«Andrà tutto bene», è una frase importante, ma insufficiente.
Significa che non vogliamo cedere alla disperazione.
Però lasciata lì, da sola, è una frase fatalista.
Sembra dire che, qualunque cosa facciamo o non facciamo, il destino è segnato: «non preoccuparti, stai lì tranquillo, fai finta che tutto rimarrà come prima, andrà tutto bene».
Ma non è detto che andrà tutto bene.
Dipende.
L’unica cosa certa è che molte cose stanno andando e andranno molto male.
Ne usciremo feriti e impoveriti.
Ne usciremo con maggiori disparità: chi era indietro, lo sarà ancora di più. Chi nel frattempo morirà, rimarrà un’assenza incolmabile nella vita di chi non morirà.
Però, se non è scontato che andrà tutto bene, e se è sicuro che molte cose vanno male, potrebbe comunque, alla fine, andare tutto bene.
Se già oggi cerchiamo di trasformare questa situazione in un’occasione: ad esempio per vedere con maggiore chiarezza le disparità (e quindi capire meglio come ridurle), per renderci conto con maggiore forza di quante cose superflue ingombrano le nostre esistenze (ed quindi decidere di liberarsene), per cambiare la scala di priorità nella nostra vita e nella vita pubblica.
Se riusciamo a inserire questa realtà di morte in una prospettiva di vita rinnovata nella quale il male non è (solo) la sofferenza e la morte, ma (soprattutto) l’assenza di amore.
Se riusciamo a dare un senso a quello che ci sta succedendo, senza lasciarci trascinare (e annichilire, o imbufalire) dai molti che anche oggi tentano di guadagnare (ad esempio consensi) sulla sofferenza.
Se riusciamo a dare un indirizzo di vita a questa situazione di morte e spaesamento, allora sì, nonostante le ferite profonde (e attraverso di esse), nonostante la desolazione sperimentata (e attraverso di essa), nonostante le maggiori povertà e fatica (e attraverso di esse), potrà andare tutto bene.
di Luca Lorusso
Luca Lorusso
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