La colletta per Gerusalemme e i saluti finali (1 Cor 16,1-24)
La colletta per la Chiesa madre di Gerusalemme, ampiamente commentata in 2 Cor 8ss e menzionata anche in Rom 15,23-31, manifesta la solidarietà dei cristiani provenienti dal paganesimo verso i giudeo cristiani che risiedono in Palestina, zona periodicamente colpita dalla carestia e dalla fame.
Paolo intende questa colletta soprattutto come segno di comunione ecclesiale. Essa aveva luogo nella riunione liturgica della domenica.
1Riguardo poi alla colletta in favore dei santi, fate anche voi come ho ordinato alle Chiese della Galazia. 2Ogni primo giorno della settimana ciascuno di voi metta da parte ciò che è riuscito a risparmiare, perché le collette non si facciano quando verrò. 3Quando arriverò, quelli che avrete scelto li manderò io con una mia lettera per portare il dono della vostra generosità a Gerusalemme. 4E se converrà che vada anch’io, essi verranno con me.
1Cor 16, 1-4
La condivisione dei beni durante la celebrazione eucaristica sottolineava l’impegno fraterno che deve accompagnare il culto rivolto a Dio. È un segno di delicatezza da parte dell’apostolo consigliare che le collette non si facciano in sua presenza. Per il momento non vede la necessità di andare di persona a consegnare questi doni alla Chiesa madre. Quando le relazioni con Gerusalemme peggioreranno lo vedrà necessario (Rom 15.25-31) però non andrà da solo, bensì accompagnato da rappresentanti della comunità (At 20,4).
5Verrò da voi dopo aver attraversato la Macedonia, perché la Macedonia intendo solo attraversarla; 6ma forse mi fermerò da voi o anche passerò l’inverno, perché prepariate il necessario per dove andrò. 7Non voglio infatti vedervi solo di passaggio, ma spero di trascorrere un po’ di tempo con voi, se il Signore lo permetterà. 8Mi fermerò tuttavia a Èfeso fino a Pentecoste, 9perché mi si è aperta una porta grande e propizia e gli avversari sono molti.
1Cor 16, 5-9
Alla fine della lettera l’Apostolo ritorna allo stile familiare con l’annuncio di una futura visita, saluti, raccomandazioni e avvisi. È da notare l’apprezzamento per Timoteo (Fil 2,19-22; 1 Ts 3,2) il suo collaboratore più fedele e la speciale raccomandazione che fa ai Corinti nei suoi riguardi: «Procurate che non si senta in soggezione tra di voi» (10).
10Se verrà Timòteo, fate che non si trovi in soggezione presso di voi: anche lui infatti lavora come me per l’opera del Signore. 11Nessuno dunque gli manchi di rispetto; al contrario, congedatelo in pace perché ritorni presso di me: io lo aspetto con i fratelli. 12Riguardo al fratello Apollo, l’ho pregato vivamente di venire da voi con i fratelli, ma non ha voluto assolutamente saperne di partire ora; verrà tuttavia quando ne avrà l’occasione.
1Cor 16, 10-12
Il riferimento alle «chiese» (al plurale) dell’Asia, delle quali trasmette i saluti, è riflesso dell’organizzazione dei cristiani di Paolo riuniti in piccole comunità domestiche. Una di queste si riunisce nella casa di Prisca e Aquila, la ben nota coppia di sposi che si trasferì con Paolo da Corinto ad Efeso (At 18,2.18.26).
13Vigilate, state saldi nella fede, comportatevi in modo virile, siate forti. 14Tutto si faccia tra voi nella carità. 15Una raccomandazione ancora, fratelli: conoscete la famiglia di Stefanàs. Furono i primi credenti dell’Acaia e hanno dedicato se stessi a servizio dei santi. 16Siate anche voi sottomessi verso costoro e verso quanti collaborano e si affaticano con loro. 17Io mi rallegro della visita di Stefanàs, di Fortunato e di Acàico, i quali hanno supplito alla vostra assenza: 18hanno allietato il mio spirito e allieteranno anche il vostro. Apprezzate persone come queste. 19Le Chiese dell’Asia vi salutano. Vi salutano molto nel Signore Aquila e Prisca, con la comunità che si raduna nella loro casa. 20Vi salutano tutti i fratelli. Salutatevi a vicenda con il bacio santo.
1Cor 16, 13-20
Sebbene le lettere venissero dettate a uno scriba, il mittente firmava di suo pugno la lettera (cf Col 4,18; 2 Ts 3,17). Le ultime parole di Paolo, l’invito a darsi la pace e il saluto «vieni Signore» oppure «maranatha», paiono alludere ad un contesto liturgico di celebrazione eucaristica, durante la quale probabilmente si leggevano le lettere dell’Apostolo che poco alla volta acquistavano l’importanza delle scritture di Israele (cf 2 Pt 3,16).
La maledizione o anatema risuona come un avviso a rimanere fedeli all’amore di Dio.
21Il saluto è di mia mano, di Paolo. 22Se qualcuno non ama il Signore, sia anàtema! Maràna tha! 23La grazia del Signore Gesù sia con voi. 24Il mio amore con tutti voi in Cristo Gesù!
1Cor 16, 21-24
Il saluto Maranatha manifesta il senso di forte tensione escatologica che si viveva in quella comunità dove nel medesimo tempo che si sperimentava il Signore già presente, si annunciava e si chiedeva appassionatamente la sua venuta gloriosa e definitiva. Di fatto il saluto “Maranatha” si convertì in uno dei modi di salutarsi tra i cristiani (cf Ap 20,20) completando così il tradizionale saluto giudaico di shalom (pace).
La lettera termina con la cosa più importante che Paolo desidera dire loro: «Vi amo tutti nel cuore di Gesù» (24).
di Mario Barbero
Mario Barbero
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