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Terrorismo. Prevenire la radicalizzazione

Prevenire è meglio che curare. Verso un approccio regionale alla prevenzione della radicalizzazione.

Un'immagine della tavola rotonda "Verso un approccio regionale alla prevenzione della radicalizzazione", tenutasi il 10 aprile nella sala multimediale della regione Piemonte a Torino. La seconda a partire da destra è l'autrice dell'articolo, Viviana Premazzi.

Le ricadute sull’Europa del drammatico scenario di guerre e di instabilità, e dei conseguenti flussi migratori dalle zone di conflitto, sono sotto gli occhi di tutti.
Esse prendono le forme di rischi diversi: la tenuta dell’Unione Europea e dei suoi valori comuni; la coesione sociale dei singoli Stati membri, minacciata da xenofobia, nazionalismi e populismi che raggiungono sempre più alti livelli politici; la minaccia terroristica che negli ultimi mesi è tornata prepotentemente sulle prime pagine dei giornali, portando con sé un’isteria collettiva che fa riecheggiare i tamburi dello scontro di civiltà.

C’è chi parte come foreign fighter per andare a combattere in Siria e Iraq e c’è chi si radicalizza e rimane in Europa sia con l’intenzione di preparare e compiere attentati, sia diventando reclutatori e fornendo supporto e sostegno logistico a coloro che decidono di partire, o di tornare, dalle aree di conflitto.

La radicalizzazione (non solo islamista)

Se lo Stato Islamico e il suo brand del terrore con attacchi organizzati o anche solo ispirati domina le prime pagine dei giornali e fa risultare semplice l’associazione Islam-Terrorismo, è però importante segnalare che esistono diverse matrici di terrorismo che agiscono sullo scenario nazionale e internazionale contemporaneo: in alcuni paesi del Nord e dell’Est Europa, infatti, non sono pochi i gruppi che si richiamano alle ideologie dell’estrema destra, xenofoba e neonazista; mentre la recente Relazione sulla Politica dell’informazione sulla Sicurezza[1] della Presidenza del Consiglio dei Ministri segnala la consistenza della scena anarco-insurrezionalista nel nostro Paese e in altri, come la Grecia.

La radicalizzazione è un processo molto complesso ed individualizzato e gli esperti sono ormai concordi nel considerare plurali le sue cause e diverse a seconda dei contesti: non solo dunque motivazioni socio-economiche, ma anche ricerca di senso o di un gruppo a cui appartenere fino a disturbi della personalità.

Le politiche di prevenzione e contrasto

Fino a qualche anno fa terrorismo e radicalizzazione, che fossero in ambito jihadista o neonazista, erano trattati in un’ottica securitaria e repressiva. Nell’ultimo decennio, però, è emerso con forza, se non un cambio di prospettiva, un nuovo approccio che affianca gli strumenti tradizioni di lotta al terrorismo: quello che prende il nome di politiche di prevenzione e contrasto dell’estremismo violento (P/CVE). Alla base vi è l’idea che “l’intelligence, la forza militare e l’applicazione della legge da sole non risolvono – e, quando abusate, possono invece esacerbare – il problema dell’estremismo violento”[2].

È su queste premesse che, nel 2011, la Commissione Europea ha costituito la rete RAN, Radicalization Awareness Network (Ran), proprio con la finalità di promuovere politiche e programmi di prevenzione e contrasto dal basso che favorissero la resilienza delle comunità verso il fenomeno, coinvolgendo nei suoi gruppi di lavoro i diversi operatori attivi nei territori coi soggetti a rischio di radicalizzazione.

L’importanza del livello locale

Sulla stessa scia, si collocano due iniziative che dimostrano l’esigenza ormai riconosciuta anche dall’Italia di uniformarsi al contesto europeo per quanto riguarda le strategie di CVE: l’istituzione della Commissione di studio sul fenomeno della radicalizzazione e dell’estremismo jihadista, presieduta dal Prof. Lorenzo Vidino, e la proposta di legge Dambruoso-Manciulli, in discussione in Parlamento. Nei documenti elaborati nell’ambito di queste due iniziative, si mette al centro la raccomandazione di porre attenzione al fenomeno della radicalizzazione non solo a livello nazionale, ma anche regionale e locale, attraverso il coinvolgimento di tutti quei soggetti che possono essere coinvolti nelle pratiche di prevenzione: dalla sensibilizzazione sui processi di radicalizzazione violenta e di reclutamento, al contrasto delle narrazioni estremiste. Attraverso la valorizzazione degli sforzi a livello locale (scuole, leader politici e religiosi, forze dell’ordine, servizi socio-assistenziali, esperti e organizzazioni della società civile) si può interrompere il processo di radicalizzazione.

Prevenire per tutelare i singoli e le comunità

Questi temi sono stati discussi lo scorso 10 aprile a Torino, in occasione del convegno “Verso un approccio regionale alla prevenzione della radicalizzazione” che ha voluto essere l’occasione per fare il punto sulla situazione in Europa, in Italia e in Piemonte attraverso la presentazione dell’attività della Ran, della relazione elaborata dalla Commissione di studio sul fenomeno della radicalizzazione e dell’estremismo jihadista e della proposta di legge Dambruoso-Manciulli.

Il prof. Vidino ha segnalato che misure di prevenzione e contrasto della radicalizzazione sono considerate ormai necessarie sia dai reparti italiani dell’antiterrorismo che concordano sul fatto che non si possa continuare a parlare di prevenzione solo tramite lo strumento delle espulsioni, sia dalla società civile e da tutti quegli attori che si trovano ad avere a che fare con soggetti radicalizzati o a rischio di radicalizzazione, dalle famiglie, alle scuole, alle carceri, e hanno bisogno di sapere a chi potersi rivolgere.

La prevenzione diventa allora il punto di incontro tra gli attori della società civile e le forze di polizia nell’interesse superiore della tutela del singolo a rischio di radicalizzazione e dell’intera comunità in cui vive.

Buone pratiche in atto

La prevenzione della radicalizzazione infatti è attività diversa dalla prevenzione del terrorismo: la sua finalità è quella di intervenire prima che siano commessi reati. Alle molte istituzioni partecipanti al convegno, dalla Regione Piemonte alla Città di Torino, dall’amministrazione penitenziaria ai garanti dei diritti dei detenuti, sono state poi presentate le buone pratiche realizzate sul territorio regionale, da sempre laboratorio di azioni innovative sorte spesso da iniziative dell’associazionismo, dell’università o delle circoscrizioni. Come quella promossa dal Forum “Politiche di Integrazione e Nuovi Cittadini” della Circoscrizione 7 della Città di Torino che ha attivato una virtuosa collaborazione tra la casa circondariale “Lorusso e Cutugno” e diverse associazioni islamiche di Torino per fornire assistenza spirituale continuativa ai detenuti musulmani, o gli incontri promossi dall’Anpi nel quartiere di San Salvario dove il dialogo inter-religioso è entrato nel merito del rischio radicalizzazione.

Le buone pratiche presentate sono state anche l’occasione per mostrare alla cittadinanza quanto le stesse comunità musulmane – solitamente accusate in occasione di ogni attentato di non fare abbastanza per prevenire o per condannare – siano già attive nella prevenzione della radicalizzazione, con progetti nelle scuole e nelle carceri, e in attività di dialogo interreligioso e interculturale con le istituzioni e le organizzazioni del territorio.

Talvolta i progetti e le iniziative nascono da singoli gruppi o associazioni: il convegno è stato un’occasione per le varie realtà, anche musulmane, di conoscersi, guardarsi in faccia, sapere di essere attive sul tema, per eventuali future collaborazioni.

Conclusioni

Il convegno si è concluso con gli interventi delle istituzioni: Regione, Città, Garanti dei detenuti, rappresentanti dell’amministrazione penitenziaria hanno raccolto gli spunti e le provocazioni emerse dal racconto delle buone pratiche e hanno messo sul tavolo problematiche concrete che si trovano ad affrontare nella gestione quotidiana di un fenomeno molto articolato.

La Tavola Rotonda è dunque diventata un vero momento di confronto costruttivo. Sia il Consiglio Regionale che la Città si sono impegnati a riattivare un tavolo di lavoro tra tutti i soggetti coinvolti nella prevenzione della radicalizzazione. Un passo concreto verso una forma sempre più strutturata di buoni propositi e pratiche.

di Viviana Premazzi e Luca Guglielminetti

[1] http://www.governo.it/articolo/relazione-annuale-sulla-politica-dell-informazione-la-sicurezza/6791

[2] https://sputniknews.com/military/201502201018511553/

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