Slow page dei Missionari della consolata

Grandi cose ha fatto Dio

La prima sanvata

Rupnik, Visitazione, Chiesa della «Madonna della croce del Sud», a Brisbane, Australia.


Seconda puntata sul Magnificat, uno degli inni più belli e conosciuti del Nuovo Testamento.
Maria è la piena di grazia, la povera del Signore, la prima salvata, la «bassa», la serva.

Il Magnificat va letto nel suo contesto immediato, avendo presente sia l’annuncio dell’angelo a Maria sia la visita di Maria a Elisabetta.
Dio si compiace di inviare il suo angelo con un messaggio di portata incredibile a una ragazza povera, di umile origine e sconosciuta ai padri nobili del Giudaismo.
Appena entrato in casa di Maria, l’angelo non esita a rassicurarla con il suo saluto: «Rallegrati, o piena di grazia… hai trovato grazia presso Dio… Il Signore è con te» (Lc 1,28.30).
La grazia dell’Altissimo la investe con tutta la sua potenza e tenerezza. Dall’incontro con l’angelo Maria risulta rassicurata e piena delle grazie divine. All’improvviso ella diventa il luogo privilegiato della presenza potente di Dio. La sua pienezza di grazia, dovuta all’ombra stesa su di lei, la costituisce punto di partenza per un definitivo processo di redenzione. Lei diventa il luogo dove si compiono tutte le attese dell’Antico Testamento. La storia passata si illumina in lei e si proietta verso l’eschaton finale.
Ella così circonfusa da tanta «ombra» divina non osa opporre un rifiuto al messaggio comunicatole dall’angelo, e con il suo «sì», espressione della sua fede, si incammina su un sentiero che conoscerà e approfondirà cammin facendo.
Ormai è nel vortice del divino.

Carica di meraviglie

La stessa Elisabetta, sua cugina, tra i monti di Ain Karen, se ne rende conto appena vede arrivare Maria, e la riconosce beata dicendo testualmente: «Beata colei che ha creduto all’adempimento delle parole del Signore» (Lc 1,45). Maria, dunque, prima di essere beata per il suo «sì», è beata perché ha creduto, ha manifestato, cioè, il suo totale abbandono alla parola del Signore. Questo suo abbandono e questa sua fede la costituiscono come vera discepola del Figlio. Infatti, quando qualcuno comunicherà a Gesù la presenza dei suoi parenti che lo cercano, Gesù dirà: «Mia madre e i miei fratelli sono coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica» (Lc 8,21).
A questo punto l’immagine di Maria si è caricata di aspetti interessanti. È investita dalla potenza dell’Altissimo; è la benedetta per aver creduto; è la discepola che ascolta la parola.
Ora Maria si presenta piena di luce divina, ha cuore e anima sovraccarichi di meraviglie stupende. Il suo «sì» le conferisce la qualifica di madre non solo dell’uomo di Nazareth, ma di quella Parola attraverso cui tutto è venuto all’esistenza.
Dalla pienezza del suo cuore e dall’intensità della sua esperienza del divino, esplode in un inno solenne: il magnificat.

Magnificare Dio

Maria si sente parte degli anawim (i poveri di Dio) perché, come loro, è povera, senza privilegi, e non cerca ricchezze.
In questo stato di umiltà sgorga dalla sua anima e dal suo spirito un inno stupendo all’indirizzo di Dio. È una voce solista che si eleva verso il cielo, che richiama il Sal 130 (129): «Dal profondo a te grido, o Signore».
L’irruzione della grazia divina nel cuore e nell’anima di Maria fa sgorgare un canto di lode per la grandezza e misericordia di Dio.
Prendiamo ora i versetti 46-50: «L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva. D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata. Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente e Santo è il suo nome; di generazione in generazione la sua misericordia per quelli che lo temono».
Maria, quale figlia di Sion, loda Dio perché ha operato in lei prodigi straordinari.
Maria impegna la sua anima e il suo spirito per proclamare Dio, Signore, salvatore e santo.

La prima salvata

Il primo attributo che Maria usa per Dio è «Kyrios», che traduce il nome ineffabile Yahweh, il tetragramma sacro che designa il Dio della storia e dell’umanità.
Egli è colui che esiste, è l’esserci per eccellenza per l’umanità e per la creazione intera. Se egli è il Signore di tutto, Maria, dal canto suo, è l’umile, la serva. Come tale, Maria si rivolge a lui, perché lui ha guardato l’umiltà, la pochezza, la bassezza (tapeinos) della sua serva. Dal profondo di questa umiltà si innalza un inno di giubilo.
Il secondo attributo di Dio che Maria celebra è «soter» (salvatore), che nell’AT soleva designare il Dio che salva (Dt 32,15; Sal 24,5; 25,5; Is 12,2; Mi 7,7).
Nel riconoscere Dio come salvatore, Maria prende coscienza di essere la prima salvata. Ella capisce che la salvezza nuova e definitiva è iniziata nel momento in cui lei ha risposto «sì» all’inviato di Dio. Il suo «sì» inaugura l’inizio dell’era escatologica.
Maria inizia il suo inno di lode con il lessema «magnifica», che esprime la gioia che prorompe dal suo cuore. Con questa effusione di giubilo, Maria si associa alle lodi elevate dalle comunità oranti dell’antico Israele.
Alcuni esempi: «Magnificate con me il Signore. Esaltiamo insieme il suo nome» (Sal 34,4); «Loderò il signore con il canto. Lo esalterò con azioni di grazie» (Sal 69,31). «Esulti e gioisca chi ama il mio diritto. Dica sempre: sia magnificato il Signore» (Sal 35,27).

Potente e santo

Se Dio come «soter» è visto nella sua azione puntuale a favore delle persone, al tempo stesso è anche visto come il «Potente» e il «Santo».
Maria, dunque, si rivolge a colui che ha in sé la dynamis, cioè la potenza per operare meraviglie di salvezza con «mano potente e braccio teso» (v. 51).
Il riferimento è senza dubbio alle opere in potenza che Dio ha operato per liberare il suo popolo dalla schiavitù egiziana e condurlo alla terra della promessa (cfr. Es 6,1.6; 32,11; Dt 7,8; Sal 136, 10-12). Ora la mano potente e il suo braccio teso si è posato su Maria di Nazareth per proteggerla lungo il fluire dei suoi giorni.
Maria poi aggiunge: … «e santo è il suo Nome». Ciò che distingue Dio da tutto il resto è il suo nome «santo», che lo colloca oltre il tempo e oltre lo spazio. Possiamo qui notare che Dio, pur essendo il Signore, il Potente, il Salvatore, che ha mostrato il suo potere con azioni grandi a favore di Maria, tuttavia rimane il separato, il distinto, il tre volte santo. A noi sta di eliminare la distanza che lo separava da noi per contemplarlo come l’Emmanuele, il Dio-con-noi.
Va qui notato che i quattro attributi che Maria riferisce a Dio, Luca non esita a riferirli a Cristo. Egli è chiamato «Signore» durante il suo ministero pubblico. Luca riferisce a Gesù l’attributo «salvatore» sin dalla sua nascita a Betlemme. E negli Atti afferma esplicitamente: «Dio l’ha innalzato con la sua destra facendolo capo e salvatore per dare a Israele la grazia della conversione e il perdono dei peccati» (5,31). Per Luca Gesù è anche un «profeta potente» (24,19) ed è colui che ha il potere di «rimettere i peccati» (5,24). È significativo che solo Luca riferisce il termine «santo» a Gesù (cfr. 1,35; At 3,14; 4,27.30).

Maria la «bassa»

Il fatto che gli stessi attributi siano riferiti sia a Dio che a Gesù, ci induce a credere che Maria, nell’arco della sua vita, imparerà gradualmente che il Figlio è intimamente associato a Dio e che gode delle sue stesse prerogative. In altre parole, con il suo «sì», ella è stata introdotta nel circuito della divinità.
Nel versetto 48 si trova il motivo per cui Maria eleva il suo inno a Dio. L’occhio di Dio ha anche scrutato la sua condizione di umiltà, la sua tapeinosis, la cui migliore traduzione è «bassezza». La bassezza è la posizione di coloro che non possono vantare privilegi e posizioni sociali di riguardo. Il termine nella sua valenza spirituale, secondo l’Antico Testamento, riguarda i piccoli, i semplici, gli umili e gli incurvati sotto il peso della vita dura, i quali possono solo fare affidamento sullo sguardo di Dio (cfr. Sof 2,3; 3,12-13).
Dio che un tempo lontano ha guardato alla bassezza di Anna, ora dirige il suo sguardo su Maria. Il verbo greco usato da Luca è epiblepo, che nella traduzione dei LXX è usato per descrivere come Dio si prende cura della povertà, della miseria e dell’umiliazione del suo popolo (cfr. Sal 11,4; 25,16; 69,17-18).
Maria, quale figlia di Sion, sa bene che Dio ha questa preferenza per gli ultimi e sa anche che il guardare di Dio costringe Dio stesso a intervenire, come è avvenuto ai tempi della schiavitù egiziana. Allora Dio «guardò e si dette pensiero» (Es 2,24-25). Ora Dio fende i cieli e guarda la bassezza di Maria, per intervenire su tutti i popoli che ella rappresenta.

La serva del Signore

Definendosi «la serva del Signore» (Lc 1,38), Maria si mette sulla scia della figura del «Servo del Signore» del secondo Isaia.
In 42,1 Isaia scrive: «Ecco il mio servo in cui mi sono compiaciuto, ho posto il mio spirito su di lui». Lo stesso evento si avvererà anche nella nuova economia della salvezza.
Sotto la potenza dello stesso Spirito la salvezza continua con Maria e Gesù. Maria e il Servo di Yahweh condividono la meraviglia delle genti e saranno oggetto di lode e di esaltazione nel futuro. Maria dice: «Tutte le genti mi chiameranno beata». Si dice lo stesso del Servo di Dio che suscita tra le nazioni ammirazione e lode (cfr. Is 52,13-14). In Malachia dei poveri di Israele si dirà: «Tutte le genti vi chiameranno beati» (3,12).
Va qui notato con cura l’audacia di Luca nel mettere sulle labbra di Maria questa specie di oracolo: «D’ora in poi tutte le genti mi chiameranno beata». Si tratta di un futuro imprecisato che impegna tutte le generazioni che si susseguiranno nel fluire della storia. Qui non si fa distinzione di popoli e nazioni, tutti, prima o poi, saranno coinvolti in questa ovazione cosmica all’indirizzo di Maria. Sarà, dunque, lei la nuova madre di tutti i viventi.

La misericordia di Dio

Gli ultimi due versetti della prima parte dell’inno (vv. 49-50) descrivono Maria come la destinataria delle magnalia Dei, oggetto, dunque, della predilezione divina. Le grandi «cose» fatte per lei richiamano i segni e i prodigi dell’Esodo operati da Dio in favore di Israele. Sulla croce Gesù fa nascere un nuovo popolo il quale è chiamato a riconoscere in Maria la sua Madre e a prendere coscienza dei nuovi segni e prodigi che Dio ha operato in lei.
Dopo la liberazione dalla schiavitù dell’Egitto, Mosè, insieme a tutto il popolo, innalza a Dio un inno di lode per le meraviglie da lui operate (cfr. Es 15), così anche Maria, a nome di tutte le generazioni, vedendo le meraviglie operate in lei, loda il nome di Dio proclamandolo «Santo».
Nei versetti 49-50 si nota un chiaro parallelismo tra la santità di Dio e la sua misericordia. «Santo è il suo nome» del v. 49 trova il suo parallelo in v. 50: «La sua misericordia di generazione in generazione». Questo ci induce a credere che la vera santità di Dio si manifesta con la misericordia. Le grandi cose compiute da Dio a beneficio di Israele prima e di Maria poi, non sono altro che manifestazioni in potenza della sua santità. Se questo è vero, allora insieme a Maria, noi cristiani dobbiamo cantare con il Salmista: «Le tue misericordie, Signore, io canto per sempre, di generazione in generazione la tua fedeltà io proclamo».
Essendo Dio fedele per eccellenza, come ha fatto grandi cose per Israele prima, e per Maria poi, continuerà a farle per tutte le generazioni che si succederanno nel fluire della storia.

di Antonio Magnante

Leggi, scarica, stampa da MC luglio 2022 sfogliabile (dal 16 luglio).

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