Gli atti di Stefano (Atti 6,1- 8,3)
Questa sezione di Atti si può intitolare «atti di Stefano» perché gli eventi narrati ruotano attorno alla figura di Stefano, «diacono giovane ed entusiasta».
Gli eventi narrati segnano uno sviluppo importante della vita della comunità cristiana di Gerusalemme. Una mormorazione dovuta al crescere della comunità porta alla scelta dei Sette come collaboratori degli apostoli. Tra i Sette emerge Stefano che compie prodigi e segni tra il popolo attirando l’attenzione e l’opposizione di alcuni che, non potendo resistergli, lo accusano falsamente e lo fanno arrestare e comparire davanti al Sinedrio con l’accusa di aver annunciato la distruzione del Tempio (6,12).
Di fronte al Sinedrio Stefano risponde con un lungo discorso (cap 7) che diventa a sua volta un’accusa. La storia d’Israele è vista come una storia di infedeltà e ribellione al Dio dell’alleanza fino al culmine, all’uccisione del Messia promesso, Gesù di Nazaret (7,51-53). Furiosi per quanto hanno sentito da Stefano, tutti insorgono contro di lui, lo linciano uccidendolo a sassate, dopo aver deposto i loro mantelli ai piedi di Saulo (che fa così la sua prima comparsa in Atti) (7,57-8,1), e si scatena una persecuzione contro i cristiani, che porterà alla loro dispersione in altre regioni (8,1).
Da questo riassunto delle principali articolazioni della sezione riguardante Stefano capiamo come l’«evento Stefano» è un punto nodale nel portare la testimonianza a Gesù fuori Gerusalemme (1,8).
L’istituzione dei sette (At 6, 1-7)
[1]In quei giorni, mentre aumentava il numero dei discepoli, sorse un malcontento fra gli ellenisti verso gli Ebrei, perché venivano trascurate le loro vedove nella distribuzione quotidiana. [2]Allora i Dodici convocarono il gruppo dei discepoli e dissero: «Non è giusto che noi trascuriamo la parola di Dio per il servizio delle mense. [3]Cercate dunque, fratelli, tra di voi sette uomini di buona reputazione, pieni di Spirito e di saggezza, ai quali affideremo quest’incarico. [4]Noi, invece, ci dedicheremo alla preghiera e al ministero della parola». [5]Piacque questa proposta a tutto il gruppo ed elessero Stefano, uomo pieno di fede e di Spirito Santo, Filippo, Pròcoro, Nicànore, Timòne, Parmenàs e Nicola, un proselito di Antiochia. [6]Li presentarono quindi agli apostoli i quali, dopo aver pregato, imposero loro le mani. [7]Intanto la parola di Dio si diffondeva e si moltiplicava grandemente il numero dei discepoli a Gerusalemme; anche un gran numero di sacerdoti aderiva alla fede.
La comunità cresce di numero e anche di provenienza: sono tutti discepoli, ma alcuni Ebrei e altri Ellenisti. La differenza linguistica crea difficoltà d’intesa non solo linguistica ma di appartenenza. Gli ellenisti hanno l’impressione che le loro vedove vengano trascurate nella distribuzione degli aiuti (quasi anticipazione dei clienti delle Caritas odierne: «prima gli Italiani»).
Da questi malcontenti/mormorazioni – come quelle dell’Esodo (es 15,24) – prende il via uno sviluppo positivo perché i Dodici anzitutto scoprono meglio qual è la loro identità e missione: non servire a tavola, ma la parola di Dio (4), e poi, senza dare una soluzione preconfezionata, coinvolgono la comunità nel trovare la soluzione (3). Bisogna delegare, non avere la pretesa di fare tutto loro.
La comunità passa dal malcontento/mormorazione alla collaborazione, scelgono Sette persone cui affidare il servizio delle mense (da qui il nome di «diaconi»). Nella lista dei Sette il primo è Stefano «pieno di fede e di Spirito Santo» e su di lui si concentrerà il seguito del racconto. Su questi Sette gli apostoli pregano e impongono le mani come segno del riconoscimento del loro compito.
Dal conflitto alla scoperta dei vari compiti e servizi all’interno della comunità. Il breve racconto di un conflitto e della sua soluzione doveva essere lo sbocco di tensioni all’interno della comunità. Rafforzata da questo evento, essi possono meglio testimoniare la parola di Dio per cui aumentano i discepoli e, cosa eccezionale, anche un gran numero di sacerdoti aderisce alla fede (7). I nomi dei Sette sono tutti greci (ma talora anche degli Ebrei avevano nomi greci, vedi Andrea, Filippo tra i Dodici), e si può presumere che i Sette siano deputati al servizio dei cristiani ellenisti che diventeranno oggetto dell’ostilità delle autorità ebraiche di Gerusalemme.
L’arresto di Stefano (At 6, 8-15)
[8]Stefano intanto, pieno di grazia e di fortezza, faceva grandi prodigi e miracoli tra il popolo. [9]Sorsero allora alcuni della sinagoga detta dei «liberti» comprendente anche i Cirenei, gli Alessandrini e altri della Cilicia e dell’Asia, a disputare con Stefano, [10]ma non riuscivano a resistere alla sapienza ispirata con cui egli parlava. [11]Perciò sobillarono alcuni che dissero: «Lo abbiamo udito pronunziare espressioni blasfeme contro Mosè e contro Dio». [12]E così sollevarono il popolo, gli anziani e gli scribi, gli piombarono addosso, lo catturarono e lo trascinarono davanti al sinedrio. [13]Presentarono quindi dei falsi testimoni, che dissero: «Costui non cessa di proferire parole contro questo luogo sacro e contro la legge. [14]Lo abbiamo udito dichiarare che Gesù il Nazareno distruggerà questo luogo e sovvertirà i costumi tramandatici da Mosè». [15]E tutti quelli che sedevano nel sinedrio, fissando gli occhi su di lui, videro il suo volto come quello di un angelo.
L’attenzione del racconto si concentra ora su Stefano il primo dei Sette «diaconi» che non si limita a servire alle mense (servizio pur importante), ma comincia, ad imitazione degli apostoli (5,12), a fare grandi prodigi e miracoli tra il popolo, passando dal servizio delle mense a quello della parola. Luca mostra di dare molta importanza alla storia di Stefano perché riporta un suo discorso (il più lungo di Atti), descrive il suo martirio come imitazione della morte del Cristo (causata da false accuse) e perché la persecuzione scatenata dalla sua morte, spingerà i primi cristiani a uscire da Gerusalemme e diffondersi tra i pagani.
Gli Ellenisti in Gerusalemme (come in altre città, cf. 13, 14 ad Antiochia di Pisidia) avevano le loro sinagoghe (9) ed è con questi che Stefano disputa per testimoniare che Gesù è il Cristo. Alla disputa seguono le accuse contro Stefano di bestemmiare contro Mosè e contro Dio (11). Egli quindi viene arrestato e portato davanti al sinedrio. Proprio davanti a questo importante consesso Stefano pronuncia il suo discorso – una lunga carrellata sulla storia dell’alleanza tra Dio e Israele a partire da Abramo, vista come una sequenza di infedeltà e di persecuzione degli inviati di Dio (7, 2-50), che culmina con la terribile accusa (51-53) che porterà alla lapidazione di Stefano.
Il discorso di Stefano (7, 1-53)
[1]Gli disse allora il sommo sacerdote: «Queste cose stanno proprio così?». [2]Ed egli rispose: «Fratelli e padri, ascoltate: il Dio della gloria apparve al nostro padre Abramo quando era ancora in Mesopotamia, prima che egli si stabilisse in Carran, [3]e gli disse: Esci dalla tua terra e dalla tua gente e và nella terra che io ti indicherò. [4]Allora, uscito dalla terra dei Caldei, si stabilì in Carran; di là, dopo la morte del padre, Dio lo fece emigrare in questo paese dove voi ora abitate, [5]ma non gli diede alcuna proprietà in esso, neppure quanto l’orma di un piede, ma gli promise di darlo in possesso a lui e alla sua discendenza dopo di lui, sebbene non avesse ancora figli. [6]Poi Dio parlò così: La discendenza di Abramo sarà pellegrina in terra straniera, tenuta in schiavitù e oppressione per quattrocento anni. [7]Ma del popolo di cui saranno schiavi io farò giustizia, disse Dio: dopo potranno uscire e mi adoreranno in questo luogo. [8]E gli diede l’alleanza della circoncisione. E così Abramo generò Isacco e lo circoncise l’ottavo giorno e Isacco generò Giacobbe e Giacobbe i dodici patriarchi […].
[…] [51]O gente testarda e pagana nel cuore e nelle orecchie, voi sempre opponete resistenza allo Spirito Santo; come i vostri padri, così anche voi. [52]Quale dei profeti i vostri padri non hanno perseguitato? Essi uccisero quelli che preannunciavano la venuta del Giusto, del quale voi ora siete divenuti traditori e uccisori; [53]voi che avete ricevuto la legge per mano degli angeli e non l’avete osservata».
[54]All’udire queste cose, fremevano in cuor loro e digrignavano i denti contro di lui.
Non meraviglia che una requisitoria così severa, frutto di uno sguardo accusatore sulla storia d’Israele, pronunciata proprio davanti al sinedrio, generi un forte risentimento (54) verso Stefano e la decisione, presa non al termine di un processo formale, ma «a furor di popolo» (=linciaggio), di lapidarlo come bestemmiatore.
Lapidazione di Stefano. Saulo persecutore (At 7, 55-60)
[55]Ma Stefano, pieno di Spirito Santo, fissando gli occhi al cielo, vide la gloria di Dio e Gesù che stava alla sua destra [56]e disse: «Ecco, io contemplo i cieli aperti e il Figlio dell’uomo che sta alla destra di Dio». [57]Proruppero allora in grida altissime turandosi gli orecchi; poi si scagliarono tutti insieme contro di lui, [58]lo trascinarono fuori della città e si misero a lapidarlo. E i testimoni deposero il loro mantello ai piedi di un giovane, chiamato Saulo. [59]E così lapidavano Stefano mentre pregava e diceva: «Signore Gesù, accogli il mio spirito». [60]Poi piegò le ginocchia e gridò forte: «Signore, non imputar loro questo peccato». Detto questo, morì.
La breve narrazione della morte di Stefano, il primo martire cristiano, ricalca da vicino la narrazione della morte di Gesù (Lc 23,34.46), sia nella menzione dei cieli aperti (57) (ma con la grande novità del Figlio dell’Uomo alla destra di Dio identificato in Gesù), sia nel perdono di coloro che lo uccidono (59-60). Circa le ultime parole del martire, prima di morire, è interessante richiamare «il martirio dei sette fratelli» narrato in 2 Mc 7,1-42 con abbondanza di dettagli raccapriccianti. I morituri promettono ai loro carnefici la giusta punizione: «Ma per te la risurrezione non sarà per la vita» (14), «quanto a te, vedrai come strazierà te e la tua discendenza» (17), «ma tu non credere di andare impunito» (19), «ma tu che ti fai autore di tutte le sventure degli Ebrei, non sfuggirai alle mani di Dio» (31), «Tu subirai per giusto giudizio di Dio il giusto castigo della tua superbia» (36). Gesù e Stefano muoiono senza accusare né minacciare vendetta, ma pregando per i loro carnefici e perdonandoli.
Nella narrazione della morte del primo martire cristiano, per la prima volta (58) in Atti viene nominato Saulo (che sarà poi conosciuto come Paolo di Tarso), colui che nella seconda parte del libro sarà il più grande testimone di Gesù. Nella morte di Stefano si realizza la parola di Gesù (Gv 12,24): il chicco di frumento se non muore non produce frutto e l’asserzione di Tertulliano: «Il sangue dei martiri è il seme di nuovi cristiani».
di Mario Barbero
Mario Barbero
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