«La prova più grande di Gesù Cristo è data dalle profezie. E queste sono anche ciò che Dio ha curato di più: perché l’avvenimento che le ha realizzate [Gesù Cristo] è un miracolo permanente dalla nascita della Chiesa fino alla fine. Anche se un solo uomo avesse scritto un libro di predizioni su Gesù Cristo riguardante il tempo e il modo della sua venuta e Gesù Cristo fosse venuto in conformità di queste profezie, ciò avrebbe un valore enorme. Ma qui abbiamo assai di più. Abbiamo una serie di uomini, in vari secoli, i quali costantemente e senza variazioni, l’uno dietro l’altro, predicono questo avvenimento [Gesù Cristo]. Ciò è ben diversamente importante».
Pascal, Pensieri
Le profezie
«Benedetto il Signore il Dio d’Israele perché ha visitato e redento il suo popolo, e ha suscitato per noi una salvezza potente nella casa di Davide suo servo, come aveva promesso per bocca dei suoi santi profeti d’un tempo».
Lc 1,68-70
Nel Vangelo di Matteo c’è un ritornello che ricorre di frequente «tutto ciò avvenne perché si adempisse ciò che è stato detto dal Signore per mezzo del profeta…» (1,22; 2,5.14.17; 4,14…). Nella Trasfigurazione (Lc 9,30) Mosè (la Legge) ed Elia (i profeti) parlano con Gesù cioè gli danno testimonianza.
Ai discepoli di Emmaus (Lc 24, 13-35) Gesù «cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui». Ciò significa che la storia, l’evento di Gesù, si iscrive su una storia precedente.
I Vangeli non si possono capire senza riferimento alla storia d’Israele, alle profezie.
«Nella Scrittura che è comune a cristiani ed ebrei, i ‘passi messianici’ sono più di 300. Vi si annuncia la venuta di un misterioso personaggio che uscirà da Israele ma che estenderà il suo dominio a tutti i popoli. L’attesa messianica è fondamentale per l’Ebraismo. Il 12mo articolo della confessione di fede di Israele, così come fissata nel Medio Evo da Mosè Maimonide, afferma “Dio invierà il Messia, annunciato dai Profeti”. Gli Ebrei che hanno riconosciuto Gesù come Messia, gli hanno creduto convinti che in lui le antiche profezie si erano realizzate. Davanti alle folle giudee, i primi banditori cristiani ricorrono infatti continuamente all’argomento profetico».
Vittorio Messori, Ipotesi su Gesù, SEI, Torino 1977, p. 55
«La particolarità straordinaria del Cristianesimo è infatti questa: è una religione di adorazione di un Messia, fondata su una religione di annuncio dello stesso Messia. Come osservava Pascal, è a Gesù che Antico e Nuovo Testamento mirano: “L’Antico come al suo atteso, il Nuovo come a suo modello. Tutti e due come al loro centro”. Dall’inizio della storia di cui abbiamo testimonianza sino ad oggi, Gesù è stato annunciato e adorato. Budda, Confucio, Leo-Tse, Maometto, tutti gli iniziatori di religioni sono storicamente degli isolati. Appaiono cioè senza che la tradizione religiosa precedente li annunci. Gesù è invece il punto centrale di uno slancio di attesa che lo precede (forse di 18-20 secoli, comunque non meno di 12); e di uno slancio di adorazione che lo segue. Per altri venti secoli, sino a noi, la chiesa ha proseguito l’opera della sinagoga. Uno sviluppo come questo, esteso su una quarantina di secoli è contrario alle leggi che reggono i fenomeni storici. Anche perchè questo Messia non è annunciato da un solo profeta, ma da una lunga serie di uomini che, per secoli, predicono e completano via via la predizione».
Vittorio Messori, Ipotesi su Gesù, SEI, Torino 1977, p. 64
«Partiamo da una constatazione inoppugnabile: nel popolo d’Israele del primo secolo (il secolo di Gesù!) si dava per scontato che proprio “in quel tempo”, sarebbe sorto dalla Giudea «il dominatore del mondo». E – fatto davvero impressionante! – nel secolo di Gesù finisce il Sacerdozio in Israele, finisce il Tempio, finisce il Sacrificio nel Tempio e finisce anche l’Ispirazione biblica (dopo la venuta di Gesù, infatti, il popolo dell’Alleanza non aggiungerà più un solo libro a quello che noi chiamiamo il “Vecchio Testamento”). Anche un «cieco» si accorgerebbe che qualcosa di straordinario deve essere accaduto in questo secolo».
Angelo Comastri, Gesù… e se fosse vero?, San Paolo, Milano, 2008, p.13
I figli di Abramo
Il Signore disse ad Abramo “Vattene dalla tua terra verso la terra che io ti mostrerò. Io farò di te una grande nazione… In te saranno benedette tutte le famiglie della terrà” (Gen 12,1). “Poi lo condusse fuori e gli disse: “Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle… tale sarà la tua discendenza” (15,5). E ancora “tornerò da te tra un anno e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio” (18,10). Oggi, ebrei, cristiani e musulmani si definiscono «figli di Abramo» e la sua discendenza conta quasi 4 miliardi di persone.
Testi messianici dell’Antinco Testamento
«In tutta la sua storia, così come l’ha affidata alla Bibbia, Israele non ha mai avuto dubbi sul misterioso compito che Dio gli avrebbe affidato. Questo popolo minuscolo ma vigoroso non è venuto meno al compito che, secondo le sue Scritture, Dio gli avrebbe affidato al principio della sua storia: “Sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santà” (Es 19)».
Vittorio Messori, Ipotesi su Gesù, SEI, Torino 1977, p. 67
Genesi 49 (testamento di Giacobbe): «”Lo scettro non sarà tolto da Giuda, né il bastone del comando di tra i suoi piedi finché non venga Colui al quale appartiene, e a Lui andrà l’obbedienza dei popoli” (Gen 49,10). Chi è colui al quale “andrà l’obbedienza dei popoli”? Il cristiano lo crede; quanto agli Ebrei, la Bibbia Concordata annota che “questo passo è sempre stato inteso dagli esegeti d’Israele in senso messianico”».
Vittorio Messori, Ipotesi su Gesù, SEI, Torino 1977, p. 67
2 Samuele 7 (promessa a Davide): «Io farò che sussista dopo di te la tua progenie, quella che uscirà dalla tue viscere, e renderò stabile il suo regno…La tua casa e il tuo regno saranno stabili in eterno al mio cospetto, il tuo trono sarà solido per l’eternità». La Bibbia Concordata annota «la speranza messianica in Israele, alla quale si riallaccia quella della chiesa primitiva trova qui uno dei principali fondamenti».
Gesù sarà chiamato col titolo messianico «figlio di Davide».
Daniele 7 (il figlio dell’uomo): «”Io stavo guardando durante le visioni notturne ed ecco, con le nubi del cielo, uno come figlio d’uomo stava venendo. Gli furono dati dominio, onore e regno, tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano. Il suo dominio è un dominio eterno che non passerà mai e il suo regno è tale che non sarà distrutto” (7,13-14). Sin dai tempi apostolici, la chiesa ha visto anche qui l’annuncio del suo Messia. Ciò che fa riflettere è la natura del regno universale promesso «tale che non sarà distrutto». Proprio quello che Gesù ha scelto per sé, basato sul dominio dei cuori e non dei regni terreni».
Vittorio Messori, Ipotesi su Gesù, SEI, Torino 1977, p. 68
Isaia: nel libro del profeta Isaia appare un enigmatico personaggio chiamato «il servo del Signore» (42,1-9; 49,1-6; 50,4-11; 52,13-53,12). Per questo servo è annunciato un destino dove gloria e umiliazione sono uniti in modo apparentemente incomprensibile: «Ti porrò luce per le genti, onde porti la mia salvezza sino all’estremità della terra» (Is 49,6). «Sembrerebbe che Isaia voglia qui replicare a quegli ebrei che avanzano prudentemente l’ipotesi di un Messia che si limitasse a restaurare il regno d’Israele. Ipotesi di buon senso, realistica: in che modo un popolo per tanti versi misero come il loro avrebbe potuto estendere la sua influenza al mondo? I prudenti sbagliano, replica il profeta; il Re che uscirà da noi sarà «luce per tutte le genti».
Isaia 60: Gerusalemme diventerà «Luce e centro del mondo». Ecco ciò che si annuncia per la città, allora poco più di un povero villaggio montanaro, capitale risibile a fronte dello splendore delle metropoli antiche: «Sorgi, splendi, che la tua luce viene, la gloria del Signore brilla su di te. Ecco, infatti, la tenebra copre la terra e fitta nebbia i popoli, ma su di te brilla il Signore e la sua gloria appare su di te. Alla tua luce cammineranno le nazioni e i re allo splendore del tuo brillare» (60,1-3).
Michea 4 (da Sion la parola del Signore): «E avverrà alla fine dei giorni che il monte della casa del Signore s’ergerà sulla vetta dei monti, s’eleverà al di sopra dei colli e ad esso affluiranno i popoli. Numerose nazioni vi accorreranno e diranno: “Su, saliamo al monte del Signore, alla casa del Dio di Giacobbe. Egli ci insegnerà le sue vie e noi cammineremo per i suoi sentieri”. Perché da Sion uscirà la legge e la parola del Signore da Gerusalemme» (Mi 4,1-2 ; cf Is 2,2-4).
«C’è dunque un piccolo gruppo etnico che dall’inizio della storia pone la sua speranza nell’avvenire; che attende una “benedizione per la sua stirpe”; che aspetta un Regno eterno stabilito da “Uno” che uscirà da lui. Se una simile certezza lascia stupiti, stupisce anche l’origine di questa fede. Come spiegare, infatti, Jahvé, il Dio d’Israele? Questo stesso Dio che, secondo i cristiani, si è manifestato in Gesù viene dalle profondità del mistero, sfida le leggi che per la scienza regolano con costanza le religioni».
Vittorio Messori, Ipotesi su Gesù, SEI, Torino 1977, p. 70
Già Tacito esprimeva lo stupore del mondo antico per la incomprensibile «diversità» del giudaismo: «Mosè formò un popolo durato sino ad ora, dandogli dei riti non soltanto nuovi ma contrari a quelli di tutti gli altri popoli, novos ritus contrariosque ceteris mortalibus».
L’enigma di Isaraele non riguarda solo l’origine del suo monoteismo e i contenuti della sua fede, ma anche la sua conservazione tra mille ostacoli e tentazioni.
«Se non è spiegato l’improvviso monoteismo che sta all’origine, non è neppure chiara la sopravvivenza di questo già improbabile Dio unico quando Israele, da ammasso di tribù pastorizie, si trasforma in popolo di coltivatori e di allevatori stabili. La sfida si ripete quando gli ebrei si ergono in regno eppure non creano, come ogni altro popolo, una religione di stato dove gli dei sono personificazione del potere regale. In Israele avviene il contrario: il regno è visto come opera di Jahvé. Egli è il padrone, non il servitore dello Stato. La fede in lui sopravvive infatti alla disfatta dell’organizzazione statale, il popolo resta saldo a lui anche nell’esilio. La fedeltà a dispetto di tutto e di tutti al Dio di Abramo e di Mosè è continuata fino a noi. Israele è il solo popolo che abbia superato il dissolvimento del mondo antico, conservando intatta la sua identità. Dove sono assiri e babilonesi, etruschi e fenici, parti, macedoni e cartaginesi, gli stessi greci e romani? Che ne è di quei popoli che pure sembravano avere, nella loro potenza, basi etniche e culturali ben più solide degli ebrei?
Vittorio Messori, Ipotesi su Gesù, SEI, Torino 1977, pp. 75-75
Nel solo bacino del Tigri e dell’Eufrate da cui viene Israele, decine di popoli giungono, fioriscono e scompaiono in qualche migliaio d’anni. Non solo assiri e babilonesi, ma sumeri, accadi, amorrei, hittiti, cossei, medi, persiani… Guerre perdute, invasioni, persecuzioni significano per tutti il declino e la fine della società, della cultura, della religione, della razza stessa. Per tutti, tranne che per Israele. “Ho stretto un patto col mio eletto, ho giurato a Davide mio servo: farò durare in eterno la tua discendenza” (Sal 89)».
«I musulmani convertirono a milioni i cristiani e cancellarono la fede in Gesù da interi paesi, ma non riuscirono a convertire gli ebrei» (Messori, Ipotesi, p. 77). a millenni questo popolo eroico ripete il suo incrollabile sì al suo Dio, a scorno di tutte le “leggi scientifiche” che lo vorrebbero ridotto da tempo a semplice ricordo storico. Come i fenici, appunto, o gli etruschi; o quei babilonesi e quegli egizi che pure lo schiacciarono con la loro potenza e lo strapparono in catene dalla sua terra. I trionfanti re di Babilonia, i Faraoni furono inghiottiti dalla storia, il vinto ha trionfato.
di Mario Barbero
Mario Barbero
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