Slow page dei Missionari della consolata

Aspettare un bimbo… e andare in Africa

Un’esperienza missionaria in Mozambico, con un bagaglio speciale.

Per me e il mio compagno Daniel il viaggio missionario dell’estate scorsa in Mozambico non è stato soltanto un’esperienza di gruppo, ma anche di famiglia. Questo perché, anche se avevamo pianificato di andare in due, un paio di settimane prima della partenza abbiamo scoperto che saremmo stati in tre.
Le due esperienze, la missione e la gravidanza, inizialmente ci sono sembrate escludersi a vicenda, però le rassicurazioni del medico – e soprattutto quelle di padre Nicholas Muthoka – ci hanno dato forza e fiducia nel nostro cammino. Certamente non tutti i nostri conoscenti hanno condiviso la decisione, considerandoci folli e irresponsabili. Però noi sapevamo che a 
Mapinhane saremmo stati circondati dai padri e dalle sorelle missionarie, che avremmo avuto il sostegno del gruppo, e che avremmo avuto Dio ogni giorno in mezzo a noi nella preghiera. Cosa ci poteva succedere di male?
Una volta arrivati in Mozambico, ho cercato di essere più previdente possibile e ho anche sentito che alcune cose non potevo farle insieme ai compagni di missione, sia per spossatezza che per proteggere il piccolino.
Il mio più grande dispiacere è stato il fatto che, secondo il medico, dovevo evitare di stare troppo vicino ai bambini piccoli o malati, cosa che andava contro i miei istinti.
In ogni caso, anche se non ho potuto giocare a calcetto con gli altri come mi sarebbe piaciuto, o arrampicarmi sugli alberi, ad esempio per andare a prendere il piccolo Alifiado che non riusciva a scendere, ho avuto l’occasione di osservare le realtà del posto. Ho potuto conoscere alcune delle ragazze dell’internato, condividere con loro sogni e desideri, sentire le loro opinioni sulla vita, il matrimonio e la famiglia. Prima di andare in Mozambico non pensavo che tra i ragazzi africani ci fossero tante persone con voglia di studiare, di andare all’università e di fare carriera come noi. Mi rattrista pensare che tra le tante, purtroppo solo poche avranno davvero l’opportunità di far valere il loro talento.
Ho potuto intendere più profondamente anche la realtà delle suore che si prendevano cura di noi con tantissima gentilezza e ci cucinavano sempre tanti cibi deliziosi. Purtroppo quello che preparavano per noi era probabilmente più sostanzioso di quello che mangiavano loro e le quattro ragazzine di cui si prendevano cura nella loro casa di paglia. Suor Francelinha e suor Fernanda non hanno niente di valore materiale: la loro più grande ricchezza è la piccola cappella dove vanno a pregare, curata come un gioiello. E non pregano per avere l’elettricità o un letto più morbido, per alleviare il mal di schiena che magari sentono. No. Per loro i più grandi dolori, nascosti nel fondo dell’anima, dietro a delle personalità sempre solari e benevole, sono quello di non poter vivere in un convento e quello di non poter dare l’opportunità alle ragazzine di riunirsi ai loro lontani familiari, che non vedono da quattro anni a causa di trasporti troppo cari.
Nel contesto della nostra esperienza missionaria mi sono resa conto dell’importanza e del valore di ciascun membro del gruppo, perché in qualsiasi occasione ciascuno riusciva a individuare una maniera in cui donarsi per rendere la situazione più leggera e piacevole. Che si trattasse di cucinare, pulire, accudire i malati, o semplicemente giocare con i bambini. Così ho potuto osservare la crescita dei miei compagni: dalla teoria alla pratica infermieristica, dalla paura di povertà e miseria all’abbraccio dei malati, dalla vita piena di tanti «amici» alla capacità di fare qualsiasi cosa per strappare un sorriso ai piccoli malnutriti.
Tornata a casa, ho portato con me i valori acquisiti nel gruppo, le virtù delle suore, i sorrisi dei bambini e le sfide dei ragazzi. Ho ritrovato i miei amici che mi hanno subito fatto l’elenco delle cose di cui il mio bambino avrà «assolutamente» bisogno, pronunciando parole come fasciatoio, navicella, perette e altre di cui ancora non conosco il significato, ma che indicano cose che «non possono mancare». Ma io penso: perché non potrei farcela anche senza tutti questi oggetti? Ho già tutto quello che mi serve e so che nostro figlio crescerà molto bene con i principi di mamma e papà, con tanto amore, e la Provvidenza, che è viva anche da noi, non soltanto in Africa!

Ramona Balint
 

di Ramona Balint

The following two tabs change content below.

Ramona Balint

Ultimi post di Ramona Balint (vedi tutti)

Be the first to comment

Leave a Reply

L'indirizzo email non sarà pubblicato.