Slow page dei Missionari della consolata

Tanzania. Magnifica scoperta

È possibile viaggiare da soli. Ma un buon camminatore sa che il grande viaggio è quello della vita ed esso esige dei compagni.

Cam Torino. Tanzania 2017 /2

Quattordici amici, con differenti età, professioni e appartenenze geografiche (anche se in gran parte di Torino), per 25 giorni a Sanza, Tanzania, accompagnati da padre Daniel Lorunguiya.

Cosa ci spinga a fare un viaggio missionario, non si sa; ognuno ha le sue motivazioni profondamente personali ma consapevoli che Partire è anzitutto uscire da sé (H. Camara). Infatti peculiarità dell’esperienza missionaria con i Missionari della Consolata è quella di apertura verso l’altro, di venire incontro a un’altra cultura nonché magnifica scoperta.

Per far ciò occorre fare un cammino però, iniziato con le iscrizioni a Settembre 2016 al CAM (Centro di animazione missionaria) di Torino e con diversi incontri di formazione iniziati da Gennaio 2017 e terminati agli inizi di Giugno. Nulla è lasciato al caso e la preparazione è essenziale per poter procedere, una volta in Terra di missione, ad una sana “Inculturazione” cioè apertura e conoscenza delle idee, degli usi e costumi, del popolo visitato.

Cadere in un giudizio frugale è cosa assai semplice, occorre pertanto scrostare quella patina di superficialità e imparare a vedere con occhi nuovi e più che mai propositivi il nuovo ambiente (inteso in senso figurato). È possibile viaggiare da soli. Ma un buon camminatore sa che il grande viaggio è quello della vita ed esso esige dei compagni.

In linea con il pensiero appena scritto di Helder Camara, il nostro viaggio è stato condotto da un gruppo di 14 compagni, con età differenti, professioni diverse e appartenenze geografiche differenti, anche se per la maggior parte di Torino. Non a caso è stata scelta la parola “Compagni”, essa infatti etimologicamente deriva dal latino ad è composta da cum e panis e letteralmente indica “colui che mangia il pane con”, infatti se pur inizialmente eravamo un gruppo eterogeneo, la vita in missione in Tanzania ci ha visto condividere oltre che il cibo, sopratutto il tempo, le esperienze e cosa ancor essenziale, le emozioni. Infatti ciò che abbiamo notato è stata l’amplificazione delle emozioni, come se, fumettisticamente parlando, fossimo stati morsi da qualche insetto o esposti a chissà quali radiazioni. Tutto ciò sicuramente favorito dalla bellezza del popolo incontrato.

Davide.

La nostra esperienza è iniziata ufficialmente il 6 Agosto 2017 con la partenza da Torino e l’arrivo a Dar Es Salam, ma l’effettiva missione a Sanza (centro Tanzania) è iniziata dopo qualche giorno. E’ proprio qui che abbiamo toccato con mano l’essenza di Mama Africa. Appena arrivati, l’accoglienza ci ha paradossalmente resi attoniti. Nonostante l’estraneità, le due ore di ritardo, il buio, c’erano donne, bambini e gran parte del villaggio che bloccava i fuoristrada su cui viaggiavamo iniziando a cantare, ballare e suonare, con le locali percussioni, ritmi e danze tribali, abbracciandoci con l’affetto di chi si conosce da una vita. Così, con questa overdose di emozioni chiudevamo la prima giornata di “missione”.

La missione a cui siamo stati chiamati è stata più che altro conoscitiva e di scambio culturale. Ogni mattina visitavamo un villaggio della zona (14 in tutto) e ogni accoglienza ci lasciava piacevolmente colpiti, anche quando negli ultimi giorni la stanchezza si faceva sentire. Parte importante del tempo la si spendeva facendo animazione con i bambini dei villaggi in cui eravamo ospiti e conoscendo alcuni esponenti del villaggio (in genere il capo-villaggio, catechista e insegnate); questo era possibile grazie alla mediazione condotta dal padre Missionario della Consolata Daniel Lorunguya, nonché organizzatore e accompagnatore, che essendo di origine keniota ben sapeva la lingua parlata, vale a dire il Kiswahili.

Il pomeriggio rimanevamo nei pressi della missione a Sanza e ci occupavamo di animazione con i bambini del posto. Cosa che ha molto colpito è stata la loro bellezza e allegria, carburante che ci permetteva di affrontare la giornata con grinta. Dalla ricchezza dei sorrisi dei bambini e dall’affetto ricevuto, dai colori che balzavano all’occhio, dal tempo vissuto, fa effetto constatare come la povertà, come la intendiamo noi, sia l’ultimo dei pensieri che soggiungono alla mente. Infatti, non va confusa come spesso accade, la povertà con la mancanza di risorse e di cose. Nella prima abbiamo visto molta dignità e non solo; paradossalmente eravamo più poveri noi, come disse un ragazzo del nostro gruppo: ciò che noi abbiamo venduto è stato il nostro tempo. Tempo che in Africa, o perlomeno nei villaggi della savana dove siamo stati, sembra essere rallentato, come allontanati dalla nostra consueta orbita e averne molto di più a disposizione, utile anche per iniziare o comunque riprendere un altro tipo di viaggio, più personale ed intimo.

Detto questo è inutile negare la presenza di diverse problematiche. Una di queste è legata alle risorse investite nella scuola. Strumentazione limitata, per usare un eufemismo, e aule in un numero così limitato da avere talvolta due classi in un’unica aula. Anche il corpo docente era esiguo rispetto al numero di studenti, si pensi che in una scuola di circa 600 alunni vi erano solo 7 professori. Ciò che più ci ha scosso però è la strada che i bambini erano costretti a percorrere, svariate decine di chilometri e tutti rigorosamente a piedi. Fa riflettere come il popolo Tanzaniano sia un popolo in cammino, ogni posto, anche il più sperduto e impervio vedeva qualcuno che camminava. Ha colpito inoltre la compostezza dei ragazzi, che dopo il saluto, rimanevano in religioso silenzio sotto gli occhi vigili dei docenti.

Un’altra problematica è sicuramente legata alla mancanza di acqua, che vedeva molte donne e bambini percorrere numerosi chilometri (anche 40km a volte) ed a scavare diversi pozzi che spesso erano lasciati a metà a causa della mancanza di strumenti necessari e/o per la volontà di provare in diversi punti. A tal proposito, nel nostro piccolo abbiamo aiutato all’acquisto di due pompe per l’acqua, e di una cisterna per la raccolta di acqua piovana. I fondi utilizzati li abbiamo ottenuti grazie ad una raccolta fondi fatta prima del viaggio, con la vendita di magliette progettate da alcuni ragazzi del gruppo. Una parte della somma è stata anche utilizzata per ricostruire il tetto di una sacrestia, scoperchiato durante la precedente stagione delle piogge. Oltre questo i ragazzi di Torino hanno anche provveduto alla raccolta di indumenti e materiale scolastico, poi donato al villaggio di Sanza e dintorni.

Interessante capire come ormai, con i padri in missione e, tra questi, padre Mbuba che ci ha seguito in tutta la missione, si stia cercando di sradicare nella mentalità locale, il binomio Uomo bianco-banca, cercando di coinvolgere quanto più possibile ,sia a livello lavorativo che economico, le famiglie del posto. Questo è di fondamentale importanza per poter instillare nella mentalità comune quello dell’appartenenza ad un progetto, e di cura delle varie attrezzature e non solo di carità.

Come precedentemente accennato, ha colpito molto l’essenzialità della vita, che sembrava quasi riflettersi sui paesaggi circostanti. Tra zone desertiche e arida steppa si ergevano, parafrasando Baudelaire, Baobab come pilastri vivi che a volte emettono confuse parole. Infatti l’essenzialità del paesaggio li faceva spiccare ancora di più in tutta la loro maestosità. L’essenzialità la si è fortemente notata da alcune cappelle presenti in ogni villaggio, anche nel più povero, che contenevano anche un solo crocifisso in legno. Essenzialità che porta però ad una profonda spiritualità, che ricordava qual è l’essenza della religiosità e che permette di riscoprire ancora una volta il Cristo. Ogni messa domenicale è una festa, chiese stracolme e canti gioiosi con ritmi incalzanti e non solo, balli di lode. Però Attenzione, non vanno confusi con semplice folclore, ma intesi come forme di preghiera sinergica di parole e corpo, arrivando a sentire la necessità di esprimere la propria fede anche con dei gesti; ciò è reso ancora più evidente dalle facce più che mai serie delle bambine che erano solite condurli.

Concludendo non si può che ringraziare chiunque abbia reso possibile fare questa “Marcia verso l’altro” e ringraziare il popolo africano, così ricco e così contraddittorio…

di Davide Lacarbonara

Leggi le altre testimonianze dei giovani del gruppo e la lettera di una delle loro mamme prima della partenza.

Cam Torino. Tanzania 2017 /1. L’Africa è…

Cam Torino. Tanzania 2017 /3. Acqua nell’aridità

Cat Torino. Tanzania 2017 /4. Ciao Ragazzi

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