Cam Torino. Tanzania 2017 /3
Quattordici amici, con differenti età, professioni e appartenenze geografiche (anche se in gran parte di Torino), per 25 giorni a Sanza, Tanzania, accompagnati da padre Daniel Lorunguiya.
Visitare l’Africa è certamente una di quelle esperienze che ti cambiano la vita e restano radicate nel cuore e nella mente, che si tratti di un viaggio di piacere o di un’esperienza missionaria, si torna a casa con la valigia piena di ricordi e di emozioni da elaborare lentamente, pole pole (piano piano in swahili, la lingua locale).
La nostra esperienza è stata di tipo missionario. Siamo un gruppo di 14 persone provenienti da varie parti d’Italia, che quest’anno hanno deciso di farsi un grande dono e di partire per l’Africa ed in particolare per la Tanzania, per poter toccare con mano una realtà completamente differente dalla nostra in tutti i suoi aspetti. Alcuni di noi si conoscevano già prima della partenza, condividendo dei profondi rapporti di amicizia. Questo ha certamente rappresentato un grande valore aggiunto per tutto il gruppo e per coloro che si sono aggiunti in seguito, ed ha contribuito a creare coesione e maturità (l’età dei componenti varia tra 22 e 50 anni).
Partire per una missione di questo tipo richiede tanto lavoro, una grande preparazione personale e di gruppo, tempo da dedicare per organizzare minuziosamente ogni singolo aspetto del viaggio e della permanenza. E noi abbiamo fatto proprio così. Siamo partiti con largo anticipo nell’autunno dello scorso anno rivolgendoci ai Missionari della Consolata di Torino, i quali ci hanno immediatamente accolti con ospitalità e fratellanza. In particolare abbiamo fatto la conoscenza di padre Daniel Lorunguya, Missionario che proprio quest’anno festeggia il decimo anniversario dalla sua ordinazione sacerdotale, il quale ci ha presentato il progetto missionario che sarebbe partito quest’estate: quello per Sanza, in Tanzania. Non molto tempo dopo avremmo poi scoperto che proprio padre Daniel, il nostro primo incontro qui al Cam (Centro di Animazione Missionaria) di Torino, sarebbe stato il nostro prezioso accompagnatore durante questo lungo viaggio di vita.
In questi mesi di preparazione ci siamo occupati di raccogliere fondi da poter investire una volta giunti a Sanza, organizzando eventi benefici e creando delle t-shirt da vendere; abbiamo inoltre raccolto materiale (abbigliamento e cancelleria) da poter donare alla gente del posto, ma abbiamo soprattutto affrontato un percorso di gruppo che ci ha portato a maturare una consapevolezza maggiore nei confronti dell’esperienza che ci apprestavamo a vivere.
Un’esperienza durata ben 25 giorni e iniziata il 6 agosto su un aereo che ci ha condotti a Dar EsSalaam, la più grande città della Tanzania. Da lì un altro lungo viaggio in pullman verso la capitale Dodoma e, una volta giunti, ancora 100 kilometri da percorre in jeep. Mentre assaporiamo quest’ultimo tratto di strada, l’asfalto lascia pian piano il posto alla terra battuta, sterrata, gialla, costellata da un numero infinito di Baobab, l’albero tipico di queste zone. Ora più che mai il paesaggio inizia ad assumere il suo aspetto tipicamente africano.
Sanza ci aspetta, è arrivato il momento. Arriviamo alla “Missione” (il luogo che ci accoglierà e ospiterà per 15 giorni) dopo circa 2 ore durante le quali il sole lascia il posto al nostro primo cielo stellato africano,e ad attenderci ci sono loro, le persone del posto. Donne e bambini, uomini e anziani, con la loro musica, i canti, i suoni dei tamburi, ma soprattutto il loro cuore. Hanno organizzato tutto questo per noi, quest’accoglienza così inaspettata che ci catapulta immediatamente nel loro mondo.
La missione è davvero iniziata.
Facciamo la conoscenza di padre Mbuba, perché qui è lui che coordina e gestisce la Casa dei Missionari insieme alle sue innumerevoli attività, e a quelle dei 20 villaggi vicini. Al momento è rimasto solo a occuparsi di tutto, da quando il padre che era assieme a lui ci ha lasciati, e perciò la nostra presenza è per lui una boccata di ossigeno e di aria nuova. Durante la permanenza qui a Sanza, padre Mbuba insieme a padre Daniel è stato il nostro riferimento principale per qualsiasi necessità.
Le giornate a Sanza iniziano a scorrere ma soprattutto a essere vissute. Giorno dopo giorno veniamo proiettati in realtà a volte simili, ma sempre diverse, durante le nostre visite ai villaggi qui intorno.
I villaggi africani, quelli di Sanza in particolare, sono fatti e vissuti dalla gente che ci abita e che quotidianamente affronta la vita e le sue difficoltà con il sorriso e con i tempi africani a cui anche noi piano piano ci siamo abituati durante la permanenza.
La popolazione qui è molto credente e la fede è certamente una grande forza per andare avanti e restare uniti, e viene vissuta come un grande momento di festa in cui tutto il villaggio si riunisce per celebrare il signore in una cerimonia che è certamente molto diversa dalle nostre: canti di gioia e balli armoniosi contribuiscono a creare una magia del tutto nuova ai nostri occhi, che ci trascina e ci rende partecipi del loro momento di festa, che diventa anche un pò nostro.
Ad accoglierci durante le visite troviamo sempre una piccola delegazione del villaggio composta per la maggior parte delle volte dal capo villaggio, dal catechista, da uno o più maestri, e da qualche abitante curioso; ci portano in visita nei loro luoghi più importanti che scopriamo essere la chiesa, la scuola, i pozzi d’acqua, e l’infermeria o piccolo ospedale quando c’è. Nei loro occhi cogliamo l’orgoglio di renderci partecipi di tutto questo, così come spesso vediamo affiorare la preoccupazione per i problemi che sono costretti a vivere: una pompa dell’acqua rotta da poco, la classe di una scuola senza pavimento o senza porta, la sacrestia della chiesa con il tetto scoperchiato dal vento, pozzi che ancora non donano l’acqua che custodiscono, bambini costretti a percorrere 20 kilometri al giorno solo per poter seguire le lezioni a scuola, edifici costruiti per metà e abbandonati da anni per la mancanza di fondi. Certamente in loro c’è la speranza che la nostra presenza lì possa essere d’aiuto in qualche modo, che magari possiamo contribuire economicamente a sopperire alle grandi mancanze con le quali quotidianamente devono combattere. Ma purtroppo non può essere così. I nostri fondi non sono tantissimi, e proprio come già sapevamo da tempo grazie alle parole di padre Daniel, non ci resta che riflettere scrupolosamente su tutto ciò che abbiamo visto per cercare di prendere la decisione migliore che possa aiutare più persone possibile.
Già ancora prima di partire sapevamo che ci saremmo trovati davanti ad una scelta importante come questa, così come eravamo consapevoli che il problema principale a Sanza era l’acqua: pozzi secchi, pompe idrauliche vecchie e mal funzionanti, letti del fiume inariditi. Proprio per questi motivi fin dalla nostra sensibilizzazione per la raccolta fondi avevamo concentrato i nostri sforzi verso quest’obiettivo così importante, proprio perché l’acqua è vita, e senza di essa non ci può essere tutto il resto.
Decidiamo dunque di investire i fondi raccolti per aiutare a fronteggiare in parte queste difficoltà, consapevoli però di tutti gli altri problemi che abbiamo potuto toccare con mano nei villaggi, conoscendo la gente del luogo e parlando con essa. Perché la missione non finisce una volta rientrati nelle proprie case, anzi, è proprio lì che ha veramente inizio, perché è soprattutto qui che abbiamo il potere di diffondere tutto ciò abbiamo visto e appreso da questa esperienza, raccontando certamente il bello della Tanzania, dei suoi paesaggi sconfinati e della sua gente dal cuore grande, ma soprattutto portando a conoscenza di tutto quello che ancora non va e per il quale noi possiamo fare molto con poco.
di Daniele Giaffreda
Leggi le altre testimonianze dei giovani del gruppo e la lettera di una delle loro mamme prima della partenza.
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Daniele Giaffreda
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