Adempimento delle profezie
In che senso Gesù ha realizzato le profezie? S. Agostino dice «Novum Testamentum in Vetere latet, Vetus in Novo patet»: il Nuovo Testamento è nascosto nel Vecchio, il Vecchio si fa chiaro nel Nuovo.
È convinzione cristiana, infatti, che solo il vangelo è la «chiave» per risolvere il rebus degli annunci messianici nella Bibbia ebraica. Solo in Gesù, per i credenti, è possibile conciliare gli aspetti in apparenza contradditori con cui l’AT delinea l’identikit di Colui che deve venire. Eugenio Zolli, il rabbino capo della comunità israelitica di Roma che nel 1945 si fece cattolico, scrisse: «Tutto l’AT mi parve un divino telegramma cifrato inviato agli uomini. Incomprensibile per chi volesse leggerlo senza il cifrario. Ora, il cifrario è Cristo, alla cui luce prende significato quel brivido messianico che pervade tutti i libri dell’Antico Patto» (cfr. Antonio Socci, Indagine su Gesù, BUR 2008).
Profezie di avvertimento
Già nell’AT, assieme al costante annuncio del ruolo eternamente speciale assegnato agli ebrei ricorrono profezie di avvertimento, di messa in guardia.
Ez 34,10: «A loro chiederò conto del moi gregge e li farò cessare di pascere la mie pecore… Io stesso ricercherò le mie pecore e ne avrò cura». Sembra che la leadership spirituale un giorno sarà tolta ai sacerdoti del giudaismo. Di più: il nuovo gregge annunziato non sarà più formato soltanto da israeliti, ma in esso entreranno «pecore» da tutte le nazioni. «Le farò uscire di mezzo ai popoli e le raccoglierò dalle regioni… Io stesso pascerò le mie pecore».
Is 66, 19-20: Jahvé «verrà per radunare tutte le nazioni e tutte le lingue. Anche fra essi mi prenderò dei sacerdoti e dei leviti». I profeti annunciano anche un nuovo patto, una nuova alleanza che rinnovi e superi in profondità ed estensione quella stretta da Jahvé con il solo Israele.
Ger 31,31: «Verranno giorni quando con la casa di Israele e di Giuda concluderò un patto nuovo… porrò la mia legge nel profondo del loro essere, sul loro cuore la scriverò».
Ez 36,26: «Metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne».
«Al di là di ogni dimensione di fede, è innegabile che sul piano oggettivo della storia la dinamica prevista alcuni millenni fa dai profeti si è realizzata. Israele ha davvero passato il predominio religioso ad un popolo che da lui è sorto e che afferma di essere radunato da Dio stesso. E quel popolo nuovo si è allargato incredibilmente sino ai confini estremi della terra».
Vittorio Messori, Ipotesi su Gesù, SEI, Torino 1977, p. 81
Dunque, la fede degli ebrei si espanderà su tutta la terra, ma Israele resterà soltanto, seppure eternamente, il “custode dei testi e delle promesse”, senza decifrarli appieno? Così sembrano dire gli antichi profeti. E questa, sin dai tempi apostolici, è la lettura cristiana del misterioso destino d’Israele tra i popoli. Paolo: «Non voglio infatti che ignoriate, fratelli, questo mistero, perché non siate presuntuosi: l’ostinazione di una parte d’Israele è in atto fino a quando non saranno entrate tutte le genti. Allora tutto Israele sarà salvato» (Rm 11,25). Tutta la sezione di Rm 9-11 tratta di questo mistero d’Israele.
Un Messia che sconvolge le attese
«La fede in Cristo, Figlio di Dio e redentore del mondo non può essere tratta né dal giudaismo farisaico né dall’antica Scrittura per via di mera interpretazione letterale. Invano si tenterebbe di unire tutte le profezie messaniche e di trarne un’immagine che sia in anticipo quella di Gesù. Il cristianesimo non è uscito, e non poteva uscire, dalla Rivelazione antica, per mezzo di pura interpretazione razionale. Finché san Paolo interpretò l’Antico Testamento da solo e come fariseo, restò fariseo» (Lagrange).
Gesù è un Messia che sconvolge gli schemi mentali dominanti dell’antico Israele. La figura messianica era (ed è tuttora) oggetto per l’ebraismo di aspettative contrastanti. Non potrebbe essere altrimenti, visto il numero di attributi contraddittori che le profezie accumulano sul misterioso Atteso.
L’attesa messianica degli ebrei era sempre connessa con l’opinione che quello messianico sarebbe stato un «Regno» terreno, potente, con Israele arbitro e padrone di molte genti. «I riferimenti al Messia, in tutte le profezie ebraiche, riguardano essezialmente un futuro terreno» (Epstein). La storia conferma questo: i presunti messia sorti nell’ebraismo si mettevano sempre a capo di movimenti politico-militari. Il NT trabocca dell’impazienza delle folle e degli stessi discepoli che vogliono creare un Regno glorioso con la spada. Ancora dopo la Risurrezione i discepoli si aspettano la ricostruzione del Regno d’Israele (Atti 1,6). Nei sinottici dopo che Pietro riconosce Gesù quale Messia (Mc 8,26-30; Mt 16,13-20; Lc 9,18-21) Gesù proibisce ai discepoli di dire che egli è il Cristo e comincia a istruire i discepoli sul «tipo» di Messia sofferente. Il NT «gronda della delusione per questo Messia che vieta persino di difendersi e raccomanda prudenza per non eccitare l’entusiasmo patriottico, che sceglie quella via particolare di gloria che passa attraverso l’umiliazione e la sofferenza» (Messori, Ipotesi, p. 88).
Tra i tanti Messia d’Israele, questo è l’unico che abbia successo «pur avendo scelto la via per fallire umanamente» (Pascal). Egli «con fermezza promuove il diritto» pur «non spezzando la canna fessa né spegnando il lucignolo fumigante».
Lasciamo ancora la parola a Pascal, secondo il quale ci sono tre ordini di grandezza, tre modi di «regnare». C’è la grandezza dei monarchi, dei condottieri, dei politici: sono i conquistatori di popoli con la forza e l’abilità, spesso con il sangue e l’inganno. C’è poi un secondo ordine di grandezza: quella basata sulla sapienza, sull’intelletto. C’è però, ancora più su, un terzo tipo di grandezza. È quella della dimensione nella quale, a quanto si dice di lui, Gesù ha scelto di vivere e di morire. In lui la fede riconosce l’annunciato da Dio come lo tratteggia ancora una volta Is 42 «ti ho formato e stabilito alleanza del popolo, luce delle nazioni, perché tu apra gli occhi ai ciechi, liberi i prigionieri dal carcere, dalla prigione gli abitanti nelle tenebre».
Il suo regno è quello dove i valori sono l’amore, l’umiltà, la povertà, il servizio. Questo è l’ordine nel quale il Messia dei cristiani è stato re insuperabile. Pascal: «Senza beni e senza alcuna manifestazione esteriore di scienza, egli sta nel suo ordine di santità. Non ha dominato, non ha fatto invenzioni. Ma è stato umile, paziente, santo, santo a Dio, terribile ai demoni, senza alcun peccato».
E, ancora Pascal: «Tutti i corpi insieme (la grandezza di Cesare) e tutti gli intelletti insieme (la grandezza dei sapienti, di Archimede e di Aristotele) e tutti i loro prodotti non valgono il più piccolo movimento di carità. Ciò appartiene a un ordine (quello appunto in cui Gesù si muove) infinitamente più elevato».
Nel riconoscimento di questo Messia, dunque, i credenti trovano realizzate le venerabili profezie di Israele nel modo più «giusto» possibile. Osserva Pascal a proposito delle difficoltà di tanti ebrei nell’accettare il Messia dei cristiani: «Gesù è stato ucciso, dicono; ha dovuto soccombere; non ha soggiogato i pagani con la sua forza; non ci ha dato le loro spoglie; non ci ha dato ricchezze. Non hanno che questo da dire? È proprio per questo che io lo trovo degno d’amore. Non vorrei davvero colui che costoro avrebbero voluto» (cf. Messori, Ipotesi, p. 90).
di Mario Barbero
Mario Barbero
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