PAOLO IN PRIGIONE A CESAREA (At 24,1-26,32)
Introduzione
8 Ricordati che Gesù Cristo, della stirpe di Davide, è risuscitato dai morti, secondo il mio vangelo, 9 a causa del quale io soffro fino a portare le catene come un malfattore; ma la parola di Dio non è incatenata! 10 Perciò sopporto ogni cosa per gli eletti, perché anch’essi raggiungano la salvezza che è in Cristo Gesù, insieme alla gloria eterna.
2 Tim 2,8-10
La seconda lettera di Paolo a Timoteo è scritta da una prigione ed è considerata come il testamento di Paolo. Questa frase è come il riassunto della vita di Paolo quale testimone della risurrezione di Gesù, testimonianza resa anche con almeno quattro anni di prigionia, ma «la parola di Dio non è incatenata».
Paolo arriva a Cesarea sotto scorta e viene consegnato al procuratore romano che ordina che sia tenuto in prigione nel pretorio di Erode (23,35), cioè nel palazzo sontuoso che Erode il Grande aveva edificato nella splendida città di Cesarea e che era diventato la residenza del procuratore romano.
Paolo trascorrerà due anni nella prigione di questo palazzo per essere processato, prima di fronte al procuratore Felice, e poi dal suo successore Festo, per culminare nella scena drammatica dell’appello a Cesare, cioè al tribunale imperiale di Roma (25,11-12).
Nel corso di questo processo Atti riportano una serie di discorsi che mostrano l’odio dei Giudei verso Paolo e dimostrano l’innocenza di Paolo, riconosciuta anche dalle autorità romane le quali però, per compiacere il sinedrio, non hanno il coraggio di decidere di lasciare libero l’apostolo.
Processo di fronte a Felice, discorso di Paolo (24,1-23)
Quello subito da Paolo è un processo formale di fronte al procuratore Felice, il quale funge da arbitro della controversia tra Paolo, l’accusato, e le autorità di Gerusalemme, gli accusatori. Il sommo sacerdote Anania e alcuni anziani di Gerusalemme si avvalgono di un avvocato, Tertullo, per accusare Paolo con violenza.
5 Abbiamo scoperto che quest’uomo è una peste, fomenta continue rivolte tra tutti i Giudei che sono nel mondo ed è capo della setta dei Nazorei. 6 Ha perfino tentato di profanare il tempio e noi l’abbiamo arrestato. […]. 8 Interrogandolo personalmente, potrai renderti conto da lui di tutte queste cose delle quali lo accusiamo». 9 Si associarono nell’accusa anche i Giudei, affermando che i fatti stavano così.
At 24,5-9
A questo punto, da buon giudice, Felice dà la parola a Paolo perché presenti la sua difesa. Paolo rigetta tutte le accuse e professa la sua lealtà al Giudaismo e la sua fede nella risurrezione.
Discorso di Paolo davanti al governatore romano
10 Quando il governatore fece cenno a Paolo di parlare, egli rispose: «So che da molti anni sei giudice di questo popolo e parlo in mia difesa con fiducia. 11 Tu stesso puoi accertare che non sono più di dodici giorni da quando mi sono recato a Gerusalemme [per il culto. 12 Essi non mi hanno mai trovato nel tempio a discutere con qualcuno o a incitare il popolo alla sommossa, né nelle sinagoghe, né per la città 13 e non possono provare nessuna delle cose delle quali ora mi accusano. 14 Ammetto invece che adoro il Dio dei miei padri, secondo quella dottrina che essi chiamano setta, credendo in tutto ciò che è conforme alla Legge e sta scritto nei Profeti, 15 nutrendo in Dio la speranza, condivisa pure da costoro, che ci sarà una risurrezione dei giusti e degli ingiusti. 16 Per questo mi sforzo di conservare in ogni momento una coscienza irreprensibile davanti a Dio e davanti agli uomini. 17 Ora, dopo molti anni, sono venuto a portare elemosine al mio popolo e per offrire sacrifici; 18 in occasione di questi essi mi hanno trovato nel tempio dopo che avevo compiuto le purificazioni. Non c’era folla né tumulto. 19 Furono dei Giudei della provincia d’Asia a trovarmi, e loro dovrebbero comparire qui davanti a te ad accusarmi, se hanno qualche cosa contro di me; 20 oppure dicano i presenti stessi quale colpa han trovato in me quando sono comparso davanti al sinedrio, 21 se non questa sola frase che gridai stando in mezzo a loro: A motivo della risurrezione dei morti io vengo giudicato oggi davanti a voi!».
At 24,10-21
La cattività di Paolo a Cesarea
Dopo aver ascoltato accusa e difesa, Felice non dà la sentenza ma vuole un «supplemento d’indagine». Non esamina subito il caso, però, ma aspetta l’arrivo del tribuno Lisia, e questo significa prolungare la prigionia di Paolo. L’apostolo vive una sorta di prigionia «ai domiciliari»: riceve i suoi amici e Felice stesso ama intrattenersi con lui e fargli incontrare sua moglie Drusilla che è giudea. Si intrattiene con Paolo per far passare il tempo e sperando di ricevere un prezzo di riscatto. Il tempo passa e Felice conclude il suo servizio, lasciando Paolo in prigione, e il suo caso al successore Festo.
22 Allora Felice, che era assai bene informato circa la nuova dottrina, li rimandò dicendo: «Quando verrà il tribuno Lisia, esaminerò il vostro caso». 23 E ordinò al centurione di tenere Paolo sotto custodia, concedendogli però una certa libertà e senza impedire a nessuno dei suoi amici di dargli assistenza.
At 24,22-27
24 Dopo alcuni giorni Felice arrivò in compagnia della moglie Drusilla, che era giudea; fatto chiamare Paolo, lo ascoltava intorno alla fede in Cristo Gesù. 25 Ma quando egli si mise a parlare di giustizia, di continenza e del giudizio futuro, Felice si spaventò e disse: «Per il momento puoi andare; ti farò chiamare di nuovo quando ne avrò il tempo». 26 Sperava frattanto che Paolo gli avrebbe dato del denaro; per questo abbastanza spesso lo faceva chiamare e conversava con lui.
27 Trascorsi due anni, Felice ebbe come successore Porcio Festo; ma Felice, volendo dimostrare benevolenza verso i Giudei, lasciò Paolo in prigione.
Paolo davanti a Festo: «Io mi appello a Cesare» (25,1-13).
Sono passati circa due anni ma gli avversari di Paolo hanno buona memoria, alimentata da un odio implacabile e, appena il nuovo procuratore Festo da poco installato a Cesarea, sale a Gerusalemme, gli presentano subito le loro accuse contro Paolo con la proposta di far venire l’apostolo a Gerusalemme per essere giudicato, ma con il piano segreto di tendergli un agguato e ucciderlo. Festo non cede e li invita ad andare loro a Cesarea.
1 Festo dunque, raggiunta la provincia, tre giorni dopo salì da Cesarèa a Gerusalemme. 2 I capi dei sacerdoti e i notabili dei Giudei si presentarono a lui per accusare Paolo, e lo pregavano, 3 chiedendolo come un favore, in odio a Paolo, che lo facesse venire a Gerusalemme; e intanto preparavano un agguato per ucciderlo lungo il percorso. 4 Festo rispose che Paolo stava sotto custodia a Cesarèa e che egli stesso sarebbe partito di lì a poco. 5 «Quelli dunque tra voi – disse – che hanno autorità, scendano con me e, se vi è qualche colpa in quell’uomo, lo accusino».
At 25,1-8
6 Dopo essersi trattenuto fra loro non più di otto o dieci giorni, scese a Cesarèa e il giorno seguente, sedendo in tribunale, ordinò che gli si conducesse Paolo. 7 Appena egli giunse, lo attorniarono i Giudei scesi da Gerusalemme, portando molte gravi accuse, senza però riuscire a provarle. 8 Paolo disse a propria difesa: «Non ho commesso colpa alcuna, né contro la Legge dei Giudei né contro il tempio né contro Cesare».
Come nel processo di Gesù (cf Mt 26,60), anche contro Paolo i Giudei non riescono a presentare prove attendibili, e Paolo si difende su ogni punto. Tuttavia Festo, forse per chiudere questo caso che si trascinava da anni, e per fare un favore ai Giudei, propone a Paolo di andare con lui a Gerusalemme per esservi giudicato. A questo punto Paolo pronuncia le famose parole che ogni cittadino romano aveva il diritto di pronunciare: «Caesarem appello», mi appello al tribunale imperiale, e il procuratore Festo, per quanto gli compete, chiude il processo con queste parole: «Ti sei appellato a Cesare, a Cesare andrai».
9 Ma Festo, volendo fare un favore ai Giudei, si rivolse a Paolo e disse: «Vuoi salire a Gerusalemme per essere giudicato là di queste cose, davanti a me?». 10 Paolo rispose: «Mi trovo davanti al tribunale di Cesare: qui mi si deve giudicare. Ai Giudei non ho fatto alcun torto, come anche tu sai perfettamente. 11 Se dunque sono in colpa e ho commesso qualche cosa che meriti la morte, non rifiuto di morire; ma se nelle accuse di costoro non c’è nulla di vero, nessuno ha il potere di consegnarmi a loro. Io mi appello a Cesare». 12 Allora Festo, dopo aver discusso con il consiglio, rispose: «Ti sei appellato a Cesare, a Cesare andrai».
At 25,9-12
Il caso a Cesarea è concluso, da qui fino a 27,1, quando inizierà il viaggio in nave verso Roma, il racconto di Atti mette in risalto l’innocenza di Paolo, come apparirà nell’ultima scena del «soggiorno» a Cesarea con l’incontro di Paolo col re Agrippa e Berenice che fa da cornice all’ultimo grande discorso, quasi una ricapitolazione della sua vita apostolica.
Paolo davanti al Re Agrippa II
13 Erano trascorsi alcuni giorni, quando arrivarono a Cesarèa il re Agrippa II e Berenice e vennero a salutare Festo. 14 E poiché si trattennero parecchi giorni, Festo espose al re le accuse contro Paolo, dicendo: «C’è un uomo, lasciato qui prigioniero da Felice, 15 contro il quale, durante la mia visita a Gerusalemme, si presentarono i capi dei sacerdoti e gli anziani dei Giudei per chiederne la condanna. 16 Risposi loro che i Romani non usano consegnare una persona, prima che l’accusato sia messo a confronto con i suoi accusatori e possa aver modo di difendersi dall’accusa. 17 Allora essi vennero qui e io, senza indugi, il giorno seguente sedetti in tribunale e ordinai che vi fosse condotto quell’uomo. 18 Quelli che lo incolpavano gli si misero attorno, ma non portarono alcuna accusa di quei crimini che io immaginavo; 19 avevano con lui alcune questioni relative alla loro religione e a un certo Gesù, morto, che Paolo sosteneva essere vivo. 20 Perplesso di fronte a simili controversie, chiesi se volesse andare a Gerusalemme e là essere giudicato di queste cose. 21 Ma Paolo si appellò perché la sua causa fosse riservata al giudizio di Augusto, e così ordinai che fosse tenuto sotto custodia fino a quando potrò inviarlo a Cesare». 22 E Agrippa disse a Festo: «Vorrei anche io ascoltare quell’uomo!». «Domani – rispose – lo potrai ascoltare».
At 25,13-27
23 Il giorno dopo Agrippa e Berenice vennero con grande sfarzo ed entrarono nella sala dell’udienza, accompagnati dai comandanti e dai cittadini più in vista; per ordine di Festo fu fatto entrare Paolo. 24 Allora Festo disse: «Re Agrippa e tutti voi qui presenti con noi, voi avete davanti agli occhi colui riguardo al quale tutta la folla dei Giudei si è rivolta a me, in Gerusalemme e qui, per chiedere a gran voce che non resti più in vita. 25 Io però mi sono reso conto che egli non ha commesso alcuna cosa che meriti la morte. Ma poiché si è appellato ad Augusto, ho deciso di inviarlo a lui. 26 Sul suo conto non ho nulla di preciso da scrivere al sovrano; per questo l’ho condotto davanti a voi e soprattutto davanti a te, o re Agrippa, per sapere, dopo questo interrogatorio, che cosa devo scrivere. 27 Mi sembra assurdo infatti mandare un prigioniero, senza indicare le accuse che si muovono contro di lui».
Il discorso di Paolo davanti ad Agrippa II
Questo discorso solenne (26,2-23) è l’ultimo grande discorso dell’Apostolo ed è una solenne rievocazione della vita di Paolo centrata sulla sua conversione/vocazione alle porte di Damasco e sulla sua missione di annunciare Gesù Cristo ai Giudei e ai pagani. Agrippa è un Giudeo e conosce le Scritture. Davanti a lui Paolo risponde alle accuse che i Giudei gli hanno rivolte e che egli aveva inutilmente rigettato (26,2). È la terza volta che Atti raccontano la conversione di Paolo (dopo 9,1-19 e 22,3-21) ogni volta sottolineando qualche dettaglio. Qui Paolo descrive se stesso come un Giudeo fedele alla tradizione il quale ha riconosciuto nella risurrezione di Gesù l’adempimento delle profezie delle Scritture.
1 Agrippa disse a Paolo: «Ti è concesso di parlare a tua difesa». Allora Paolo, stesa la mano, si difese così: 2 «Mi considero fortunato, o re Agrippa, di potermi discolpare da tutte le accuse di cui sono incriminato dai Giudei, oggi qui davanti a te, 3 che conosci a perfezione tutte le usanze e questioni riguardanti i Giudei. Perciò ti prego di ascoltarmi con pazienza. 4 La mia vita fin dalla mia giovinezza, vissuta tra il mio popolo e a Gerusalemme, la conoscono tutti i Giudei; 5 essi sanno pure da tempo, se vogliono renderne testimonianza, che, come fariseo, sono vissuto nella setta più rigida della nostra religione. 6 Ed ora mi trovo sotto processo a causa della speranza nella promessa fatta da Dio ai nostri padri, 7 e che le nostre dodici tribù sperano di vedere compiuta, servendo Dio notte e giorno con perseveranza. Di questa speranza, o re, sono ora incolpato dai Giudei! 8 Perché è considerato inconcepibile fra di voi che Dio risusciti i morti?
At 26,1-23
9 Anch’io credevo un tempo mio dovere di lavorare attivamente contro il nome di Gesù il Nazareno, 10 come in realtà feci a Gerusalemme; molti dei fedeli li rinchiusi in prigione con l’autorizzazione avuta dai sommi sacerdoti e, quando venivano condannati a morte, anch’io ho votato contro di loro. 11 In tutte le sinagoghe cercavo di costringerli con le torture a bestemmiare e, infuriando all’eccesso contro di loro, davo loro la caccia fin nelle città straniere.
12 In tali circostanze, mentre stavo andando a Damasco con autorizzazione e pieni poteri da parte dei sommi sacerdoti, verso mezzogiorno 13 vidi sulla strada, o re, una luce dal cielo, più splendente del sole, che avvolse me e i miei compagni di viaggio. 14 Tutti cademmo a terra e io udii dal cielo una voce che mi diceva in ebraico: Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? Duro è per te ricalcitrare contro il pungolo. 15 E io dissi: Chi sei, o Signore? E il Signore rispose: Io sono Gesù, che tu perseguiti. 16 Su, alzati e rimettiti in piedi; ti sono apparso infatti per costituirti ministro e testimone di quelle cose che hai visto e di quelle per cui ti apparirò ancora. 17 Per questo ti libererò dal popolo e dai pagani, ai quali ti mando 18 ad aprir loro gli occhi, perché passino dalle tenebre alla luce e dal potere di satana a Dio e ottengano la remissione dei peccati e l’eredità in mezzo a coloro che sono stati santificati per la fede in me.
19 Pertanto, o re Agrippa, io non ho disobbedito alla visione celeste; 20ma prima a quelli di Damasco, poi a quelli di Gerusalemme e in tutta la regione della Giudea e infine ai pagani, predicavo di convertirsi e di rivolgersi a Dio, comportandosi in maniera degna della conversione. 21 Per queste cose i Giudei mi assalirono nel tempio e tentarono di uccidermi. 22 Ma l’aiuto di Dio mi ha assistito fino a questo giorno, e posso ancora rendere testimonianza agli umili e ai grandi. Null’altro io affermo se non quello che i profeti e Mosè dichiararono che doveva accadere, 23 che cioè il Cristo sarebbe morto, e che, primo tra i risorti da morte, avrebbe annunziato la luce al popolo e ai pagani».
Reazioni dell’uditorio
24 Mentr’egli parlava così in sua difesa, Festo a gran voce disse: «Sei pazzo, Paolo; la troppa scienza ti ha dato al cervello!». 25 E Paolo: «Non sono pazzo, disse, eccellentissimo Festo, ma sto dicendo parole vere e sagge. 26 Il re è al corrente di queste cose e davanti a lui parlo con franchezza. Penso che niente di questo gli sia sconosciuto, poiché non sono fatti accaduti in segreto. 27 Credi, o re Agrippa, nei profeti? So che ci credi». 28 E Agrippa a Paolo: «Per poco non mi convinci a farmi cristiano!». 29 E Paolo: «Per poco o per molto, io vorrei supplicare Dio che non soltanto tu, ma quanti oggi mi ascoltano diventassero così come sono io, eccetto queste catene!».
At 26,24-32
30 Si alzò allora il re e con lui il governatore, Berenìce, e quelli che avevano preso parte alla seduta 31 e avviandosi conversavano insieme e dicevano: «Quest’uomo non ha fatto nulla che meriti la morte o le catene». 32 E Agrippa disse a Festo: «Costui poteva essere rimesso in libertà, se non si fosse appellato a Cesare».
Dopo aver ascoltato l’appassionato discorso di Paolo tutto incentrato sulla sua esperienza che Gesù era vivo, il procuratore romano per la cui mentalità la risurrezione non aveva senso, conclude che la testimonianza di Paolo non è un delitto ma una pazzia, «sei pazzo Paolo, la troppa scienza ti ha dato al cervello» (v 24). Agrippa invece commenta con ironia «per poco non mi fai diventare cristiano» (v 28). Al che Paolo rivolge ancora un appello che riassume l’anelito della sua vita «io prego Dio che non solo tu ma tutti quanti mi ascoltano diventassero cristiani come me», aggiungendo con ironia «eccetto queste catene» (v 29).
La solenne riunione di corte è terminata, l’assemblea viene disciolta, Festo e Agrippa, non con una sentenza formale, ma parlando tra di loro, concordano su questo parere, «quest’uomo non ha fatto nulla che meriti la morte o le catene» (v 31), tuttavia, essendosi appellato al tribunale imperiale, sarà inviato a Roma, incatenato.
Conclusione
«Un certo Gesù, morto, che Paolo crede vivo»: bellissima descrizione della follia della fede cristiana. Credere che un morto, Gesù di Nazaret, che molti hanno visto morire in croce, è vivo. Saulo il persecutore dei cristiani è diventato Paolo l’apostolo dei pagani perché ha sperimentato questa trasformazione dopo aver incontrato Gesù. Quello che per Festo era una quisquilia relativa alla loro religione, per Paolo era/è la sua ragione di vita.
di Mario Barbero
Mario Barbero
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