Slow page dei Missionari della consolata

Un’Italia diversamente italiana

Una realtà di convivenza pacifica tra persone di origine diversa è possibile.

Nell’estate 2016 dei campionati europei da poco conclusi, la nazionale italiana di calcio, quella che ci fa battere il cuore nelle notti magiche “inseguendo un gol”, come negli anni ’90, si presenta come la fotografia della società italiana. Una società cresciuta proprio dagli anni ’90 in poi.
Angelo Obinze Ogbonna, Stephan El Shaarawy, Thiago Motta e Citadin Martins Eder sono nomi noti, giocatori della nazionale di origini nigeriane il primo e di padre egiziano il secondo, brasiliani naturalizzati italiani per discendenza (grazie ai bisnonni, italiani emigranti) gli ultimi due.
Quella di oggi è un’Italia ormai già multiculturale, che affronta sì l’emergenza quasi quotidiana dei nuovi arrivi di richiedenti asilo, ma anche che vive una realtà di convivenza, pacifica, tra persone di origine diversa.
Chi pensa che gli immigrati siamo troppi dovrebbe fare un giro in tante scuole elementari o dell’infanzia e rendersi conto delle amicizie che stanno nascendo tra bimbi con diversi colori della pelle, con origini culturali differenti, per rendersi conto che la diversità è ormai la realtà dell’Italia di oggi e che per un bambino o un adolescente è sempre meno problematica: è la normalità, la quotidianità.
Ci riferiamo in particolare a quelle classi formate da tanti giovani di origine straniera, ma nati in Italia, le cosiddette seconde generazioni, italiani di fatto, ma senza la cittadinanza (che non si può ottenere per nascita ma per discendenza). Persone che non possono “tornare da dove sono venute” perché vengono proprio da qui, perché la loro lingua madre è l’italiano, perché hanno frequentato le scuole in Italia, perché i loro amici sono tutti qui. Ragazzi che, nella migliore delle ipotesi, vedono il paese di origine dei genitori e i parenti durante le vacanze estive, un paese di cui non padroneggiano la lingua, di cui a volte conoscono poco la cultura che percepiscono come estranea rispetto alla loro vita in Italia.
Per questi giovani, italiani e di origine straniera, la società è multiculturale. Tuttavia, continuare a parlare di arrivi, di numeri (100 mila, un milione) porta a vedere l’immigrazione con timore, facendo di tutta l’erba un fascio, considerando sullo stesso piano i nuovi arrivi così come le famiglie di origine straniera ormai stabilizzate in Italia.

Cervelli in fuga
Sicuramente la visione negativa che molti hanno “dell’immigrazione” è anche causata dai perduranti effetti della crisi economica, da percezioni errate e dal bisogno di trovare capri espiatori: l’idea che “gli italiani” siano costretti ad andare all’estero mentre qui vengono “gli immigrati” che ci rubano il lavoro. La realtà però è diversa e più complessa: un’indagine riferita a studenti universitari che hanno partecipato al programma Erasmus dimostra che le aziende hanno difficoltà a trovare persone che rientrano nei profili intermedi e alti. Domanda e offerta a volte semplicemente non riescono a incontrarsi nel momento giusto. Ed è anche importante riconoscere che, così come abbiamo giovani (e meno giovani) italiani che sono costretti a lasciare l’Italia per cercare lavoro all’estero, ugualmente abbiamo famiglie di origine straniera che ormai si erano stabilizzate in Italia che decidono di lasciare tutto e di ritornare nel paese di origine oppure di andare in altri paesi europei con migliori tutele e in grado di garantire maggiori opportunità ai propri figli (anche rispetto alla lingua molte famiglie valutano, ad esempio, che la conoscenza del francese nel mercato del lavoro sia più spendibile rispetto all’italiano).

Islam, immigrazione e terrorismo
Un’altra visione negativa è quella che vuole associare islam, immigrazione e terrorismo rischiando di produrre diffidenza, islamofobia e discriminazione nei confronti degli immigrati di religione musulmana e, di conseguenza, processi di radicalizzazione nei giovani vittime di discriminazione. Il terrorismo e la radicalizzazione hanno bisogno di essere sconfitti su molti fronti e combattuti con armi diverse. Il ruolo dei mass media è fondamentale perché si evitino facili ed errate associazioni e di conseguenza paure e allarmismi. Ma fondamentale è anche il ruolo di tutte le altre agenzie educative, dalla scuola alle associazioni, coinvolgendo in primis le famiglie. È infatti fondamentale che tutti i giovani possano avere accesso alle stesse opportunità e non essere esclusi o vittime di discriminazione per la loro religione o cultura di origine. Le diverse agenzie educative sono anche importanti perché possono aiutare a intercettare in tempo i primi segni di un processo di radicalizzazione e di adesione al terrorismo (il processo viene descritto da molti studiosi come simile a quello dell’abuso di sostanze: una persona può essere fermata in tempo, prima che diventi un tossicodipendente). Famiglie, educatori, insegnanti, animatori così come il gruppo dei pari possono, infatti, fare molto accogliendo, accompagnando e offrendo occasioni di confronto e sostegno.

Immigrazioe vuol dire molte cose
Immigrazione, dunque vuol dire tante cose, persone, storie diverse, relazioni, nuove amicizie, matrimoni, rischi e opportunità. In quest’estate 2016 immigrazione vuol dire anche, ancora, nuovi arrivi, richiedenti asilo e protezione umanitaria, persone in fuga da guerre, violenze e persecuzioni. La “questione rifugiati” purtroppo sta mostrando da più di un anno un’Europa debole, che non sembra in grado di gestire la situazione, che respinge provocando morti in mare e violenze. Per un’Europa che si è fondata in seguito alla seconda guerra mondiale per cercare di evitare altre guerre e sulla promozione dei diritti, è veramente un momento difficile, in cui si ricreano confini e si alzano muri.

Progetti di accoglienza
In questo scenario una speranza è data dai tanti bei progetti di accoglienza, come quello che ha visto coinvolto Venegono nell’estate 2015, dal progetto Mediterranean Hope e dai “Canali umanitari per soggetti in regime di protezione umanitaria”, promosso dalla Federazione delle chiese evangeliche in Italia e dalla Comunità di Sant’Egidio. Quest’ultimo progetto prevede la creazione di canali umanitari, corridoi controllati e sicuri che permettano a chi ne ha diritto di essere protetto e raggiungere l’Europa senza rischiare la vita e morire in mare. Si tratta di un progetto pilota la cui applicazione geografica rimane per ora limitata (Marocco, Libano e Etiopia sono i Paesi coinvolti), ma rappresenta un tentativo di associazioni e realtà non istituzionali di riflessione e azione sulla crisi che sta bloccando le capacità decisionali dell’Europa. Il senso dell’iniziativa è, infatti, dimostrativo: testimoniare attraverso un’azione pratica sul campo la fattibilità di un modello, offrire una proposta, un’alternativa. Si tratta di una “buona pratica”, un esempio virtuoso di come, senza alcuna modifica della legislazione nazionale, internazionale o europea, si possano tentare di regolare in parte i flussi migratori evitando di lasciare al caso, allo spirito d’avventura o, ancora peggio, alle mani di sfruttatori di ogni sorta, la gestione della traversata e dell’approdo sulle coste europee. Il metodo si propone di identificare quanti vogliono fuggire prima che si imbarchino, creando un’alternativa percorribile al viaggio in mare.

Italia diversamente italiana
Immigrazione, integrazione, società multiculturale sono dunque una realtà e una realtà che, nonostante quello che vogliano farci vedere giornali e tg, può funzionare molto bene, come mostrano tanti piccoli e grandi progetti, iniziative e relazioni di questa nostra nuova Italia, diversamente italiana.

Viviana Premazzi
 

di Viviana Premazzi

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