Slow page dei Missionari della consolata

12 gennaio 1958, p. Costanzo Cagnolo dal Kenya

Padre Costanzo Cagnolo, missionario della Consolata, ritratto in AMICO n.2 del 1958.

Il momento attuale pare il momento segnato dalla Provvidenza per il nostro apostolato, ma occorre fare presto, pochi densi nuvoloni appaiono già sull’orizzonte, e non si sa quale uragano potrà scatenarsi in un prossimo futuro. Intendo alludere al nazionalismo esagerato, al comunismo, al razzismo che oggigiorno ingombrano le menti di molti africani.

Lettera del padre Costanzo Cagnolo dalla missione di Nyeri (Kenya)

Il padre Cagnolo è considerato, a ragione, un veterano d’Africa. Nato a Draguignan in Francia il 13 maggio 1887, e domiciliato a Spineta (Cuneo), fu ordinato Sacerdote nel 1912 e l’anno seguente partì per le Missioni del Kenya.
Salvo brevi parentesi, vive in terra d’Africa da 45 anni. Fu il primo Rettore del Seminario di Nyeri. Musico valente, compose canti religiosi e ricreativi di indole popolare in lingua Akikuiu. È sua la melodia di “Vergin, piena d’amore…” con parole di Padre Sales.
Profondo conoscitore di usi e costumi pubblicò in inglese “The Akikuiu” (1933) e in italiano “Kikuiu e Mau-Mau” (1954) senza dire delle monografie, articoli su varie riviste e le interessanti corrispondenze col “Da Casa Madre”.
Nonostante i suoi settantuno anni che gli darebbero diritto a un meritato riposo, continua a lavorare con l’ardore e l’entusiasmo di un giovane. Per questo il suo scritto acquista il valore di una lunga esperienza vissuta mentre risente delle preoccupazioni per l’avvenire di missioni ricche di speranze e di timori insieme.

Nyeri 12 Gennaio 1958

Carissimi chierici,
voglio sciogliere il mio debito verso di Voi rispondendo alla Vostra ultima lettera. Mi rallegro anzitutto per la bella iniziativa che avete preso quella cioè di pregare in particolare per noi poveri (È solo  umiltà! – N.d.R.) anziani. Ne abbiamo tanto bisogno, poiché, nonostante l’età avanzata e l’esperienza, non finiscono ancora le difficoltà della vita e del lavoro di apostolato. È ancora sempre necessario un intervento superiore, senza il quale… “invanum laboraverunt” anche i Missionari della Consolata, dopo tanti anni di fatiche apostoliche.
Sapendo di quale valore siano le Vostre preghiere e i Vostri sacrifici che offrite a Dio ogni giorno per il successo del lavoro di missione, noi vi consideriamo come il “baculum senectutis nostrae”. Come Voi ben sapete circostanze speciali hanno causato in questo Paese un grande aumento nel numero delle conversioni: all’inizio del 1957 i cristiani della nostra Diocesi erano circa 50.000, ora all’inizio del 1958 sono già 85.000, e i catecumeni sono passati da 10 a 35 mila. Questo aumento della nostra cristianità richiede anche un aumento di energia missionaria e di personale per potere completare l’istruzione dei nuovi cristiani, e mantenere in efficienza le opere già in atto. Ma ciò rende difficile, per non dire impossibile il lavoro di conquista della moltitudine ancora pagana, a cui non si può più arrivare in misura adeguata, perché ora nessuno di noi, purtroppo, ha ricevuto il dono della bilocazione.
Se si potessero bruciare le tappe della Vostra formazione, Vi vorremmo vedere tutti qui, immediatamente, sul campo di lavoro, ed ognuno troverebbe da riempire la giornata e da guadagnare il… pane!
Il momento attuale pare il momento segnato dalla Provvidenza per il nostro apostolato, ma occorre fare presto, pochi densi nuvoloni appaiono già sull’orizzonte, e non si sa quale uragano potrà scatenarsi in un prossimo futuro. Intendo alludere al nazionalismo esagerato, al comunismo, al razzismo che oggigiorno ingombrano le menti di molti africani.
Noi che costatiamo le cose de visu, e viviamo e lavoriamo in questo ambiente, abbiamo compreso forse meglio di qualsiasi altro quanto fosse tempestivo e sapiente il monito salutare di Sua Santità Pio XII con la sua enciclica “Fidei donum”.
Proprio per questo, oltre alla scienza sacra, senza la quale il missionario non sarebbe all’altezza del suo mandato, è oggigiorno per noi assolutamente necessario approfondire anche gli studi sociali, l’economia politica e l’etnologia dei popoli coi quali si viene a contatto per capirne la mentalità, per giustamente valutarne le aspirazioni, e per saperli sapientemente guidare verso il raggiungimento di mete nuove. In questo sta pure l’importanza e la grande responsabilità del nostro lavoro di oggi: stiamo costruendo l’Africa del domani. Dipende da questi anni, se l’Africa sarà musulmana o cristiana, se guarderà verso la Mecca, verso Mosca, o verso Roma.
È assolutamente necessario ed urgente che nelle nostre Missioni si formi un élite cristiana, consapevole dei propri diritti e doveri, che sia capace in un ormai prossimo futuro di far progredire il paese in tutti i settori secondo lo spirito di Cristo.
Noi qui, per esempio, e con noi tutto il mondo civile, abbiamo deprecato gli errori dei Mau Mau, ma studiandone coscientemente le origini e le cause che provocarono la rivolta, forse si cambierebbe l’opinione di tanti; e, certo senza dimenticare i mostruosi delitti commessi dai Mau Mau, si verrebbe a dividere in parti uguali fa gli indigeni e i poteri coloniali la responsabilità della rivolta e le sue conseguenze.

Queste cose le comprenderete voi che preparati, potrete esaminare più spassionatamente questi venti storici trarne gli utili ammaestramenti. Comunque, affinché non si ripetano più simili cose è necessario che vi prepariate, per poter essere in grado di preparare i nostri cristiani africani che vi saranno affidati ai difficili compiti che li attendono.
Voi desiderate conoscere il mio lavoro. Beh, del passato penso che sia inutile parlarne, perché il Signore ha già messo tutto in bianco e nero, il bene e il male commesso. Al presente mi trovo, qui a Nyeri, nella nostra missione centrale, responsabile della nostra bella tipografia e della propaganda della buona stampa. La mia età non mi permette più di scorazzare su per le colline e attraverso le boscaglie come ai bei tempi delle incantevoli primavere. Mi persuado però sempre più che anche in questo ufficio ho la possibilità di fare tanto bene e tanto apostolato. Ora che l’istruzione elementare è divenuta quasi generale fra questa popolazione, che ormai conta già un discreto numero di laureati, la stampa è divenuta un mezzo di primo piano per la propaganda missionaria ed un’arma efficacissima per controbattere gli errori diffusi dai nemici della Chiesa e dalle varie sette protestanti. Pubblichiamo mensilmente in lingua volgare un giornale di otto pagine, che è letto con molto interesse dai nostri cristiani e anche dagli altri.
Occasionalmente poi stampiamo foglietti volanti di propaganda cattolica, librettini con argomento di occasione, e naturalmente, catechismo, libri di preghiera, vangelo, storia sacra, letture edificanti.
Permettete, cari chierici, che vi esponga una mia preoccupazione e che vi dia un consiglio, reso valido dalla mia esperienza di Africa.
Qui appare evidente quanto sia necessario approfondire bene la lingua locale, e i Missionari non si accontentino di un po’ di inglese con il quale possono parlare soltanto con la gioventù che va a scuola; tutto il resto della popolazione rimarrebbe per essi come un libro chiuso. Senza pensare che vi verrebbe a creare una situazione sconcertante, e cioè si farebbe sempre più acuta la mancanza di confessori, di predicatori alle messe domenicali e di evangelizzatori fra la massa del popolo non ancora sufficientemente istruito da comprendere l’inglese. A me pare che ad un missionario, che non conosce la lingua del popolo in mezzo al quale vive e lavora, “il suo popolo”, sia preclusa la possibilità di un vero contatto, e quindi di un vero lavoro missionario in profondità. Il popolo sentirà sempre quel missionario che non parla la sua lingua come uno straniero, non come un padre e un maestro. È questo il primo passo per un vero adattamento, tanto necessario in Missione.
Naturalmente non è facile prepararsi in questa materia durane gli anni in Seminario, ma per lo meno si può già fare un buon proponimento che non appena si conoscerà la propria destinazione al campo di lavoro, ci si impegnerà con tutta l’energia per imparare la lingua di quella regione, per rendere efficienti al cento per cento almeno per quanto riguarda la comunicazione con il popolo. Noi portiamo a questo popolo la vera Parola “Verbum salutis” e sarà certo più facile per essi comprenderla ed abbracciarla se sarà ad essi portata nella nostra lingua e non in una lingua straniera.
Le popolazioni affidate ai missionari della Consolata in Africa, fatte pochissime eccezioni, sono tutte “bantu”. Le loro lingue quindi poggiano sulla stessa struttura grammaticale con poche differenze. Studiandone una, lo Swahili per esempio, che è inteso da circa 12 milioni di africani in tutta l’Africa Orientale e parte de Congo Belga, si ha la base, si può dire per tutte le altre. Non è certo giusto poi chiamare queste lingue africane come lingue barbare. In realtà esse sono di una regolarità grammaticale sorprendente, e lasciano nulla a desiderare in confronto al greco e a latino.
Preparatevi dunque, cari chierici, con molta buona volontà per riuscire missionari di prima qualità, come ci voleva il nostro Padre, il Can. Allamano, pronti a tutto e capaci di fare tutto. Le mezze volontà giù di qui non servono. Si romperebbero subito come le canne bacate, nel torrido sole africano.
Tutti noi vi attendiamo a braccia aperte. Se quando giungerete non ci troverete più, troverete certamente le braci accese. A voi, cari giovani, riattivarne la fiamma, si che essa divampi ed incendi l’Africa tutta nell’amore di Nostro Signore Gesù Cristo.
Con ricordo vicendevole nella preghiera, vi saluto.

Dev.mo P. Cagnolo Costanzo
Missionario della Consolata

Da A.MI.CO. n.2 del 1958

The following two tabs change content below.

redazione

Ultimi post di redazione (vedi tutti)

Be the first to comment

Leave a Reply

L'indirizzo email non sarà pubblicato.