Ha cominciato tutti i suoi discorsi con Salam aleykum (la pace sia con voi) perché quello che portava era un messaggio di pace. Così Papa Francesco ha vissuto il suo viaggio in Egitto. Un viaggio pianificato da tempo e rimasto confermato nonostante gli attacchi contro le chiese cristiane la domenica delle Palme, un viaggio per cui il pontefice non ha voluto ulteriori misure di sicurezza rispetto a quelle normalmente previste nei suoi viaggi, un viaggio in tutto caratterizzato da un messaggio di pace e di dialogo contro gli estremismi.
Papa Francesco è andato al Cairo per quattro inviti che aveva ricevuto: dal Presidente della Repubblica, da Sua Santità il Patriarca Copto ortodosso Tawadros II, dal Grande Imam di Al-Azhar e dal Patriarca Copto cattolico.
Per riprendere un dialogo interrotto
Tra il Vaticano e Al-Azhar, una delle più importanti istituzioni religiose dell’Islam sunnita, le relazioni si erano interrotte nel 2011 e sono riprese solo recentemente a partire da febbraio di quest’anno con la visita di una delegazione del Vaticano al Cairo in occasione del seminario “Sulla lotta contro il fanatismo, l’estremismo e la violenza in nome della religione”, anche se già a marzo 2016 la Santa Sede aveva ricevuto a Roma una delegazione, allo scopo di “riprendere anche in forme nuove il dialogo a servizio della pace”. In quell’occasione della delegazione aveva fatto parte anche lo Sheikh Ahmed al Tayyeb, grande imam dell’Università di Al-Azhar. Il viaggio di Francesco è stato la risposta a questa visita e il segno del desiderio di continuare sulla strada del dialogo e della costruzione della pace.
Proprio accanto al grande imam, Francesco è, infatti, intervenuto nella sessione conclusiva della Conferenza per la Pace organizzata proprio da Al-Azhar. La conferenza si poneva l’obiettivo di inviare “un messaggio al mondo intero per la pace tra leader religiosi, società, tra tutti i paesi del mondo” in un momento in cui “si parla nel nome delle religioni, si uccide nel nome delle religioni”. Al termine della conferenza è stata inoltre firmata la “Dichiarazione di Al Azhar sulla mutua coesistenza islamocristiana”, che sollecita a “rifiutare la violenza in nome di Dio, invitando al rispetto e alla convivenza pacifica tra cristiani e musulmani sulla base dello stato di diritto, dell’uguaglianza e del concetto di cittadinanza”, cittadinanza come garanzia di convivenza tra musulmani e non-musulmani su un piano di parità.
Contro una visione distorta dell’Islam
Perché Al-Azhar e la visita del papa ad Al-Azhar sono particolarmente importanti in questo momento? Perché la Moschea-Università di Al-Azhar è uno dei riferimenti centrali dell’islam sunnita e perché si è più volte schierata pubblicamente contro lo Stato Islamico, i suoi messaggi e i suoi attacchi attirandosi anche critiche e appare volersi presentare al mondo come centro impegnato a contrastare le visioni distorte dell’Islam. Tra i critici verso l’operato della moschea-università, come fa notare Michele Brignone, direttore scientifico della Fondazione Oasis, ci sono coloro che ritengono Al-Azhar, però, incapace di rinnovare realmente il pensiero islamico, accusandola di difendere la stessa tradizione di cui si servono i jihadisti per giustificare i propri atti. Inoltre il grande imam ha, in più occasioni, definito i jihadisti “musulmani che sbagliano, ma restando musulmani”. Altre critiche riguardano dunque i proclami di Al-Azhar di voler rompere l’associazione tra Islam e terrorismo, ma evitando di dire chiaramente che i militanti jihadisti non appartengono all’Islam. Secondo Brignone, però, “Questa logica non è così insensata poiché, vedendo quanta violenza sta generando la pratica del takfir (l’accusa di miscredenza), usato dai jihadisti per attaccare indiscriminatamente musulmani e non musulmani, l’imam, in questo modo, rifiuta di partecipare alla gara delle scomuniche”. L’invito al papa, continua Brignone, è, dunque “un’iniziativa coraggiosa da parte di Al-Azhar: in un momento di alta tensione è una presa di posizione chiara a favore del dialogo. Sono gesti che possono incoraggiare anche i fedeli comuni a seguire la stessa strada (…) papa Francesco è riconosciuto da molti, non solo dai cristiani, come un uomo di riconciliazione”. Anche secondo padre Rafic Greiche, portavoce della Chiesa cattolica egiziana, “Tutti gli egiziani, musulmani e cristiani, hanno capito che “egli è un uomo di pace” e questo è “importante a livello spirituale, soprattutto per i musulmani. Sono proprio loro ad aver guardato a papa Francesco con occhi diversi rispetto a leader politici, religiosi o dignitari venuti in passato”.
La questione dei diritti umani
Anche con il presidente Al Sisi e le autorità egiziane papa Francesco ha parlato di pace e, in particolare, del rispetto dei diritti umani. Come ha ricordato il papa: “Il grande patrimonio storico e religioso dell’Egitto e il suo ruolo nella regione mediorientale gli conferiscono un compito peculiare nel cammino verso una pace stabile e duratura, che poggi non sul diritto della forza, ma sulla forza del diritto”. Un messaggio forte e importante in un paese che fatica a trovare un compromesso tra sicurezza e rispetto dei diritti umani. Non possiamo non citare il caso ancora senza risposta del ricercatore italiano Giulio Regeni, brutalmente ucciso al Cairo a gennaio 2016. Il papa ai giornalisti italiani che, nel viaggio di ritorno a Roma, gli chiedevano conto del suo impegno rispetto a questa vicenda ha dimostrato di averla bene in mente e di aver preso profondamente in considerazione le richieste dei genitori di Regeni.
Ecimenismo nel segno della solidarietà e del dialogo
Con i cristiani, invece, l’incontro il patriarca ortodosso Tawadros II è stato un importante segno ecumenico di solidarietà e dialogo. In particolare, il papa ha voluto far sentire la vicinanza della Chiesa Cattolica ai cristiani perseguitati, uniti in un “ecumenismo del sangue”, in un momento di profonda incertezza e paura per i cristiani del paese e dell’intera regione. Già nel messaggio di cordoglio e dura condanna contro gli attentati terroristici che hanno colpito due chiese copte nella domenica delle palme, il patriarca copto cattolico, Ibrahim Isaac Sidrak, aveva dichiarato che “La passione di Cristo continua oggi nel suo popolo. La visita di Papa Francesco sarà per tutto il paese un segno di grande solidarietà ma anche lo stimolo a non piegare la testa davanti al terrorismo delle bandiere nere dello Stato islamico. La nostra risposta alla violenza è fatta di preghiera, di dialogo e di ricerca della convivenza”. I copti ortodossi, sono, la più numerosa tra le comunità cristiane del Medio Oriente, ma, in Egitto, sono una minoranza che ancora subisce forme di discriminazione, socialmente e politicamente. “I cristiani, in Egitto come in ogni nazione della terra, sono chiamati ad essere lievito di fraternità”, ha detto il papa, che ha pregato insieme a Tawadros per i martiri dei recenti attentati “che hanno colpito tragicamente quella venerabile Chiesa”.
«L’unico estremismo ammesso per i credenti è quello della carità»
Da ultimo, il viaggio di papa Francesco è stato un viaggio di vicinanza alla comunità copto cattolica, una delle cinque chiese cattoliche di rito orientale. Secondo i dati forniti dalla Sala stampa vaticana, la popolazione cattolica in Egitto è di 272 mila fedeli in 15 circoscrizioni ecclesiastiche, con 15 parrocchie e 74 centri pastorali. Sedici i vescovi presenti in Egitto, con 484 sacerdoti, 727 religiose professe, 139 catechisti. I fedeli cattolici sono confluiti al Cairo da tutto il paese per un pellegrinaggio di catechesi e animazione spirituale che è culminato con la messa allo stadio dell’aeronautica militare, dove Francesco ha ricordato con forza che “L’unico estremismo ammesso per i credenti è quello della carità! Qualsiasi altro estremismo non viene da Dio e non piace a Lui!”. Dopo la messa il papa ha incontrato i sacerdoti, i religiosi e le religiose e i seminaristi a cui ha chiesto di essere sale e luce, portatori di pace nel Medio Oriente. Per padre Rafic Greiche, portavoce della Chiesa cattolica egiziana, “La grande eredità lasciata dal viaggio apostolico di papa Francesco è stata ‘il dono della pace’, la testimonianza di un pastore ‘che crea ponti’ e ‘annulla le distanze’ fra le persone e fra fedeli di religione diversa”. Infine, l’auspicio, riportato dal sito di informazione Asia News del Pontificio Istituto Missioni Estere, che questo viaggio possa portare maggiore attenzione da parte della politica e dei leader mondiali sulla sorte dei cristiani in Egitto e in tutto il Medio oriente, comunità che hanno migliaia di anni alle spalle e che fanno di tutto per preservare questa terra, perché non sia svuotata della presenza cristiana. Conclude padre Rafic sottolineando l’importanza che i cristiani “inizino a pensare a se stessi come una cosa sola, perché le molte istituzioni presenti in Egitto, funzionanti ma isolate fra loro, possano scoprire il valore, la forza, l’importanza dell’unità”.
di Viviana Premazzi
Viviana Premazzi
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