Slow page dei Missionari della consolata

Diventare il cambiamento

Suor Mariangela Mesina, missionaria della Consolata, originaria di Dorgali (Nu), è stata in Liberia e in Kenya per un totale di 26 anni di missione tra la gente, con le donne, con ragazzi e giovani. Dal 2007 è in Italia, prima a Torino, ora a Martina Franca, impegnata nell’Animazione missionaria. La sua passione per Dio e per le sue creature fà di quest’intervista un’esplosione colorata e vivissima di entusiasmo missionario.

I miei occhi sono ancora pieni di luce quando ripercorro la «genesi» della mia vocazione. Avevo raggiunto la mia famiglia al mare e all’alba contemplavo i riflessi del sole che sorgeva dall’acqua: Dio mi si rivelava con la sua bellezza. Avevo 18 anni e già lavoravo, ma la mia mente cercava di scoprire qual’era la mia missione nella vita. Essendo nata a Dorgali (Nu) il mare mi ha sempre affascinato. Lasciarlo mi sarebbe costato tanto, ma sentivo che dovevo abbandonarmi e solcare quelle acque verso terre lontane dove avrei potuto condividere il poco che avevo e che ero.

Perché hai deciso di diventare missionaria e, soprattutto, perché missionaria della Consolata?
La fede che avevo ricevuto avrebbe dato gioia a chi non aveva conosciuto Gesù, soprattutto pensavo ai tanti bambini e persone bisognose d’aiuto. Non volevo correre il rischio di non essere inviata, perciò la scelta fu di entrare in un istituto missionario. La bellezza e finezza della Consolata mi conquistò: la missione mi sembrava difficile e io non all’altezza, ma il 15 agosto, festa dell’Assunta, promisi a Maria che sarei stata sua missionaria!

Puoi raccontare brevemente la tua missione?
Quel 15 agosto si rivelò poi una data significativa nella mia vita. Partii per la mia prima missione in Liberia proprio il 15 agosto 1980. Per 10 anni sono stata impegnata nella promozione della donna, in visite ai villaggi, ai giovani, e nel cammino di fede dei catecumeni. Nell’89 scoppiò la sanguinosa guerra guidata da Charles Taylor e nell’agosto del 1990 abbiamo dovuto lasciare la missione. Per qualche giorno siamo state rifugiate in Costa D’Avorio e poi rimpatriate. In quale giorno? Il 15 agosto! Come non vedere la mano della nostra Madre Consolata e Consolatrice?!
Mentre attendevo che si riaprisse la Liberia, fui chiamata ad aiutare in Kenya. Sarebbe stato per un breve periodo, ma ci rimasi per 16 anni. Il Kenya mi entusiasmò: l’apertura e il desiderio di Dio che i giovani avevavo mi aiutarono a dare tutto quello che potevo. Lavorai nella zona di Meru e in Nairobi con i gruppi laici, le giovani in discernimento vocazionale, i bambini di strada…

Dove ti trovi oggi?
Italia! Nel 2007 andai a Torino. Dal 2010 sono a Martina Franca. Dopo 26 anni di Africa mi sentivo straniera nella mia patria. Ma io riesco ad adattarmi in fretta e non ci volle molto a capire che anche qui potevo dare il meglio di me stessa.

Che lavoro stai svolgendo?
L’animazione missionaria fra i giovani, i ragazzi e nelle parrocchie. Collaboro anche col Centro diocesano missionario e con Migrantes. Un’altra attività che svolgo è quella con le coppie di sposi che vogliono vivere il loro matrimonio come una vocazione e un cammino di santità.

Qual è la difficoltà più grande che incontri?
Vivere un rinnovamento della mente e del cuore per essere in grado di innescare la vera «Nuova Evangelizzazione».

Qual è la soddisfazione più grande?
La gente di Martina è accogliente, aperta all’amicizia e generosa. È una gioia grande sperimentare l’amicizia e tessere rapporti di fede e preghiera.

Ci racconti un episodio significativo della tua vita missionaria?
Ho difficoltà nello sceglierne uno: ne avrei tantissimi con i bambini di strada, la gioventù, i laici. Forse ce n’è uno che può riassumere il significato della mia vocazione missionaria. Durante la mia prima missione, una donna chiamata Joy iniziò il catecumenato. Joy non godeva di buona fama nel paese a causa della sua vita libera dopo essersi separata dal marito. Spesso veniva a trovarmi a casa con le sue due bimbe, e una di queste, Margareth, diceva che voleva diventare suora come me. Il desiderio di conoscere Gesù e la fede crescevano in Joy ogni giorno di più e la sua vita cambiò radicalmente. Ricevette tutti i sacramenti d’iniziazione e insieme a lei furono battezzate le due bimbe. Ringraziandomi mi disse: «Sorella, tu da un diavolo che ero, hai fatto di me un angelo!» (non io naturalmente, ma Dio!).
Joy capì che il dono della fede lo doveva condividere con gli altri (in Liberia solo il 2% sono cattolici) e così frequentò il corso di catechista. S’impegnò tanto e durante la guerra andava nelle zone dei rifugiati. Non solo a evangelizzare e a pregare con la gente, ma anche a insegnare come usare le granaglie (sconosciute in Liberia) che venivano  distribuite dalle Ong. Così Joy salvò tanta gente dalla fame fisica, ma anche spirituale.

E Margareth si fece suora?
Sì! Anche lei divenne un’evangelizzatrice in una congregazione locale!

Quali sono le sfide missionarie del futuro?
La grande sfida è quella di saper esprimere la Buona Notizia del Vangelo di Gesù in un linguaggio comprensibile per la mentalità e la sensibilità della gente di qualunque posto e età essa sia. Essere persone di speranza è un’altra sfida, perché si aiuta le persone a dare un senso alla vita solo se si incarnano i valori che durano. L’apertura allo «straniero», a chi vive ai margini (o fuori) dei nostri «confini» darà alla missione un futuro.

Che cosa possiamo offrire al mondo come famiglia missionaria della Consolata?
Il Carisma della Consolazione che Giuseppe Allamano ci ha trasmesso è un dono grandissimo da condividere con le persone. Il mondo d’oggi è assetato d’amore e di consolazione. Lo spirito di famiglia caratteristico del nostro istituto è un altro tesoro che possiamo offrire per arginare il dilagare dell’individualismo e della solitudine.

Come coinvolgere in questo i giovani?
Per prima cosa dobbiamo conoscere la loro vorticosa trasformazione di mentalità. Conoscerne il modo di sentire, di apprendere, di relazionarsi. Una statistica dice che i giovani sono molto più interessati alla fede degli adulti; il problema è che non ci rinnoviamo e non offriamo loro «un piatto appetitoso», «un’ancora di salvezza».

Che frase, slogan, citazione proporresti ai giovani dei nostri centri missionari, e perché?
«Diventare il cambiamento che vogliamo vedere nel mondo!» (Mahatma Gandhi). In tutti c’è un desiderio, anzi una brama insaziabile di vedere presto una situazione migliore a tutti i livelli… e sicuramente questo cambiamento può avverarsi nella misura in cui avviene in me, perché ciascuno, e specialmente i giovani, ha l’energia, l’entusiasmo e la capacità di guidare positivamente il corso della vita, della storia e della missione.

di Luca Lorusso

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