Paolo non tratta del matrimonio e del celibato in modo generale, ma risponde ad alcuni quesiti concreti che gli sono posti dalla comunità di Corinto.
Egli tratta:
– delle persone sposate (la coppia cristiana 7,1-11; il matrimonio tra cristiani e pagani 7,12-16) e
– delle persone non sposate (le vergini 25-35; i fidanzati 36-38; le vedove 39-40).
La coppia cristiana (1Cor 7,1-11)
Paolo comincia qui a rispondere ai quesiti dei Corinti. Per primo si rivolge agli sposati.
1Riguardo a ciò che mi avete scritto, è cosa buona per l’uomo non toccare donna, 2ma, a motivo dei casi di immoralità, ciascuno abbia la propria moglie e ogni donna il proprio marito.
3Il marito dia alla moglie ciò che le è dovuto; ugualmente anche la moglie al marito. 4La moglie non è padrona del proprio corpo, ma lo è il marito; allo stesso modo anche il marito non è padrone del proprio corpo, ma lo è la moglie. 5Non rifiutatevi l’un l’altro, se non di comune accordo e temporaneamente, per dedicarvi alla preghiera. Poi tornate insieme, perché Satana non vi tenti mediante la vostra incontinenza. 6Questo lo dico per condiscendenza, non per comando.
All’estremo opposto di coloro che dichiaravano «l’amore libero» vi erano quelli che escludevano il matrimonio (1) e le relazioni sessuali anche all’interno del matrimonio, d’accordo con la filosofia delle sette ascetiche. C’era proprio di tutto in quella comunità pluralista di Corinto!
Paolo sostiene la coppia. Riconosce anzitutto la normale inclinazione sessuale di ogni essere umano, anche dei credenti di Corinto, e considera il matrimonio come il canale concreto di vivere tale inclinazione. Possiede come sfondo il comandamento biblico di lasciar la propria famiglia e vivere col proprio coniuge e moltiplicarsi nei figli (Gn 1,28; 2,24). È chiaro il riconoscimento da parte di Paolo dell’uguaglianza dei coniugi quanto ai diritti reciprochi. La moglie non è possesso del marito. In quanto alla sessualità condivisa è tassativo «non rifiutatevi l’un l’altro se non di comune accordo e per breve tempo e per dedicarvi alla preghiera» (5). L’Apostolo conosce bene la tradizione biblica che ha cantato ed esaltato con tanto realismo e poesia il gusto dell’incontro sessuale. Paolo accetta, tuttavia, certi periodi di continenza periodica temporanea per dedicarsi alla preghiera, però dice agli sposati che non esagerino per evitare che il rimedio sia peggiore del male. Riassumendo si può dire che per Paolo il matrimonio è un dono carisma di Dio che porta con sè una missione fondamentale nella società.
7Vorrei che tutti fossero come me; ma ciascuno riceve da Dio il proprio dono, chi in un modo, chi in un altro
Al termine di queste considerazioni rivolte agli sposati, l’Apostolo aggiunge una frase che è stata manipolata e mal interpretata da molti: «Vorrei che tutti fossero come me» (7), cioè celibe. Che messaggio voleva trasmettere ai Corinti Paolo? Sta proponendo il celibato come ideale supremo per coloro che seguono Gesù? Certamente no. Paolo non concepisce il celibato come prodezza dello sforzo e dell’autocontrollo, ma piuttosto come un carisma (un termine caro a Paolo), a somiglianza del matrimonio, un dono gratuito di Dio.
Tra i diversi doni o carismi che Dio ci regala non esiste la categoria di inferiore e superiore. Detto in altro modo, il religioso (consacrato) o la religiosa che vivono il loro voto di castità per il regno di Dio, non sono stati chiamati a nessuno «stato di perfezione» (espressione tecnica che è già stata cancellata dalla teologia della Vita Consacrata) superiore allo «stato dei coniugati».
8Ai non sposati e alle vedove dico: è cosa buona per loro rimanere come sono io; 9ma se non sanno dominarsi, si sposino: è meglio sposarsi che bruciare.
10Agli sposati ordino, non io, ma il Signore: la moglie non si separi dal marito – 11e qualora si separi, rimanga senza sposarsi o si riconcili con il marito – e il marito non ripudi la moglie.
Paolo si rivolge, quindi, ai celibi e alle vedove della comunità dicendo loro di rimanere come sono, cioè celibi, se questo è il loro carisma, se no «è meglio sposarsi che bruciare» (9). Ritornerà ancora, più tardi, sul tema del celibato e del matrimonio. Adesso l’Apostolo si rivolge un’altra volta ai coniugati ricordando loro, come legge del Signore (cf Mc 10,1-12), l’indissolubilità del matrimonio, almeno come ideale da raggiungere.
Il matrimonio tra cristiani e pagani (1Cor 7,12-16)
Questa legge del Signore non è un assoluto «senza ma». Di fatto stabilisce subito un’eccezione alla regola (12-16) nel caso concreto dei matrimoni misti, tanto comuni, come sembra, nella comunità di Corinto.
12Agli altri dico io, non il Signore: se un fratello ha la moglie non credente e questa acconsente a rimanere con lui, non la ripudi; 13e una donna che abbia il marito non credente, se questi acconsente a rimanere con lei, non lo ripudi. 14Il marito non credente, infatti, viene reso santo dalla moglie credente e la moglie non credente viene resa santa dal marito credente; altrimenti i vostri figli sarebbero impuri, ora invece sono santi. 15Ma se il non credente vuole separarsi, si separi; in queste circostanze il fratello o la sorella non sono soggetti a schiavitù: Dio vi ha chiamati a stare in pace! 16E che sai tu, donna, se salverai il marito? O che ne sai tu, uomo, se salverai la moglie?
Paolo dettaglia minuziosamente i casi possibili, riferendosi al potere di santificazione che appartiene tanto al marito che alla moglie cristiana, capace di trasformare sia il coniuge non cristiano che i figli di entrambi, realizzando così un matrimonio indissolubile e felice.
Per questo motivo, se la convivenza è impossibile e il coniuge non cristiano si separa, la parte cristiana rimane libera e può sposarsi nuovamente. Si radica qui quello che è chiamato «privilegio paolino» riconosciuto da sempre nella chiesa, come caso particolare nel quale il matrimonio si può dissolvere. Comunque sia, Paolo conclude che «il Signore ci ha chiamato a vivere in pace» (15). È questo il criterio dell’Apostolo per decidere sulle situazioni matrimoniali ritenute insostenibili, siano o no sotto «il privilegio paolino». In definitiva la legge dell’indissolubilità matrimoniale dovrà sempre cedere il passo alla legge della carità.
Non cambiare stato di vita (1Cor 7,17-24)
I versetti successivi sembrano una specie di riassunto:
17Fuori di questi casi, ciascuno – come il Signore gli ha assegnato – continui a vivere come era quando Dio lo ha chiamato; così dispongo in tutte le Chiese. 18Qualcuno è stato chiamato quando era circonciso? Non lo nasconda! È stato chiamato quando non era circonciso? Non si faccia circoncidere! 19La circoncisione non conta nulla, e la non circoncisione non conta nulla; conta invece l’osservanza dei comandamenti di Dio. 20Ciascuno rimanga nella condizione in cui era quando fu chiamato. 21Sei stato chiamato da schiavo? Non ti preoccupare; anche se puoi diventare libero, approfitta piuttosto della tua condizione! 22Perché lo schiavo che è stato chiamato nel Signore è un uomo libero, a servizio del Signore! Allo stesso modo chi è stato chiamato da libero è schiavo di Cristo. 23Siete stati comprati a caro prezzo: non fatevi schiavi degli uomini! 24Ciascuno, fratelli, rimanga davanti a Dio in quella condizione in cui era quando è stato chiamato.
Come regola generale, i coniugati rimangano come sono, le vedove pure, i celibi nel loro stato di celibato. Però Paolo applica ora questa regola ad altre situazioni socio religiose: rimanere circonciso o no, schiavo o libero. Dice cioè: la chiamata di Cristo non è legata a nessuna classe o condizione sociale. Le assume tutte, e nello stesso tempo le relativizza tutte.
In un piano più alto, la distinzione tra schiavo o libero resta invertita con guadagno per entrambe: essere Cristiano è un’emancipazione per lo schiavo (cf Gal 5,1). Essere servo di Cristo è un onore per il libero.
L’importante è appartenere a Cristo che ci ha comprati a un grande prezzo: il suo sangue. Ciò nonostante, dice Paolo, gli schiavi che possono ottenere la libertà lo facciano.
Si mostra qui l’indifferenza dell’Apostolo circa la schiavitù o in generale circa la situazione sociale dei Corinti? Sarebbe ingiusto attribuire una tale noncuranza a Paolo. L’orizzonte dal quale Paolo si pone è quello del risultato finale della storia che sta già approssimandosi. Da questa prospettiva, ciò che è assolutamente necessario, che è l’appartenenza a Cristo, relativizza tutto il resto.
Matrimonio e verginità (1Cor 7,25-40)
Siamo davanti a un passaggio che ha generato una grande diversità di interpretazioni. Inoltre alcune parole di Paolo possono essere tradotte in modo diverso. La domanda cui l’Apostolo cerca di rispondere è questa: matrimonio o celibato, qual è meglio? La domanda non si riferiva al matrimonio in generale, perché una risposta a riguardo l’ha già data in precedenza. Sembra che coloro che proponevano questa domanda fossero dei giovani celibi di ambo i sessi – non molti sicuramente – i quali, davanti alla scelta celibataria di Paolo, stavano pensando a simile scelta di vita. Si trattava di giovani che si erano impegnati nel compito di evangelizzatori nella comunità di Corinto e di quelli che Paolo considerava suoi più diretti collaboratori? È probabile.
25Riguardo alle vergini, non ho alcun comando dal Signore, ma dò un consiglio, come uno che ha ottenuto misericordia dal Signore e merita fiducia. 26Penso dunque che sia bene per l’uomo, a causa delle presenti difficoltà, rimanere così com’è. 27Ti trovi legato a una donna? Non cercare di scioglierti. Sei libero da donna? Non andare a cercarla. 28Però se ti sposi non fai peccato; e se la giovane prende marito, non fa peccato. Tuttavia costoro avranno tribolazioni nella loro vita, e io vorrei risparmiarvele.
L’Apostolo sembra quasi perplesso su che risposta dare. Per questo comincia col dire che non ha alcun comandamento del Signore al riguardo. Può soltanto dare un suo consiglio, basato sulla sua esperienza della missione apostolica e come persona degna di fiducia quale egli è per misericordia di Dio.
Più avanti dirà che anche lui ha lo Spirito del Signore. Si tratta di un consiglio apostolico orientato alla missione. Supponendo la possible esistenza del carisma celibatario missionario (7,7) in questi giovani, Paolo dice loro che tra due beni da scegliere, celibato o matrimonio, per loro è meglio il celibato. Appoggia questo consiglio in primo luogo per le tribolazioni che stava loro causando la loro totale dedizione al vangelo, che aveva già menzionato prima (4,11-13).
Sarebbe compatibile questo con le necessarie preoccupazioni richieste dalla vita matrimoniale? Paolo non sta negando o relativizzando in assoluto la vocazione dei coniugati a lavorare per il vangelo. Niente di più lontano dalle sue intenzioni. L’Apostolo si riferisce a un carisma nuovo che sta sorgendo nelle comunità cristiane e, in concreto, anche in Corinto: l’opzione per una vita celibe per potersi «occupare delle cose del Signore per essere santi nel corpo e nello spirito» (34). A questo carisma del celibato per il regno di Dio, ad imitazione di Gesù e di se stesso, l’Apostolo cerca di dare la carta di legittimità nella Chiesa (cf Mt 19,21). E più ancora, lo crede necessario nella comunità cristiana, senza paragoni di superiorità o inferiorità nei confronti del matrimonio.
Il carisma o dono vocazionale che il Signore dà a ogni persona è il migliore per lui e ciascuno ha diritto a sottolineare i vantaggi del cammino scelto.
29Questo vi dico, fratelli: il tempo si è fatto breve; d’ora innanzi, quelli che hanno moglie, vivano come se non l’avessero; 30quelli che piangono, come se non piangessero; quelli che gioiscono, come se non gioissero; quelli che comprano, come se non possedessero; 31quelli che usano i beni del mondo, come se non li usassero pienamente: passa infatti la figura di questo mondo! 32Io vorrei che foste senza preoccupazioni: chi non è sposato si preoccupa delle cose del Signore, come possa piacere al Signore; 33chi è sposato invece si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere alla moglie, 34e si trova diviso! Così la donna non sposata, come la vergine, si preoccupa delle cose del Signore, per essere santa nel corpo e nello spirito; la donna sposata invece si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere al marito. 35Questo lo dico per il vostro bene: non per gettarvi un laccio, ma perché vi comportiate degnamente e restiate fedeli al Signore, senza deviazioni.
36Se però qualcuno ritiene di non comportarsi in modo conveniente verso la sua vergine, qualora essa abbia passato il fiore dell’età – e conviene che accada così – faccia ciò che vuole: non pecca; si sposino pure! 37Chi invece è fermamente deciso in cuor suo – pur non avendo nessuna necessità, ma essendo arbitro della propria volontà – chi, dunque, ha deliberato in cuor suo di conservare la sua vergine, fa bene. 38In conclusione, colui che dà in sposa la sua vergine fa bene, e chi non la dà in sposa fa meglio.
39La moglie è vincolata per tutto il tempo in cui vive il marito; ma se il marito muore è libera di sposare chi vuole, purché ciò avvenga nel Signore. 40Ma se rimane così com’è, a mio parere è meglio; credo infatti di avere anch’io lo Spirito di Dio.
Ad ogni modo, l’orizzonte, il punto di vista in cui si muove l’Apostolo, è il futuro regno di Dio che già ha fatto irruzione nel nostro presente quotidiano, relativizzando e orientando tutta l’attività umana verso il «poi» che sarà il destino di tutti. È questa la prospettiva dalla quale giudica la condotta esistenziale cristiana nel teatro di questo mondo, «coloro che hanno moglie vivano come se non l’avessero, quelli che piangono come se non piangessero» (29-31). Nessun disprezzo del mondo, dei suoi affanni e sue conquiste, ma l’orientamento di ogni cosa verso l’unica cosa necessaria: la salvezza definitiva. È realmente questa la funzione del carisma del celibato per il regno di Dio: essere parabola e simbolo fin d’ora, per la chiesa e per il mondo, delle realtà future.
di Mario Barbero
Mario Barbero
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