
•    due centri agricoli con programmi di sviluppo comunitari;
•    due cliniche per l’assistenza ai più poveri;
•    tre mense popolari.
E poi c’è la Caritas Mongolia con i suoi programmi di pozzi, agricoltura sostenibile, campagne contro il traffico delle persone, e altro.
Certo l’impegno sociale ha assorbito e continua ad assorbire il grosso del personale presente e delle risorse finanziarie, ma era la carta giusta da giocare fin dall’inizio per far conoscere e accogliere la prima presenza della nostra Chiesa cattolica in un paese post-comunista.
L’arrivo di nuovo personale (sono 81 i missionari attualmente presenti, di 22 nazionalità e 13 gruppi/congregazioni religiose diverse) ha poi aiutato a sviluppare specifiche attività religiose: catechismo, primi battesimi e celebrazioni eucaristiche, parrocchie. Da zero cattolici e zero strutture, dopo 20 anni, la nostra Chiesa conta 835 battezzati mongoli, 6 parrocchie (le ultime due sono state ufficializzate a giugno – la «nostra» di Arvahieer – e il 28 ottobre – a Ulaanbaatar -), 6 sotto-centri e personale mongolo formato per i diversi servizi alle comunità.
Tanti ancora i bisogni di questa giovane Chiesa che con il tempo dovranno essere raccolti e sviluppati:
–    l’approfondimento della lingua e della cultura mongola da parte dei missionari per un processo di inculturazione dell’annuncio, della liturgia e della catechesi, perché l’annuncio sia comprensibile nelle categorie culturali e linguistiche mongole;
–    le traduzioni di una bibliografia religiosa (Bibbia cattolica compresa) come sostegno per la formazione dei cristiani;
–    un progetto di espansione delle presenze della Chiesa cattolica in Ulaanbaatar e nelle altre regioni del Paese;
–    la formazione dei nostri agenti pastorali mongoli;
–    l’impegno per un serio e approfondito dialogo interreligioso.
E la lista potrebbe scorrere ancora lunga.
Senza dimenticare che la nostra Chiesa, ma direi tutte le diverse espressioni religiose presenti in Mongolia, deve confrontarsi con il rapido cambiamento socio-culturale indotto dai nuovi media che sta avvenendo nella società: la mobilità delle persone, la ricchezza del sottosuolo, le possibilità di studio in Mongolia e all’estero, e anche un livello di vita più elevato rispetto ad altri tempi. Questo contesto sta inducendo nuovi modelli di vita, un nuovo approccio e nuove domande di religiosità. In particolare cresce l’interessante fenomeno del ritorno alle pratiche e ai culti sciamanici da parte di tutte le classi sociali.

PROGETTO MDC/IMC
Nell’estate 2003 inizia anche la grande avventura dei missionari e missionarie della Consolata in Mongolia. Se l’Asia era fino allora un continente poco conosciuto dai nostri Istituti, la Mongolia lo era ancora di meno. Decisa il 16 novembre 2001 dai consigli generali dei nostri due Istituti (Imc/Mc), la nuova apertura costituisce una novità di stile perché affidata a un gruppo di giovani missionari e missionarie (4 suore e 3 padri) che lavoreranno insieme.
Alcuni criteri generali li aiuteranno a fare i primi passi in questo pianeta sconosciuto:
–    Prima evangelizzazione;
–    Dialogo con le grandi religioni;
–    Presenza di consolazione;
–    Stile sobrio e semplice;
–    Fraternità e collaborazione fra i due Istituti.
Le difficoltà iniziali sono tipiche di ogni inizio: lingua, clima, cibo, cultura, inserimento in una Chiesa giovane senza una lunga storia, il discernimento su cosa fare, dove iniziare.
Il gruppo si organizza fin dai primi momenti: studio della lingua, visite per conoscere luoghi e persone, e un programma per la scelta di una regione dove iniziare una nostra prima presenza.
Dopo un’estate e un inverno spesi a conoscere il Paese, nel 2006 si decide finalmente di mettere la nostra prima base in Arvaiheer, la capitale della regione centrale dell’Ovorkhangai. È la prima presenza della Chiesa cattolica in questa regione dalla meta del 1200, quando i primi missionari (Giovanni del pian del Carpine e Guglielmo di Rubruck) misero piede alla corte del grande imperatore mongolo nell’antica capitale Kharkhorin, un centinaio di chilometri a nord di Arvaiheer. Non c’è fretta di dare inizio alle attività; bisogna conoscere meglio la realtà, ottenere i dovuti permessi che a sorpresa vengono rilasciati in fretta insieme a una proprietà in cui insediarci definitivamente dopo due anni vissuti in appartamenti in affitto.
Così la missione di Arvaiheer comincia a prender forma: due grandi gher serviranno come luogo di culto e centro di attività per i ragazzi. La casa della comunità è una semplice struttura in mattoni. Negli anni verrà poi aggiunto un campetto da basket e una struttura per offrire un servizio di docce calde alla popolazione.
Si organizza anche il lavoro pastorale: catecumenato per adulti, catechesi dei ragazzi e bambini, visite alle famiglie, celebrazione dell’eucarestia domenicale, insieme a un progetto per le donne per dare un minimo di sostentamento a un gruppo di 30 famiglie. Nasce così il primo nucleo di una comunità cattolica che vedrà i primi battesimi nel 2010, e finalmente la decisione del vescovo di elevare Arvaiheer al titolo ufficiale di parrocchia il 17 Giugno 2012 con il nome Maria Madre di misericordia.
Tuttavia la crescente popolazione in Ulaanbaatar ci obbliga a pensare una seconda comunità nella capitale.
Ulaanbaatar è stata fin dall’inizio la base per studiare la lingua e inserirsi nella realtà, ma nel tempo è venuta ad assumere anche una dimensione più operativa, dapprima con la collaborazione alla vita delle comunità cristiane del luogo (che continua anche ora e si sta facendo più «qualificata», man mano che si approfondisce la conoscenza della lingua) e poi con il delinearsi di un preciso campo di apostolato diretto: l’inserimento in un quartiere periferico. Tuttavia il progetto è ancora all’inizio a causa delle lunghe trattative per l’acquisto del terreno che saranno seguite dai lunghi percorsi burocratici necessari a ottenere i permessi per svolgere attività religiose.

PROSPETTIVE
Le prospettive della presenza dei missionari e missionarie della Consolata (al momento 7 suore e 5 padri) per il prossimo futuro sono legate a quelli che saranno i programmi della Chiesa in Mongolia, ai quali noi vogliamo partecipare attivamente.
In particolare questi saranno i nuovi scenari in cui muoverci:
•    con sei parrocchie già avviate, e un numero ancora piccolo ma crescente di fedeli sarà necessario passare da un impegno che ci vedeva in gran parte assorbiti nel sociale ad una prospettiva più decisamente pastorale;
•    i rapidi cambiamenti che stanno avvenendo ci obbligano a una comprensione del processo storico culturale in corso per accompagnare in modo attento e positivo il suo evolversi;
•    la formazione seria e approfondita di agenti pastorali per un processo di inculturazione efficace e per l’allargamento delle nostre presenze sul territorio;
•    il dialogo interreligioso sarà necessario per far fronte insieme ad altri, alle nuove domande di religiosità e spiritualità;
•    continuare nelle traduzioni di testi di spiritualità e formazione per i nostri cristiani.
Più specificamente anche per le comunità Imc/Mc ci sarà da consolidare le nostre presenze con nuovo personale e da pensare all’aperura di nuove comunità nella capitale o in altre regioni.
Come per la Chiesa locale, anche per noi, il cammino di discernimento comunitario dovrà essere il metodo di lavoro per ogni scelta nel prossimo futuro.

PELLEGRINAGGIO: ULAANBAATAR-KHARKHORIN 365 KM
Fra le tante attività organizzate per festeggiare il ventennale della presenza della Chiesa cattolica in Mongolia una ha avuto una sua originalità.
Rileggendo la storia di questo Paese veniamo a conoscenza del fatto che circa 750 anni fa’ due missionari Europei mettevano piede alla corte del re Mongolo del tempo nella capitale Kharkhorin.  Arrivati in quel centro, con sorpresa, scoprirono la presenza di una Chiesa cristiana nestoriana e, fra la nobiltà, di alcune principesse già battezzate. Interessanti sono i diari di questi due missionari, oggi pubblicati in diverse lingue, nel descrivere la vita dei Mongoli in quegli anni. Così da questi eventi storici nasce l’idea di visitare i luoghi della prima presenza cristiana.
I padri Kim e Ho, Fidei Donum Coreani, lanciano il programma di un pellegrinaggio fino a Kharakhorin. Quaranta i partecipanti, per la maggior parte giovani, che il 13 giugno, zaini in spalla, iniziano il cammino che durerà 12 giorni per 365 km. «Non è un esercizio fisico, o un’impresa olimpica, – dice p. Kim spiegando il senso della proposta ai giovani -, è invece un cammino di spiritualità, di fede che dovrà impegnarvi nella preghiera per voi e per gli altri, nell’ascolto della parola, e nella celebrazione eucaristica». E la lettura del libro dell’Esodo ci fa da guida.
Le giornate hanno un orario molto stringato: sveglia alle 5, colazione e smontaggio delle tende, preghiera del mattino, celebrazione dell’eucarestia e poi la marcia fino a mezzogiorno, scandita dalla preghiera di decine di rosari. Pausa di un paio di ore per il pranzo e un po’ di riposo e poi si riprende il cammino fino alla destinazione stabilita. Arrivati ci si lava come si può, si montano le tende, si mangia e, dopo cena, si fa la condivisione della Parola insieme o a gruppi.
Lungo il percorso alcuni singoli o gruppi si uniscono ai pellegrini.
Il tempo decide di farci assaporare tutte le sue variazioni: sole cocente i primi giorni, freddo per qualche notte, pioggia. Il percorso si snoda fra pianure infinite, qualche collina da superare, un piccolo deserto da attraversare e qualche fiumiciattolo da guadare.
Il 24 Giugno ci vede finalmente entrare in Kharakhorin, l’antica capitale che ci ricorda la grandezza di questo popolo e delle sue conquiste. Ai pellegrini si uniscono 500 persone venute dalle diverse parrocchie della capitale, da Darkhan e da Arvaiheer. E la grande festa con il vescovo viene benedetta da un poderoso temporale che ci lava come in un bagno purificatore.
L’esperienza del pellegrinaggio è unica nella storia della nostra chiesa in Mongolia e certamente rimarrà impressa nella memoria di chi l’ha vissuta. Ma forse sarà anche ispiratrice di altre esperienze simili per i prossimi anni.

di Ernesto Viscardi

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