Slow page dei Missionari della consolata

3 ottobre 1957. P. Abondio Oberto dal Mozambico

Padre Abondio Oberto, missionario della Consolata, ritratto in AMICO n.3 del 1958.

Insomma la grazia di Dio penetra ed agisce. Anche i maltrattamenti della donna da parte del marito sono diminuiti di molto tra i cristiani, e sebbene le legnate non siano ancora scomparse, tuttavia la grande maggioranza non pensa neppure di percuotere la moglie. Magari discutono, ma si fermano lì.
Tutte queste vittorie costano lavoro, ma sono il miglior premio dei nostri sacrifici.

Il Padre Abondio è un bresciano nato a Darfo quarantanove anni fa. Entrò nell’Istituto già giovanotto e, completata la sua preparazione sacerdotale missionaria, nell’ottobre 1938 partì per il Mozambico.
Da vent’anni dedica la sua attività nelle missioni del Nyassa portoghese. Per chi non lo sa la Missione del Nyassa, affidata ai Missionari della Consolata dal 1926, appartiene alla diocesi di Nampula ed ha una superficie di 145.000 Kmq. (pari a metà Italia) con vegetazione tropicale e fauna ricchissima.
La popolazione totale è di 255.000 abitanti, (neppure due per Kmq) di cui appena 17.750 sono cattolici. E gli altri? Maomettani e pagani.
In questo territorio lavorano 16 Sacerdoti e 9 Fratelli Coadiutori.
Nel 1949 fu fondata la Missione di S. Giuseppe a Mitucue diretta ora da P. Abondio.

Rev. e carissimo Confratello

Non mi sono preoccupato tanto di rispondere alla sua perché poco tempo prima le avevo mandato una relazione che certamente le sarà arrivata. Spero di poter mantenere il proposito di farne una tutti gli anni.
Grazie a lei e ai Confratelli delle preghiere, che fate per la mia salute. Ma, non pensate male. Anche qui per salute è come altrove. Può capitare un accidenti per cui la nostra salute se ne va. Ma in genere con un poco di prudenza si tira avanti, se non meglio, almeno non peggio che altrove. Certo, non siamo sulle Alpi in vacanza, ma adesso ci sono tanti e tali preparati di medicina, che per morire o vivere male, bisogna proprio disprezzare Cielo e terra. Quindi non si preoccupi. Vedo che, sebbene vecchi (!) continuiamo a fare vite da… cani, percorrendo immense regioni e si vive. Non si può desiderare di più, a meno che non si voglia fare di questa terra la nostra «manentem civitatem». E ciò sarebbe più che una mostruosità.
Ciò che manca qui è il personale, perché se è vero che la popolazione è poca, è altrettanto vero che essa è sparsa su una immensa superficie, per cui il nostro apostolato è reso più difficile dalle distanze, cerchi di farsi un’idea da questo esempio.
Abbiamo un luogo in cui già si è costruita una bella chiesetta definitiva, nella quale alla domenica si può raggiungere le quattrocento Comunioni, con possibilità di moltiplicarne il numero, e che invece ci accontentiamo di visitare solo due o tre volte all’anno. Come vede il problema si risolverebbe se ci fossero più braccia e più missionari… ma, visto che bisogna tribolare per andare in Paradiso, ci assoggettiamo alla legge generale e aspettiamo, facendo del nostro meglio.
Vengo senz’altro a dare la risposta alle sue domande.
Anzitutto mi chiede se nel Niassa ci sono dei Santuari. Purtroppo la risposta è negativa. Non so quando ci sarà data la possibilità di averne. In qualcuna delle nostre Missioni esiste già una Chiesa di mattoni e in stile. Altre sono solo un adattamento, insufficienti ai bisogni, altre chiese non sono che un capannone di terra e fango. Ora, se non si mette il Cielo direttamente a fare dei miracoli enormi, per adesso a Santuari, nel vero senso della parola non ci si pensa neppure.
Statisticamente vere e proprie sul risultato del nostro lavoro in questa Missione, ora non gliene posso dare perché scrivo fuori missione, in visita alle Scuole-Cappelle. Però basta pensare ai circa tremila cristiani vivi, alle migliaia di comunioni pasquali, ai più che centocinquanta tra ragazzi e ragazze interne della Missione a cui si deve provvedere tutto, ai trecento Battesimi dati l’anno scorso, le Prime Comunioni e i Matrimoni, ai corsi di Esercizi Spirituali, alla Settimana santa solenne con predicazione, alla riunione mensile dei maestri e catechisti e alla loro specifica formazione continuata in due riunioni all’anno durante le vacanze autunnali, si pensi solo a questo che è il lato spirituale per capire quale mole di lavoro ci attende ogni giorno, e non dimenticate che siamo solo due Padri, e neppure possiamo sognare di ricorrere all’aiuto di altri per predicazioni straordinarie, perché i Confratelli sono nella nostra stessa condizione.
Scrivo da una nostra Scuola-Cappella che in futuro dovrebbe diventare una Missione. Sono qui per una riunione di Battesimi e di prime Comunioni. Sabato due marzo darò i Battesimi. Sono in tutto una sessantina: 25 per il Battesimo e gli altri per la Prima Comunione. Questa è la preparazione finale: si radunano per quindici giorni con questo orario. Al mattino messa per tutti e un fervorino, poi comincia il Catechismo all’aperto fatto dal Catechista. Alle undici di nuovo in chiesa dove parla il Padre. Nel pomeriggio sono lasciati liberi.
Naturalmente sono giù preparati dai catechisti dei villaggi, altrimenti questo tempo non basterebbe.
Nel giorno del battesimo, al mattino, si radunano, si ordinano tutti in fila, a tutti si consegna un biglietto con il nome cristiano e si incominciano le cerimonie; naturalmente si fanno quelle per il battesimo degli adulti. La funzione è lunghissima ed estenuante, specialmente quando il Padre è solo, ma, si sa che è il tempo del raccolto… e la gioia diminuisce la stanchezza.
Dopo il Battesimo, qualche minuto di riposo e poi la S. Messa in cui tutti ricevono la Prima Comunione. Dopo la Messa ci sarà la registrazione; e, quando sono molti, ci vogliono giornate, finito tutto, se ne vanno. Naturalmente io ho descritto la parte religiosa e liturgica della festa dei battesimi: il soprannaturale non si può descrivere. Dopo il battesimo, la grazia trasforma il loro stesso volto nero. Diventano più belli, più simpatici, e più buoni.
Vere feste esterne non si fanno, se non in maniera assai ridotta. Ai battezzati diamo una maglietta bianca agli uomini, ed un fazzoletto bianco alle donne; una medaglia a tutti. Saremo d’accordo di dare anche una corona ad ognuno, ma le disponibilità della nostra missione finora non l’hanno permesso.
Invece per i matrimoni, essendo in minor numero, le famiglie dei coniugi pensano a combinare e organizzare la festa. E realmente riesce molto solenne: si vestono come non lo saranno mai più per l’avvenire. All’uscire di chiesa hanno un accompagnamento con canti e balli, di tutti i presenti fino alla casa del Padre dove avviene la normale registrazione. Tutti danno l’offerta per la S. Messa, celebrata apposta per loro.
Gli sposini sono così compresi della cerimonia che non capiscono nulla di ciò che avviene attorno a loro e non parliamo poi di ciò che succede in casa: pentole e di polenta e di pietanza per tutti, birra indigena a sazietà, canti fino alla raucedine, balli fino all’esaurimento…
Chi non è addentro a queste cose può sorridere; ma per noi, che abbiamo visto questi neri abbruttiti dalle superstizioni pagane, benedire ora la loro nuova famiglia cristiana è titolo di grande incoraggiamento. Il matrimonio pagano era molto semplice. Combinato tra parenti, i quali davano la piccola ragazza – notate bene: «Piccola» cioè ancora fanciulla a chi loro piaceva anche se essa non era contenta. I due giovani si mettevano insieme senza alcuna cerimonia. Ora invece i cristiani fanno tutti questi festeggiamenti che costano loro grandi sacrifici, perché incominciano a capire l’importanza del sacramento del matrimonio. E poi, il 99%, ed oltre, dei primi nuovi cristiani, continuano bene, indissolubilmente.
Difatti, fra i pagani, non si trovano coniugi che abbiano divorziato almeno qualche volta, non è raro di trovare uomini o donne che hanno fatto tre o quattro matrimoni susseguenti dopo aver abbandonato il coniuge per qualunque futile motivo. Ho trovato un pagano che abbandonò la moglie perché aveva già troppi figli da quella, e gli costava troppo mantenerli. Vedete quale amore coniugale e paterno! Se un pagano cammina con la moglie per un viaggio egli andrà avanti ad essa di parecchio; lui con la lancia in mano, senza alcuno scopo, e lei con il carico sulla testa e il bimbo sulla schiena. Cioè, il marito porta niente e la moglie tutto: ma essa non dirà mai nulla, perché è il suo mestiere.
I cristiani, invece, si aiutano già, si vedono sovente uomini pronti a portare il figlio sulle spalle, a giocare con lui, o a tenerlo a bada, mentre la moglie attende a fare la polenta o è andata a cercare legna o attingere acqua.
Insomma la grazia di Dio penetra ed agisce. Anche i maltrattamenti della donna da parte del marito sono diminuiti di molto tra i cristiani, e sebbene le legnate non siano ancora scomparse, tuttavia la grande maggioranza non pensa neppure di percuotere la moglie. Magari discutono, ma si fermano lì.
Tutte queste vittorie costano lavoro, ma sono il miglior premio dei nostri sacrifici.
Il culto dei defunti presso i pagani si riduce a ben poco. Se uno muore deve essere seppellito con tutte le sue cose. Anticamente (ma non troppo!) con i mariti si seppellivano anche le mogli, e non viceversa. Tuttavia anche ora ognuno deve essere sotterrato con la zappa, con la sua lancia ecc.. Però se queste sono cose di un certo valore, i pagani, che sono in gamba in tutto, lasciano perdere gli scrupoli e non le sotterrano: questo avviene, per esempio per le biciclette. La cassa mortuaria è fatta con una stuoia di canne; sulla tomba, poi, si usa portare anche da mangiare e da bere. Nessuno osa toccare questi cibi destinati ai morti: tutto resta sulla tomba finché le intemperie o le bestie non li abbiano fatti sparire. I pagani dei nostri tempi però, i pagani «moderni», che risentono della influenza dei cristiani vanno perdendo tutte queste usanze.
Rimangono invece radicate negli anziani, i quali, alle volte, hanno vicino alla loro, una capanna supplementare in cui conservano tante pentole quanti sono gli spiriti dei loro morti, e quivi all’occorrenza e in particolari circostanze mettono farina, birra indigena e praticano gli scongiuri di rito.
Il segno ufficiale di lutto, a cui nessuno rinuncia per ora, neppure i cristiani, è di lasciarsi crescere i capelli. Per la fine del lutto, tutti si riuniscono, e l’anziano della famiglia tosa tutti: il lutto è così finito. Poi non pensano più ai morti, almeno i pagani, se non nelle circostanze dette sopra. I cristiani quando avranno il denaro sufficiente faranno celebrare una messa di suffragio, che purtroppo sarà la prima e l’ultima: chi muore giace e chi vive si dà pace!
La religione cattolica ha ben poco da prendere dagli usi locali, anzi ha molto da scartare. Intendo parlare della forza di paganesimo esistente qui in queste nostre missioni. In realtà, noi andiamo molto adagio nel distruggere ciò che non si addice al cattolicesimo nei loro costumi; i nostri cristiani stessi, poi, aumentando in essi lo spirito cristiano, comprendono ciò che possono continuare a fare e ciò che invece devono abbandonare.
Un caso significativo: un tempo un giovane maestro mi chiese se si poteva continuare a fare la circoncisione. Io risposi evasivamente dicendo che non sapevo esattamente quali fossero le pratiche connesse con la circoncisione; gli chiesi se nelle cerimonie della circoncisione vi era qualcosa che un cristiano non poteva fare, ed egli mi rispose che, secondo lui, ai cristiani non poteva essere permessa. Difatti in qualcuna delle nostre missioni, i cristiani, ormai l’hanno abbandonata al completo, e non ci pensano più. Così avviene anche per altri loro usi e tradizioni. Però si comprendono le grandi difficoltà che provano coloro che sono ancora pagani nell’abbracciare la nostra Religione. Devono proprio, praticamente, spogliarsi di tutto e costruirsi un mondo nuovo: tanto è vero che mancano di tutti i vocaboli più belli della nostra Religione: ad es., amore, carità, castità, obbedienza, fede ecc. Pensate ancora poi allo sforzo che devono fare per confessarsi bene, sinceramente, essi che, quasi per una seconda natura, non vogliono saperne di dire la verità. Ma sono giunti anche a questo. Non devo tacere una bella qualità positiva: i nostri neri non sentono alcuna difficoltà ad ammettere i misteri, i miracoli, il soprannaturale ecc…
Essi dicono: “«È chiaro che deve essere così, altrimenti Dio sarebbe piccolo». Per questo, dopo che si sono convertiti, trovano tanto naturale la SS. Eucarestia, come qualunque altra verità. Per quanto riguarda la creazione, poi, ragionano molto bene: «Se l’uomo bianco può fare ed ha fatto l’automobile, l’aeroplano e tutte le altre macchine, perché Dio non può avere fatto il mondo?» Su ciò non discutono neppure.
La verità che i nostri cristiani trovano difficile da afferrare è quella del «Corpo Mistico» specialmente nelle sue conseguenze pratiche. Il motivo è chiaro: ognuno pensa a sé ed è poco sentito il senso del proselitismo, lo spirito di apostolato. E il disinteresse arriva finora a non preoccuparsi neppure dei loro congiunti: un giovane si fa cristiano e prova meraviglia che noi gli domandiamo se i genitori sono ancora pagani e lo esortiamo a preoccuparsi della loro conversione.
È la loro mentalità che portano dal paganesimo, ed è per ciò difficile far loro capire che siamo tutti figli di Dio e che la prima carità è quella che si interessa della salvezza eterna dell’anima.
È una constatazione che ci ripetiamo sovente: il cristianesimo è in continuo progresso, ma lo sarebbe certamente molto di più se questi indigeni collaborassero con maggior impegno per guadagnare alla Fede i loro fratelli. E notate: questo modo di agire appare ancora più strano se si tiene presente che è nelle loro usanze dividersi tutto il cibo che hanno e nessuno mangia alcunché senza farne parte a chi è loro vicino. Ma in fatto di problemi spirituali le cose cambiano…
Alle volte mi succede di domandare: «Perché il tale è morto senza battesimo?». Mi rispondono semplicemente: «Non l’ha voluto».
«Ma avete spiegato, avete fatto qualche cosa per aiutarlo?»
«No». Se quel tale ha espresso un benché minimo accenno negativo il nero si ritira nel suo silenzio. Però con queste mie affermazioni non vorrei essere frainteso. Ci sono anche qui, grazie a Dio, dei cristiani convinti e veri apostoli di parola e di esempio in mezzo alla loro gente.
Voglio soltanto farvi capire il lento lavoro della Grazia in queste anime e la costanza che deve avere il Missionario nel seminare la parola di Dio.
Rispondo ora caro Confratello, alla sua ultima domanda, su che cosa fondiamo la nostra vita apostolica noi missionari?
Ci vorrebbe un volume per spiegare, e nello stesso tempo bastano due parole. Nessuno di noi ha la pretesa di essere santo, anzi vedendo tante miserie negli indigeni, pensiamo di più alle nostre. Tuttavia ci fondiamo solamente sui principi che hanno avuto gli Apostoli e tutti i santi veri, che furono missionari. Potremmo fare degli atti di orgoglio per attività che ci sono riuscite bene, ma vivere continuamente in questa ambizione ci è impossibile, perché si vede all’atto pratico che è Iddio solo che converte, anche se a noi sembra di usare il mezzo migliore. Come Le ho già detto in altra occasione, non ci lasciamo mai mancare le pratiche di pietà che, con la S. Messa, meditazione, lettura spirituale ci alimentano continuamente. Rarissimo, ci adattiamo a lasciare il breviario. Capita sì, ma in modo oltremodo raro.
E quanti sacrifici, di tutte le qualità! Sono tanti, che pure noi ce li dimentichiamo, ed arriviamo al punto di non accorgercene: acqua che manca, viaggi talora disastrosi, mancanza di tantissime cose, fango, polvere, vento, bestie (comprese le cimici e i pidocchi), sentieri impraticabili, erbacce, fiumi ecc… non parliamo poi delle febbri, acciacchi e altre malattie, che non posso proprio enumerare. Una croce morale non piccola può essere la mancanza di persone a cui chiedere consiglio. Bisogna averla provata questa pena per poterne apprezzare il valore. Tutto ciò, ed altro ancora lo si offre a Dio per le anime; e così paghiamo il nostro contributo per la loro salvezza.
Ma in tante difficoltà guai se il Missionario non prega e non vive una vita interiore intensa.
È sempre la croce che porta le anime al cielo. Noi qui, sebbene ne vediamo la utilità, non abbiamo nulla che possa attirare gli indigeni, come il cinema, gli sports ed altri divertimenti. Moltissime volte ci è impossibile fornire loro una semplice palla di gomma per giocare con le mani. Non abbiamo i mezzi. Ora perché si convertono questi indigeni? Non certamente per cose materiali che li attirano, ma per la grazia di Dio che dopo di aver lavorato in noi, penetra nei loro cuori. Molte volte anche il nostro zelo esterno sembra produca poco, ma lo sforzo  nostro interiore benedetto da Dio converte le anime ed estende il regno del Signore.
Caro Confratello, per questa volta, basta. Siate santi e pregate per me. Ai Suoi Superiori, ai Suoi compagni e a Lei in particolare invio saluti di vero cuore. E intanto dico: arrivederci in Africa.

Aff.mo
P. Abondio Oberto

Da A.MI.CO. N.3 – 1958

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