Slow page dei Missionari della consolata

Likoni nel cuore

Da Nervesa a Likoni, in Kenya

Un gruppo di nove giovani di Casa Milaico a Nervesa della Battaglia (Tv), di età compresa tra i 20 e i 22 anni, sono stati, l’estate scorsa, a Likoni, in Kenya, per un’esperienza missionaria.
Formati da Sandro, Paola, Cristina, padre George e padre Santino durante gli ultimi due anni a casa Mialico, sono stati accompagnati da Sandro e da padre George, missionario della Consolata di origine keniota.
A likoni sono stati accolti da padre George Omondi, mentre a Nairobi da padre Jhonathan.

Il 30 luglio 2024, io con il mio gruppo delle Angurie Wasafiri, siamo volati da Venezia fino in Kenya, meta della nostra missione, accompagnati da non poche aspettative, paure e curiosità.

Ci siamo preparati, infatti, per più di un anno accompagnati da persone che ci hanno messo il cuore per trasmetterci il significato di quella che sarebbe stata la nostra missio ad gentes, il nostro andare incontro all’altro per stare e accogliere ciò che è diverso da noi.

Prima di giungere a destinazione abbiamo fatto tappa a Nairobi, accolti dai Missionari della Consolata. Qui abbiamo visitato la Cattedrale e siamo entrati in contatto con la realtà di Kibera, uno degli slum più grandi dell’Africa, dove si è fatta spazio una piccola organizzazione non-profit, Amani Kibera, che aiuta le giovani madri durante il parto e ad essere poi economicamente autonome.

Dopo 6 ore di treno siamo giunti a Mombasa, nel sud del Kenya, lungo la costa, ed infine a Likoni, la parrocchia dove avremmo speso le tre settimane seguenti.

La missione di Likoni, nata 50 anni fa grazie ai padri della Consolata partiti dall’Italia per il Kenya, comprende, oltre la chiesa, una scuola materna, la casa dei padri e delle sorelle, degli spazi per le attività legate alla vita comunitaria (il rosario, la preghiera, le prove del coro, le lezioni di musica…), una cappellina per l’adorazione, la hall, uno dei principali luoghi di incontro per tutti, delle casette per chi lavora all’interno della parrocchia, un servizio di distribuzione dell’acqua potabile e un piccolo ospedale con differenti servizi, dal dentista agli esami del sangue alla registrazione dei bambini e altro.

Inoltre, grazie anche a tutte le persone che ci hanno aiutato, abbiamo sostenuto la costruzione di un bed and breakfast dove i turisti possano alloggiare e di conseguenza contribuire in modo continuativo alle entrate della parrocchia, utili per la manutenzione, per pagare i lavoratori, sostenere le attività e le persone.

Una delle prime cose di cui siamo rimasti stupiti è che, fin da subito, tutti quelli che incontravamo ci salutavano, ci chiedevano come stavamo, ci abbracciavano.

Non essendo noi abituati, il loro comportamento da un lato ci faceva sentire accolti dall’altro ci metteva il dubbio se ci stessero prendendo in giro o meno. Tuttavia, poco dopo, abbiamo capito che dire jambo a qualsiasi persona che passa è parte integrante della loro cultura.

Con la nostra presenza lì, non abbiamo costruito case, salvato persone dalla strada, reso Likoni un posto migliore, ma abbiamo imparato molte cose, soprattutto dai più piccoli.

Infatti, dato che ad agosto le scuole erano chiuse per le vacanze, ci siamo messi in gioco nell’animazione con giochi e danze durante i pomeriggi che i bambini venivano a trascorrere in parrocchia.

Fin dal primo giorno siamo rimasti disarmati dalla gioia, dall’energia e dalla disciplina che li distingueva. Le ore trascorse con loro tra filastrocche in swahili e lezioni di danza, tra giochi con la palla e lezioni di swahili, balli di gruppo africani e italiani, tra le più originali acconciature e giochi in compagnia, sono state le più ricche e le più veloci.

Durante il giorno, inoltre, capitava che andassimo ad aiutare gli operatori dell’ambulatorio, a visitare le parrocchie limitrofe e le famiglie che ci invitavano a casa loro per conoscerci.

Ogni persona che abbiamo incontrato ci ha donato qualcosa: il suo tempo, il pranzo piuttosto che la cena, una partita ad Uno, la testimonianza dell’essere padre o madre e provvedere alla propria famiglia, una bevanda fresca, un disegno, delle caramelle… segno di come anche una cosa semplice può essere davvero speciale.

Abbiamo avuto, per di più, molte occasioni di confronto, di festa e di preghiera con i giovani della nostra età: abbiamo condiviso tra di noi abitudini di vita, tradizioni, desideri, ambizioni, sogni, rendendoci conto sia di quante cose abbiamo in comune sia di come siamo diversi tra noi.

Non sono mancate le occasioni per visitare qualche spiaggia, fare un tuffo nell’oceano, visitare Mombasa, fare una foto con le giraffe, viaggiare in Tuk Tuk, assaporare i piatti tipici kenyoti.

Non è stato facile adattarsi, e nemmeno accettare che, nel momento più intenso, quando finalmente avevamo capito tante cose ed eravamo riusciti ad instaurare alcune relazioni, dovevamo tornare a casa.

Come capita in tutte le esperienze, ci sono stati anche dei momenti di difficoltà che hanno creato situazioni di disagio e di sconforto, ma dalle quali non ci siamo lasciati trascinare e in cui ci siamo aiutati a vicenda. Eravamo un gruppo ma ognuno di noi ha vissuto la propria missione, ha scoperto nuovi aspetti di sé e si è messo in gioco in maniera diversa.

Il tempo trascorso in Kenya è volato, e ognuno di noi ha lasciato lì un pezzettino di sè.

Alcuni volti, sguardi, storie, voci e sorrisi rimarranno impressi nella nostra memoria.

Di certo, non abbiamo cambiato nulla, ma le Angurie che sono tornate non sono le stesse che sono partite: ci siamo davvero resi conto della fortuna di essere nati qui e della marea di possibilità che abbiamo.

Dentro di noi è vivo il desiderio di ripartire, non si sa quando ma di sicuro si è acceso e farà fatica a spegnersi. 

di Irene Michielin

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