Slow page dei Missionari della consolata

Missione formato famiglia

Lettere dal Venezuela. Un’esperienza fidei donum laica.

Il carisma francescano ha ispirato la famiglia di Elisabetta ed Eugenio: sulle orme di Francesco e Chiara di Assisi si sono accompagnati ai poveri, vivendo nello stesso quartiere, assumendone gli stessi rischi.
L’hanno fatto perché anche la missione, come ogni autentica espressione di Chiesa, non può che "partire dagli ultimi". Ma così hanno pure mostrato un volto di Chiesa dove il carisma è dono per tutti e contributo alla sinfonia del Vangelo.

A Elisabetta ed Eugenio – come a molte altre coppie e famiglie simili, che i lettori conosceranno – dobbiamo gratitudine più che ammirazione. Per loro l’amore si è espresso non solo nella generazione e in qualche impegno sociale o ecclesiale, ma nella condivisione di uno slancio missionario: non di tutti è partire per un paese lontano, ma a tutti è possibile allargare o addirittura attraversare confini con la propria – singola e di coppia – capacità di amare.
(don Gianni Cesena)

Autori:
Di Giovine Eugenio, Piatti Elisabetta
Genitori di quattro figli, sono francescani secolari. Lei originaria di Varese, lui di Lucera (Foggia), vivono a Bollate (Milano). Inviati dalla diocesi ambrosiana, hanno vissuto tre anni a servizio della diocesi di Guanare (Venezuela) con una comunità di Frati minori conventuali, dedicandosi in particolare ai giovani e ai più poveri.

anno: 2012
formato: 14×21
pagg. 128
euro 11,00

INDICE

Prefazione, di Gianni Cesena, 7

Prepararsi è già missione, 11
Una casa nel centro sociale, 17
Irruzioni di vita, 23
Fuoco e Spirito, 31
Siamo qui per abbracciarli, 43
Un successo: l’oratorio estivo, 51
Ma che succede in Venezuela?, 57
Essere famiglia nel barrio, 67
Progressi della comunità, 75
Bambini impauriti, 81
Ritorno dalle vacanze, 89
Una chiesa che cresce, 93
Grandi cambiamenti, 101
Ci sembra di aver lasciato tutto là, 107
Frutti e fiori dello Spirito, 113

PRESENTAZIONE

L’esperienza di laici che diventano missionari non è cosa recente. Di per sé risale nientemeno che alla comunità di Antiochia, fondata dai laici della diaspora cristiana originata dalle persecuzioni a Gerusalemme. In tempi meno remoti abbiamo visto la Chiesa di Corea venire avviata da laici, e forse questo fonda la ragione della sua costante vivacità. Per stare agli ultimi decenni, in Italia si calcola che l’esperienza missionaria abbia toccato ben più di 15.000 laici adulti, molti sposati e accompagnati dai propri figli, talvolta nati negli stessi luoghi di missione.
Le forme del laicato missionario si sono evolute nel tempo in maniera imprevedibile e ancora oggi assumono caratteri molto differenti tra loro: tentarne una classificazione sarebbe come tentare di definire ogni vita di cristiani battezzati, che, essendo originata e guidata dallo Spirito, non sopporta catalogazioni rigide. Almeno per motivi statistici il laicato rappresenta infatti la fantasia di Dio molto di più dell’insieme dei consacrati e dei ministri ordinati.
Solo per sommi capi e limitandoci agli ultimi decenni, potrebbe essere comodo distinguere l’impegno missionario dei laici non tanto per le loro funzioni o i progetti – il "cosa vanno a fare" – e ancor meno per i luoghi di destinazione, quanto per il soggetto inviante che entra in contatto con una Chiesa missionaria. Dalle diocesi agli organismi di volontariato, da associazioni legate a istituti religiosi o missionari a scelte personali o comunitarie di consacrazione, chi invia si pone nella prospettiva della "cooperazione missionaria": un termine che ben al di là della collaborazione pratica mediante invio o scambio di persone, risorse, progetti o idee, descrive un’autentica avventura dello Spirito, l’obbedienza al Vangelo della fraternità, la missione vissuta tra popoli e culture differenti condividendo l’unica fede e i cammini di liberazione dalle povertà e dalle offese alla dignità umana.
Alcuni elementi permettono di distinguere il laicato missionario cristiano da altre forme che, certamente degne di rispetto e di alta considerazione, mantengono tuttavia la loro differenza.
Il laico missionario è anzitutto una persona – o una coppia, come nel caso degli autori di questo libro – che avverte una vocazione: la qualità spirituale dell’invio, frutto di un’esigente formazione interiore, intessuta di preghiera semplice e profonda, è il primo passo che rivela la chiamata. Si pensa talvolta che una vocazione possa esprimersi appieno solo in una scelta ad vitam, come fortunatamente è accaduto e accade a migliaia di missionarie e missionari nel mondo; se però lo Spirito sempre crea forme nuove di vita cristiana e di apostolato, esse pure rappresentano autentiche vocazioni, con doni propri, capaci di arricchire la Chiesa di oggi. Sull’apparente breve "durata" di tali vocazioni, basti dire che incontriamo la stragrande maggioranza dei laici missionari rientrati nei gangli vitali della società e della Chiesa, nella politica e nel sindacato, nell’insegnamento e nella cultura, a fianco di migranti e poveri, e nella stessa animazione missionaria delle comunità.
Una seconda caratteristica del laico missionario è l’assunzione della forma ecclesiale del suo servizio: solitamente una significativa esperienza di comunità precede la partenza e una altrettanto forte esperienza di comunità – sia con altri missionari e missionarie, sia con le comunità locali – costituisce il luogo dell’invio e del servizio. Non si tratta di sostenere o rappresentare un’istituzione, ma di animare relazioni rispondenti al Vangelo, memori che fin dall’invio dei primi apostoli "a due a due" Gesù ha inteso dire che nessuno è padrone della missione e che la comunione dei fratelli è la prima forma di testimonianza evangelica.
Un’esperienza di laicato missionario considera anche l’utilità di un progetto: non una pianificazione precisa e dettagliata (la missione non la sopporta), ma un quadro generale della presenza e dell’agire in missione. Paradossalmente si potranno indicare più le cose da evitare, perché già mature nella comunità locale o per essa inutili, che quelle da iniziare: non c’è infatti un progetto coerente senza una paziente lettura della realtà e dei suoi bisogni, senza una chiara coscienza di ciò che la propria esperienza suggerisce da un lato di consegnare come dono e dall’altro di accogliere con umiltà, tempi lunghi, abbandono dei preconcetti e riformulazione continua dei propri giudizi. Non è perciò indifferente la durata del progetto: una prestazione (per es. medica o tecnica) può esaurirsi in poche settimane, un invio missionario esige tempi medi o lunghi, un’accurata formazione, una costante verifica.
Resta tuttavia difficile immaginare un "modello" di laicato missionario: questo libro consente di percorrerne un’esperienza. Avendo avuto la fortuna e la grazia di poterla conoscere e accompagnare almeno in parte, ne traggo altri tre aspetti essenziali.
Anzitutto si tratta di un’esperienza di coppia e di famiglia, resa possibile anche dalla presenza di figli ancora piccoli. A Elisabetta ed Eugenio – come a molte altre coppie e famiglie simili, che i lettori conosceranno – dobbiamo gratitudine più che ammirazione. Per loro l’amore si è espresso non solo nella generazione e in qualche impegno sociale o ecclesiale, ma nella condivisione di uno slancio missionario: non di tutti è partire per un paese lontano, ma a tutti è possibile allargare o addirittura attraversare confini con la propria – singola e di coppia – capacità di amare. Inoltre ho spesso osservato come la presenza di una famiglia, con l’affetto della coppia e l’esuberanza dei figli, sappia arricchire e riequilibrare le relazioni in una comunità missionaria dove sono presenti altre vocazioni.
Essi raccontano la loro esperienza ormai da "rientrati": ogni rientro è faticoso, anche se è il ritorno ad affetti, abitudini e condizioni di vita consuete, certo meno disagevoli di quelle sperimentate in missione. A dire il vero il rientro è un’incognita, anzitutto per la necessità di trovare (o ritrovare) un lavoro e anche per l’atteggiamento di talune comunità cristiane di partenza, che lo sentono come una routine, mostrandosi talvolta indifferenti. Rientrare però mette in evidenza che la missione oggi è "andata e ritorno" e reciprocità, affinché entrambi i mondi toccati crescano nella comunione a partire dall’aiuto vicendevole, dalla fraternità condivisa, dall’attenzione ai poveri, dalla professione dell’unica fede, dalla comunicazione e sperimentazione di forme varie e nuove di vita evangelica.
Il carisma francescano ha ispirato la famiglia di Elisabetta ed Eugenio: sulle orme di Francesco di Assisi si sono accompagnati ai poveri, vivendo nello stesso quartiere, assumendone gli stessi rischi. L’hanno fatto perché anche la missione, come ogni autentica espressione di Chiesa, non può che "partire dagli ultimi". Ma così hanno pure mostrato un volto di Chiesa dove il carisma è dono per tutti e contributo alla sinfonia del Vangelo.

don Gianni Cesena
Direttore di Missio

di EMI – Editrice Missionaria Italiana

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