Slow page dei Missionari della consolata

Dal mondo nel mondo

I racconti di un’estate con i Missionari della Consolata.

Giovani alla Gmg di Lisbona 2023.

Giovani italiani e spagnoli sulle rotte dei migranti. I primi al confine franco italiano, i secondi a Oujda in Marocco. Un gruppo da Torino è andato in Kenya. Decine di giovani della Consolata sono arrivati in Portogallo da tre continenti e dieci paesi diversi per la Gmg di Lisbona. In Calabria si è giocato di gusto in oratorio.
I racconti di un’estate con i Missionari della Consolata.

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GIOVANI SUL CONFINE FRANCO ITALIANO CON I MIGRANTI

Sconfinamenti

Un gruppo di cinque giovani legati ai Missionari della Consolata di casa Milaico a Nervesa della Battaglia (Tv) ha vissuto, lo scorso luglio, una settimana di campo a Torino. Con base nel quartiere più povero e multietnico della città, ha conosciuto diverse realtà di lavoro con gli
ultimi, tra cui il rifugio Massi di Oulx che accoglie i migranti respinti sul
confine francese.
Tutto all’insegna dell’idea di «sconfinamento».

Cosa vi viene in mente se pensate alla parola «sconfinamenti»?
Questa è la domanda iniziale che è stata posta a un gruppo di cinque ragazzi e ragazze tra i 19 e i 20 anni (Elia, Martina, Paola, Pietro e Silvia) che hanno partecipato a un’esperienza estiva con i Missionari della Consolata dal 22 al 29 luglio scorsi nella città di Torino, accompagnati da un’educatrice (l’autrice di questo articolo, ndr) e da padre Piero Demaria.
Ecco le loro risposte. Tutte hanno trovato riscontro nelle realtà che hanno avuto modo di incontrare e conoscere.

1.Sconfinamenti:
«Conoscere nuove realtà, aprirsi a chi è diverso»

Siamo stati ospiti della parrocchia Maria speranza nostra, conosciuta come La Spera, situata nel quartiere Barriera di Milano, uno dei quartieri più marginali della città dove però abbiamo fin da subito respirato un clima di vitalità e apertura culturale, e in cui abbiamo capito che si cerca di vivere la multietnicità come arricchimento della comunità.

2.Sconfinamenti:
«Andare verso l’ignoto, forse incontrare dei pericoli: ci vuole coraggio!».
«Rottura di un confine stabilito da altri»

Siamo stati a Claviere, l’ultimo paese italiano prima del confine con la Francia. Da lì, ogni giorno molti uomini, donne, bambini e bambine migranti rischiano la vita alla ricerca di una dignità e di un futuro migliore verso la Francia, limitati da un confine e da restrizioni che per noi sono inesistenti ma per qualcuno sono barriere concrete e con effetti significativi.
Abbiamo fatto tappa a Oulx, dove si trova il rifugio Massi, una struttura gestita da volontarie e volontari che accolgono e si prendono cura di quei migranti che provano a sconfinare verso la Francia ma vengono respinti alla frontiera dalla polizia francese e ritornano stremati e spesso anche feriti.
Abbiamo poi visitato il Cam, il polo culturale dei Missionari della Consolata a Torino, dove abbiamo avuto la possibilità di vedere il docufilm The milky way e di raccontare a un piccolo pubblico la nostra esperienza al confine.

3.Sconfinamenti:
«Andare oltre al normale schema sociale verso nuovi stili di vita, significa essere diversi o strani?»

Abbiamo incontrato le volontarie e i volontari dell’Ufficio pastorale migranti: per un pomeriggio ci siamo sperimentati con loro nel programma ApeCare: un progetto di unità di strada a Porta Palazzo che da un paio d’anni cerca di farsi vicino alle persone che abitano e frequentano il lungo Dora e vivono in situazioni di difficoltà socioeconomica o di tossicodipendenza.
È stata un’occasione per ascoltare storie, talvolta di difficoltà, e vedere come, anche attraverso la cura del quartiere e la pulizia delle strade e dei parchi, si creino relazioni con le persone, tanto significative che per qualcuna di loro può essere un’ancora di salvezza.

4.Sconfinamenti:
«Essere fuori dagli schemi»

Siamo stati sulla collina torinese all’Arsenale dell’armonia del Sermig. Lì alcune famiglie e alcuni consacrati hanno scelto di vivere assieme condividendo uno stile di apertura e accoglienza.
Ci sono anche persone con disabilità che quotidianamente si prendono cura della terra e lavorano creando cose belle e buone, in un’ottica di inclusione e di attenzione ai tempi e alle capacità di tutti e di ciascuno.

5.Sconfinamenti:
«Superare i limiti mentali e imposti dall’esterno»

Laddove sentiamo che ci sono una società e delle istituzioni che sembrano enfatizzare i confini già esistenti, nonché costruirne di nuovi, nel tentativo di lasciare fuori chi è diverso, noi abbiamo avuto l’opportunità di conoscere molte persone che, invece, vivono concretamente l’incontro e la contaminazione. Credono, infatti, che la diversità possa essere una ricchezza e, per questo motivo, ogni giorno sconfinano dai limiti predefiniti per dare spazio a chi viene lasciato fuori.

di Sara Zanatta

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GIOVANI SPAGNOLI CON I MIGRNTI IN MAROCCO

Oujda: non solo un viaggio

Cinque giovani di Malaga, Spagna, sono stati una settimana a Oujda, missione presa in carico dai Missionari della Consolata in Marocco.
Là i missionari accolgono migranti che giungono dal vicino confine algerino nel loro itinerario verso il sogno europeo.

Siamo atterrati vicino al deserto: il paesaggio e le persone erano diversi da quelli cui eravamo abituati.
Eravamo un gruppo di Malaga composto da quattro giovani, Fatima, Paula, Carmen, Marco e tre accompagnatori: i laici missionari della Consolata Guillermo Baeza Rodriguez con la coppia Juan Manuel García Moya e Felicita Aliseda Miranda. Eravamo diretti a Oujda, città al confine con l’Algeria, per incontrare i Missionari della Consolata della parrocchia di Saint Louis e i migranti lì accolti lungo il loro transito dall’Africa all’Europa.

Esserci e conoscersi

Usciti dall’aeroporto di Nador, abbiamo percorso in taxi gli 80 km che ci separavano dalla destinazione. Una volta giunti a Oujda, è stato interessante notare la difficoltà del taxista a trovare la strada per la parrocchia. Forse in un paese musulmano è più facile arrivare a una moschea.
Una volta giunti dai missionari, i padri Edwin Osaleh, Francesco Giuliani e Patrick Mandondo ci hanno mostrato gli spazi nei quali accolgono i migranti, e ci hanno fatto conoscere i presenti. Noi allora, con quelli più giovani, abbiamo subito iniziato le attività che avevamo programmato: un laboratorio di riciclo della carta, un altro per fare braccialetti, un quadro e alcune riparazioni al tavolo da ping pong, alcuni giochi di carte la sera, aiuto in cucina, ecc.
Con il passare dei giorni abbiamo avuto modo di conoscerci personalmente. Il desiderio di condividere sia le cose materiali che le nostre stesse persone ci ha aiutati a creare rapporti intimi.

Come in famiglia

La verità è che, prima di partire, non sapevamo davvero cosa ci aspettava: tutto è stato sorprendente.
Abbiamo conosciuto giovani provenienti da diverse parti dell’Africa. Ogni giorno erano molti quelli che andavano e venivano. Alcuni si fermavano, qualcuno era lì da poco, altri da più tempo, a seconda delle esigenze e dei loro progetti.
La sensazione che abbiamo avuto è stata quella di trovarci in un ambiente molto familiare, in cui sembrava che tutti fossero cresciuti insieme: i migranti accolti scherzavano, ridevano e si aiutavano a vicenda.
Alcuni giovani si avvicinavano a noi e ci chiedevano com’era andato il viaggio, da dove venivamo. Altri, invece, sembravano diffidenti, parlavano tra loro e ci guardavano con la coda dell’occhio.
Tutti avevano una cosa in comune: il cellulare. Strumento vitale per loro. Li vedevamo spesso parlare con qualcuno o fare video chiamate.
Abbiamo capito che erano giovani che aspiravano a qualcosa di molto più grande di quanto noi potessimo pensare.
Alcuni ci hanno raccontato che stavano studiando in città, altri erano in cerca di lavoro, altri ancora stavano semplicemente aspettando il momento migliore per continuare il loro cammino.
Siamo diventati buoni amici con la maggior parte di loro.
Nel tempo libero, alcuni giocavano a carte, altri ascoltavano musica. A prima vista ci trovavamo in un ambiente molto normale.
Il team che lavora per l’accoglienza nella parrocchia, formato da missionari e altre persone, cerca di fare in modo che tutto vada bene. Ne fa parte anche la cuoca che i giovani accolti chiamano «mamma». Una persona meravigliosa che ci ha deliziato con le sue prelibatezze.
Ci portava la sera a vedere la Medina, e si fermava sempre a contrattare quando comprava qualcosa.

In spiaggia

A metà settimana, siamo andati con alcuni ragazzi a Saïdia, una città turistica sulla costa, molto diversa da Oujda.
Abbiamo provato un’enorme sensazione di smarrimento davanti a tutti quei turisti pensando a quante persone avevano bisogno di aiuto solo a un paio d’ore di distanza.
Alcuni dei ragazzi migranti assieme a noi non avevano mai visto il mare che stavano progettando di attraversare per raggiungere l’Europa.
Siamo rimasti colpiti dalla loro sorpresa e dalla felicità con cui giocavano a lanciarsi la palla l’un l’altro e tentavano di nuotare.
Quella notte abbiamo dormito in tenda, nei pressi della chiesa di Saïdia. Qualcuno di noi ha condiviso una tenda con due di loro: era una notte calda, ma siamo riusciti a riposare bene.

Volti, nomi e storie

La settimana è passata in fretta. Quando siamo ripartiti da Ojuda avevamo la sensazione che i giorni trascorsi lì non fossero stati sufficienti. Desideravamo continuare a dare il nostro contributo.
Siamo stati accolti con grande affetto e, dopo una sola settimana, ci sembrava di conoscere tutti già da tempo: persone che hanno tanto bisogno, anche se mostrano di stare bene e di essere felici. Persone che hanno storie che non avrebbero mai dovuto vivere, tanto più se ragazzi.
Dall’esperienza di Ojuda quello che abbiamo portato con noi sono i loro nomi. Nomi che aiutano a collegare storie ai volti di migranti mostrati nei telegiornali.
Portiamo con noi nomi e storie di persone di cui abbiamo conosciuto la vita, che hanno un’enorme volontà di miglioramento personale, che cercano solo l’opportunità di forgiarsi un’esistenza migliore.
E noi, sentendoci un po’ egoisti, siamo tornati alle nostre case pensando alla facilità con cui andiamo e veniamo quando vogliamo, pensando alla loro domanda: «Perché venite qui se la vita è migliore in Spagna?».
Si potrebbe dire che sentivano di non avere nulla da dare a noi, eppure noi siamo diventati più ricchi semplicemente conoscendoli.
Oggi vogliamo continuare a studiare, formarci e migliorare per tornare lì più preparati ed efficaci. Vogliamo far vedere al mondo che la disuguaglianza esiste, e vogliamo lottare perché tutti abbiano le stesse opportunità.

di Fatima Reyes Santos e Marco Testa Moreno

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I GIOVANI DELLA CONSOLATA ALLA GMG

Dal mondo a Lisbona ‘23

Giovani della Consolata provenienti da America, Africa ed Europa si sono dati appuntamento in Portogallo per la Gmg 2023.
Prima cinque giorni a Fatima per vivere lo spirito consolatino, poi in pellegrinaggio verso Lisbona per immergersi nelle giornate con il Papa.
Un incontro che ha mostrato la pace possibile, da costruire ogni giorno.

Era un tipico pomeriggio nuvoloso di settembre del 2022 quando padre Josky Menga, missionario della Consolata congolese, classe 1989, responsabile dell’animazione missionaria in Brasile, ha invitato me e mia moglie Janusa, laici missionari della Consolata della comunità di São Paulo di 53 e 52 anni, a far parte dell’équipe coordinatrice della Gmg di Lisbona 2023.
L’idea era di organizzare un incontro internazionale di giovani legati all’Imc provenienti da tutto il mondo.
Bello pensare di partecipare a un evento simile come famiglia, portando con noi anche i nostri figli Murilo (19 anni) e Felipe (16).
Proprio come una gravidanza, i nove mesi successivi sono passati in fretta, e a fine luglio la nostra famiglia e l’intero gruppo dal Brasile si sono imbarcati sull’aereo per il Portogallo.
Arrivati a Lisbona, siamo stati accolti da padre Augusto Faustino, mozambicano, e portati a Fatima.
Il pellegrinaggio che avremmo vissuto, infatti, sarebbe stato suddiviso in due momenti distinti: la pre-Gmg di Fatima da vivere «tra noi» legati all’Imc, e la Gmg di Lisbona, vissuta con tutti i giovani del mondo.

La famiglia Moreira.

La Consolata a Fatima

Trascorrere cinque giorni a Fatima è stato speciale, sia in termini di immersione nella cultura locale che di esperienza di spiritualità. A Fatima si vive un’atmosfera di pace. La mente tace e il cuore batte nella preghiera.
Un aspetto centrale è stato quello di trovarci nello stesso luogo in cui è avvenuto il miracolo e di avere nel gruppo dei portoghesi la pronipote di una persona che aveva assistito al miracolo. Così abbiamo sentito più vera la storia e l’abbiamo rivissuta con più intensità.
Passeggiare per Fatima è come passeggiare nella storia sacra.
Il nostro gruppo è stato il primo ad arrivare. Subito, i nostri giovani e quelli portoghesi si sono integrati come se si conoscessero da molto tempo. Questo è poi accaduto con tutti gli altri arrivati man mano dai diversi paesi nei quali lavorano i missionari della Consolata: Swaziland, Sudafrica, Marocco, Colombia, Venezuela, Argentina.
Va notato che il cibo durante i giorni di Fatima era molto buono: i genitori dei giovani portoghesi, infatti, offrivano i loro piatti tipici, dimostrando tutto il loro affetto.
Nella realtà brasiliana, per una famiglia nera come siamo noi, fare un viaggio come questo è il segno del superamento di una sofferenza e di una lotta iniziata dai nostri antenati centinaia di anni fa. Per questo, durante la prima notte, siamo andati a pregare al santuario: per ricordare chi si era affidato alle nostre preghiere prima della partenza, per ricordare i nostri defunti e poi per accendere una candela in memoria del sangue versato da tutti i nostri antenati neri ridotti in schiavitù, per quelli che non hanno nemmeno completato la traversata dell’Atlantico e non hanno avuto nessuno che pregasse per loro.

Giovani per la pace

Dopo i giorni di Fatima, il pellegrinaggio verso Lisbona è iniziato con una messa all’aperto sul ciglio della strada.
Arrivati a Lisbona, il gruppo di pellegrini si è arricchito di altri giovani legati ai Missionari della Consolata: gli italiani, gli statunitensi e altri portoghesi. Se il gruppo della pre-Gmg a Fatima contava 89 partecipanti, a Lisbona, eravamo 133. Tutti siamo stati accolti nella Santa Casa da Misericórdia da Amadora.
Essere alla Gmg significa entrare in contatto con milioni di giovani cristiani di tutto il mondo, mettersi allo stesso tavolo, in sintonia e con lo stesso scopo.
Le attività e gli eventi erano distribuiti in tutta la città.
Uno dei punti principali che la Gmg ha mostrato a tutti è che, quando si ha il desiderio, è possibile vivere insieme in pace e armonia, anche se provenienti dalle più diverse culture, etnie e zone geografiche.
All’edizione del 2023 hanno partecipato più di 1,5 milioni di persone con lo stesso scopo: vivere la pace.
Tutto il mondo era riunito nella stessa preghiera, rappresentato in ogni pellegrino.

Il viaggio inizia ora

La Giornata mondiale della gioventù è un evento importante, ma il viaggio, in realtà, inizia esattamente quando finisce. Il vero cammino inizia nella comunità di ogni pellegrino.
La nostra famiglia ha portato nel suo bagaglio dalla Gmg la consapevolezza che dobbiamo essere attenti e disposti a prenderci cura della nostra casa comune, in modo da poter vivere in pace e armonia con tutti, chiunque essi siano, indipendentemente dal colore, dall’etnia, dalla religione o dalla condizione sociale, portando in fretta la buona novella del Vangelo e la gioia del Risorto a chi è vicino e a chi è lontano, come Maria ha fatto con Elisabetta, sotto la luce dello Spirito Santo.

di Márcio Mariano Moreira

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GIOVANI TORINESI IN KENYA

Passi leggeri

Un gruppo di dodici giovani di Torino, accompagnati da padre John Nkinga e Morena Savian, hanno vissuto lo scorso agosto un’esperienza di missione in Kenya organizzata dai Missionari della Consolata con l’ufficio missionario diocesano.

Vivere profondamente è l’unico modo che abbiamo di vivere. Vivere è svegliarsi e chiedersi quale sorpresa porterà il giorno a venire. Vivere è trovare un buon motivo per scattare una fotografia, immortalare il momento e volerci vivere dentro per sempre.
L’esperienza missionaria in Kenya ha donato a noi dodici – Alessandro, Celeste, Letizia, Roberto, Miriam, Elisa, Martina, Samuele, Giulia, Marta, Christian e Anna – l’occasione di essere, di ammirare e ringraziare, di avere responsabilità, di permettere a qualcuno di prendersi cura di noi senza dire nulla, di condividere il dolore e di metterci a servizio dell’altro.
Ma soprattutto ha lasciato un segno in ognuno di noi che impareremo a coltivare con cura.
Potremmo parlare dell’accoglienza ricevuta attraverso la parabola dei talenti. Gesù disse ai suoi discepoli: «Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni».
Colui che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone.
Nonostante non possedessero molto, le persone che ci hanno ospitato durante la missione non hanno nascosto l’unico talento di cui disponevano; al contrario ci hanno aperto le porte di casa, come fosse la nostra, con l’augurio di tornare, come figli.
Ci hanno regalato sorrisi e preziosissime testimonianze che ci hanno consentito di entrare nella loro vita.
Il dono della parola di conoscenza è il dono attraverso il quale il Signore fa capire all’uomo le cose nel modo in cui lui le intende, è un mezzo con cui Dio ci viene incontro nei bisogni, rivelandoci una parte della sua onniscienza.
Ci è stato dato il dono di conoscere camminando, a passi lenti e, finalmente, con la polvere sui piedi come forestieri, come Gesù agli occhi dei discepoli di Emmaus.
Camminando abbiamo potuto osservare, senza frenesia, ambienti e tribù diversi, la terra rossa, le maestose catene montuose, gli animali, ma soprattutto la quotidianità di un mondo lontano dal nostro.
Abbiamo messo a disposizione il nostro servizio alla Holy innocent catholic church di Tassia e al St. Margaret e al Cottolengo children’s home di Karen per bambini orfani sieropositivi.
L’obiettivo del centro è quello di fornire un’assistenza globale ai bambini in modo da restituire loro dignità e salute.
Questo viaggio ha insegnato a me, Celeste, per la prima volta a diciotto anni, a vivere come se dovessi vivere per sempre, ad avere un’esperienza autentica della vita.
Il tempo, per Platone, è la prerogativa degli uomini liberi, ed è l’unico possesso che abbiamo, quale regalo è più bello di dare il proprio tempo agli altri?

di Celeste Chiodi

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ESTATE A PLITÌ (RC)

Tu x tutti

Il Grest di Platì (Rc) è stato un’esperienza di allegria e fraternità, non solo per i bambini della parrocchia, tenuta dai Missionari della Consolata, ma anche per i ragazzi animatori e gli adulti che hanno dato una mano. Un modo per crescere insieme.

Anche quest’anno il nostro Grest (gruppo estivo), dal titolo «Tu x tutti. E chi è mio prossimo?», è stato un’esperienza di positive relazioni tra generazioni: i giovanissimi, i giovani, gli adulti. Naturalmente i veri protagonisti sono stati i bambini e i ragazzi che, suddivisi in gruppi e guidati dagli animatori, hanno partecipato con entusiasmo e impegno alle attività: quelle espressive, il ballo, il gioco motorio, il canto, la musica. Tutte sono state condotte con impegno e dedizione dai responsabili. Ogni pomeriggio, i bambini appartenenti a ogni squadra venivano disposti in un grande cerchio nell’oratorio. Iniziavamo tutti insieme condividendo alcune riflessioni sul Vangelo del giorno, poi concludevamo con bans, canti e balli del Grest.
Successivamente i gruppi si spostavano nel giardino per lo svolgimento delle attività.
Il momento più atteso però era quello della pausa in cui veniva condivisa una buona merenda preparata per tutti da alcune volontarie.
Poi si poteva giocare in libertà, chiacchierando con gli amici, con gli animatori e gli adulti.
Per una settimana sono stati con noi alcuni seminaristi dei Missionari della Consolata che, come ogni anno, non ci hanno fatto mancare la loro visita, con parole di aiuto e di apprezzamento per tutti oltre ai preziosi consigli e proposte su come svolgere un grest estivo.
Un altro momento molto atteso dai bambini è stato senza dubbio il giorno dei giochi con l’acqua durante i quali si incontravano a fine attività gli animatori e i bambini in una battaglia di gavettoni.
Le giornate si concludevano con una preghiera e i saluti.
Subito dopo gli animatori si radunavano per valutare l’andamento dell’esperienza e le fasi del progetto comune che stavamo via via costruendo.
Alla fine del Grest, padre Dawinson ha ringraziato ogni singolo animatore per aver collaborato donando parte del suo essere e del suo tempo, e in virtù di ciò ha ricompensato l’impegno con un’uscita di gruppo a Taormina.
Da questa avventura abbiamo imparato che è bellissimo perdersi nel mondo dell’infanzia, ma che è altrettanto importante saper crescere in maniera armonica, scoprendo che, grazie all’amicizia e all’amore, diventare grandi è proprio bello.

di Denise Elisabetta Violi

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