Slow page dei Missionari della consolata

Evangelii gaudium. Capaci di accoglienza

Evangelizzatori con spirito

Ecco il terzo di tre schemi d’incontro per animare gruppi giovanili a partire dall’esortazione apostolica di papa Francesco, «Evangelii gaudium», in occasione del decennale dalla sua pubblicazione.

Tema: essere evangelizzatori con Spirito. Capaci di accoglienza, integrazione, ricerca del bene comune.
Obiettivo: partendo dal capitolo 5 dell’esortazione, aiutare i giovani a sentirsi evangelizzatori accoglienti.
Durata dell’incontro: due ore.
Destinatari: dai 17 anni in su.
Materiale: Pc, proiettore, carta, penne.

Dopo un gioco «rompighiaccio» tra i partecipanti, l’animatore proponga il canto «Luce» dei Reale, e un momento di preghiera sulle seguenti parole di don Tonino Bello:

«La pace è convivialità. È mangiare il pane insieme con gli altri, senza separarsi. E l’altro è un volto da scoprire, da contemplare, da togliere dalle nebbie dell’omologazione, dell’appiattimento. Un volto da contemplare, da guardare e da accarezzare, e la carezza è un dono. La carezza non è mai un prendere per portare a sé, è sempre un dare. E la pace cos’è? È convivialità delle differenze. È mettersi a sedere alla stessa tavola fra persone diverse, che noi siamo chiamati a servire».

Successivamente, senza ancora esplicitare il tema dell’incontro, l’animatore distribuisce ai partecipanti diversi fili colorati che ciascuno si legherà al polso. Ogni ragazzo avrà un colore diverso dagli altri.
Si legga poi la seguente massima dello scrittore indiano Deepak Chopra: «Ognuno di noi è un filo unico e irripetibile nell’intricata rete della vita ed è qui per dare un contributo».
Si inviti dunque a fare una condivisione a due a due o in piccoli gruppi da tre o quattro ragazzi sul contributo che ciascuno pensa di poter dare al mondo, al bene comune, all’umanità, alla luce di ciò che ha compreso dei propri doni.

Unicità e unità

Dopo la condivisione nei gruppi, l’animatore sottolinea l’importanza di comunicare ad altri i nostri desideri di bene e le nostre capacità. È bello riflettere sulla nostra unicità, bellezza, ma anche interdipendenza. L’unicità e l’interdipendenza sono entrambe rappresentate dal filo colorato. Tutti i fili sono fatti dallo stesso materiale, allo stesso tempo ciascuno ha un colore diverso. Anche noi siamo così: tutti esseri umani fatti di carne, ossa, sangue e acqua. Tutti figli dello stesso Padre e parte nella stessa umanità.
Ci possiamo quindi chiedere: qual è il contributo personale (il mio colore) che sto dando con la mia vita e con la mia umanità? Quale contributo per costruire un mondo più fraterno, in cui ciascuno si senta rispettato e amato per come è?

Ubuntu

Ora l’animatore legga (o racconti) la seguente storia:

Un antropologo propose un gioco ad alcuni bambini di una tribù africana. Mise un cesto di frutta vicino a un albero e disse ai bambini che chi sarebbe arrivato prima avrebbe vinto tutta la frutta. Quando fu dato il segnale per partire, tutti i bambini si presero per mano e si misero a correre insieme, dopodiché, una volta preso il cesto, si sedettero e si godettero insieme il premio.
Quando fu chiesto ai bambini perché avessero voluto correre insieme, risposero: «Ubuntu! Come potrebbe uno essere felice se tutti gli altri sono tristi?». «Ubuntu» vuol dire: «Io sono ciò che sono per merito di ciò che siamo tutti insieme».
Ubuntu è una parola bantu che rappresenta una filosofia di vita.
Nelson Mandela, grande leader sudafricano e protagonista della lotta contro l’apartheid, in un’intervista spiegò: «Nei tempi andati, […], un viaggiatore che attraversasse il nostro paese, fermandosi in un villaggio non avrebbe dovuto chiedere acqua e cibo. La gente gli avrebbe offerto cibo, spontaneamente, intrattenendolo. Dopo tre giorni, quella stessa gente gli avrebbe offerto una zappa affinché collaborasse nella produzione di quei beni che con la comunità avrebbe felicemente potuto condividere.
[…] Ubuntu […] ha a che fare con il modo in cui una persona considera gli altri e come vede sé stessa all’interno delle sue relazioni […].
Ubuntu rimanda a un principio fondamentale della filosofia africana: l’essenza di cosa significhi essere “umani”. La definizione di questo concetto consta di due parti. La prima significa che la persona è gentile, ospitale, generosa, affettuosa, premurosa e compassionevole. In altri termini, è qualcuno che userà le proprie energie in favore degli altri e che non si approfitterà di nessuno. Questa persona tratta gli altri così come vorrebbe essere trattata e da qui deriva la seconda parte del concetto, che riguarda la sua apertura […]: condivide il suo valore e, comportandosi in quel modo, riconosce la mia umanità, che diventa indissolubilmente legata alla sua. “Una persona è una persona grazie ad altre persone”. Nessuno viene al mondo già completamente formato. Abbiamo bisogno di altri esseri umani per essere umani. […] è nostra inclinazione naturale essere collaborativi e aiutarci.
Non ci concepiamo nei termini “penso dunque sono” – proseguì ancora Mandela -, bensì: “Io sono umano perché appartengo, partecipo, condivido”.
Così, la vita è considerata, nella cosmovisione africana, come il valore più grande, il bene supremo. […] tutti gli altri valori […] rimangono senza alcun fondamento se non servono a generare più vita; vivere l’ubuntu significa, allora, vivere sempre con valori finalizzati ad accrescere tanto la propria vita quanto quella degli altri. È questo essere persona!».

Con Spirito

L’animatore chieda ai giovani un feedback su quanto detto circa l’ubuntu. Dopodiché li divide in piccoli gruppi dando a ciascuno un brano della Evangelii Gaudium. Ogni gruppo legge il proprio brano e ne parla. Poi sceglie un rappresentante che riporterà in plenaria i contenuti del brano e la condivisione del gruppo.

Ecco i brani suggeriti:

261. «Quando si afferma che qualcosa ha “spirito”, questo indica di solito qualche movente interiore che dà impulso, motiva, incoraggia e dà senso all’azione personale e comunitaria. Un’evangelizzazione con spirito è molto diversa da un insieme di compiti vissuti come un pesante obbligo che semplicemente si tollera […]. In definitiva […] è un’evangelizzazione con Spirito Santo».

262. «Evangelizzatori con Spirito significa evangelizzatori che pregano e lavorano. […] non servono né le proposte mistiche senza un forte impegno sociale e missionario, né i discorsi e le prassi sociali e pastorali senza una spiritualità che trasformi il cuore».

264. «La prima motivazione per evangelizzare è l’amore di Gesù che abbiamo ricevuto, l’esperienza di essere salvati da Lui […]. Però, che amore è quello che non sente la necessità di parlare della persona amata, di presentarla, di farla conoscere?».

265. «Tutta la vita di Gesù, il suo modo di trattare i poveri, i suoi gesti, la sua coerenza, la sua generosità quotidiana e semplice, e infine la sua dedizione totale, tutto è prezioso e parla alla nostra vita personale».

268. «La Parola di Dio ci invita anche a riconoscere che siamo popolo: “Un tempo voi eravate non-popolo, ora invece siete popolo di Dio” (1 Pt 2,10). Per essere evangelizzatori autentici occorre anche sviluppare il gusto spirituale di rimanere vicini alla vita della gente, fino al punto di scoprire che ciò diventa fonte di una gioia superiore».

269. «Gesù stesso è il modello [della] scelta evangelizzatrice che ci introduce nel cuore del popolo. Quanto bene ci fa vederlo vicino a tutti! Se parlava con qualcuno, guardava i suoi occhi con una profonda attenzione piena d’amore: “Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò” (Mc 10, 21)».

273. «La missione al cuore del popolo non è […] un ornamento che mi posso togliere, non è un’appendice, o un momento tra i tanti dell’esistenza. È qualcosa che non posso sradicare dal mio essere se non voglio distruggermi. Io sono una missione su questa terra […]. Bisogna riconoscere sé stessi come marcati a fuoco da tale missione di illuminare, benedire, vivificare, sollevare, guarire, liberare».

Conclusione

Ci auguriamo dunque di essere evangelizzatori con Spirito, capaci di accoglienza, integrazione e ricerca del bene comune.
Si può chiudere l’incontro pregando assieme le parole che concludono l’Evangelii Gaudium:

«Vergine e Madre Maria,
tu che, mossa dallo Spirito,
hai accolto il Verbo della vita
nella profondità della tua umile fede,
totalmente donata all’Eterno,
aiutaci a dire il nostro “sì”
nell’urgenza, più imperiosa che mai,
di far risuonare la Buona Notizia di Gesù.
Tu, ricolma della presenza di Cristo,
hai portato la gioia a Giovanni il Battista,
facendolo esultare nel seno di sua madre.
Tu, trasalendo di giubilo,
hai cantato le meraviglie del Signore.
Tu, che rimanesti ferma davanti alla Croce
con una fede incrollabile,
e ricevesti la gioiosa consolazione della risurrezione,
hai radunato i discepoli nell’attesa dello Spirito
perché nascesse la Chiesa evangelizzatrice.
Ottienici ora un nuovo ardore di risorti
per portare a tutti il Vangelo della vita
che vince la morte.
Dacci la santa audacia di cercare nuove strade
perché giunga a tutti
il dono della bellezza che non si spegne.
Tu, Vergine dell’ascolto e della contemplazione,
madre dell’amore, sposa delle nozze eterne,
intercedi per la Chiesa, della quale sei l’icona purissima,
perché mai si rinchiuda e mai si fermi
nella sua passione per instaurare il Regno.
Stella della nuova evangelizzazione,
aiutaci a risplendere nella testimonianza della comunione,
del servizio, della fede ardente e generosa,
della giustizia e dell’amore verso i poveri,
perché la gioia del Vangelo
giunga sino ai confini della terra
e nessuna periferia sia priva della sua luce.
Madre del Vangelo vivente,
sorgente di gioia per i piccoli,
prega per noi.
Amen. Alleluia».

Canto finale: «Con te camminerò» dei Gen Verde.

di Elena Salvagnin

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