La missione ha molte facce. Quella africana, ma anche quella europea. Quella dei bimbi, ma anche quella delle comunità di adulti che li fanno crescere. Quella gioiosa della fede, dei canti, dell’accoglienza, ma anche quella triste della povertà, dell’alcol, della violenza.
Anche nel 2017, come negli anni passati, sono stati molti i giovani che hanno usato le loro vacanze per andare a incontrare queste facce.
Dopo mesi di preparazione e attesa, la missione non li ha delusi, e sono tornati carichi del desiderio di comunicare a tutti quello che hanno vissuto.
Ecco alcuni dei loro racconti raccolti da amico. Buona lettura.
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Cam Torino. Tanzania 2017 /1
L’Africa è…
Quattordici amici, con differenti età, professioni e appartenenze geografiche (anche se in gran parte di Torino), per 25 giorni a Sanza, Tanzania, accompagnati da padre Daniel Lorunguiya.
La Tanzania ci abbraccia, ci accoglie con umiltà, col calore del sole, con i canti delle donne, con sorrisi e occhi di bambini troppo grandi… e dopo esserci così tanto riempiti di bellezza, di una terra così diversa, torniamo alla nostra anormalità. Perché in quella semplicità e in quella povertà abbiamo trovato tutto.
L’Africa è… le centinaia di bambini che ci abbracciano e con cui giochiamo ogni giorno; occhi grandi e profondi, che parlano la nostra stessa lingua.
L’Africa è… i lunghi viaggi in jeep, dove si può stare anche in 27.
L’Africa è… i colori dell’alba, il silenzio del mattino e il canto del gallo che annuncia il nuovo giorno.
L’Africa è… l’accoglienza nei villaggi, le donne colorate, le voci acute, i canti, i tamburi che sento ancora vibrare…
L’Africa è… povertà, ma mai è mancato un invito a pranzo con capretto sacrificato per noi!
L’Africa è… un letto tanto duro e scomodo che dopo un giorno diventa casa.
L’Africa è… terra rossa, sabbia, baobab e rovi.
L’Africa è… case di terra e fango.
L’Africa è… pozzi senz’acqua e mani che scavano per trovarla.
L’Africa è… bimbi che camminano con scarpe fatte di copertoni o a piedi nudi per tre ore per andare a scuola.
L’Africa è… sorrisi.
L’Africa è… karibu di benvenuto.
L’Africa è… messe lunghe, di balli, di canti, di tamburi, di loro, di noi…
L’Africa è… i bambini dell’orfanotrofio che aspettano braccia che avvolgano.
L’Africa è… tornare a casa, scombussolati e arricchiti, chiudere gli occhi e provare a sentire ancora l’odore di quella terra, sentire ancora le voci festanti, sentire il silenzio del mattino e, rivolgendo gli occhi all’insù, vedere l’infinito di stelle.
L’Africa è molto di più di tutto questo… solo il cuore potrebbe descriverla.
di Silvia Vittone, Cam Torino
Leggi le altre testimonianze sull’esperienza del gruppo del Cam di Torino in Tanzania:
Cam Torino. Tanzania 2017 /2. Magnifica scoperta
Cam Torino. Tanzania 2017 /3. Acqua nell’aridità
Cam Torino. Tanzania 2017 /4. Ciao Ragazzi
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Impegnarsi serve. Swaziland 2017
Magliette gialle in missione
Nove giovani con il sogno d’incontrare un mondo diverso. In Swaziland anche per parlare con i ragazzi del problema alcol.
«Se si sogna da soli, rimane solo un sogno. Se si sogna in compagnia, è l’inizio della realtà». Abbiamo scritto questa frase sulle magliette gialle che hanno accompagnato la nostra esperienza in Swaziland… sì perché quello che ha fatto intrecciare le vite di nove ragazzi (Adriana, Antonella, Clelia, Fabio, Francesca, Giulia, Luisa, Marianna e Laura) è stata proprio la voglia di realizzare un sogno… il sogno di conoscere un mondo diverso… il sogno di fare un viaggio fisico, ma soprattutto interiore, per imparare a tornare nella vita di tutti i giorni con uno sguardo diverso, con la capacità di dare valore alle cose veramente importanti.
Non importa se sia la prima o la decima esperienza, l’Africa riesce sempre a riportarti all’essenza dei valori reali, all’accoglienza, all’amicizia, all’autenticità. Perché girando per le strade di Manzini, la cosa che ci ha stupiti maggiormente è stata la spontaneità con cui le persone ci salutavano senza conoscerci, ci sorridevano e cercavano di parlare con noi. Per conoscerci senza pregiudizi e preconcetti, accogliendoci per come siamo.
L’Africa è fatta di sguardi, sorrisi, abbracci, piccoli momenti che ti si imprimono per sempre nel cuore e nella mente.
E quest’anno ancora più di altre volte la nostra esperienza ci ha permesso di entrare in contatto con la realtà dei giovani. Siamo andati in Swaziland per
presentare nelle scuole superiori locali il programma «Educare per prevenire» inserito nella campagna AlcolOltre lanciata a gennaio dall’associazione Impegnarsi Serve, fondata nel 1998 dal missionario della Consolata padre Giordano Rigamonti. Un programma che ci ha portato a incontrare oltre mille ragazzi che frequentano gli ultimi due anni delle superiori per riflettere con loro sugli effetti che l’abuso di alcol può avere sul corpo umano. È stato interessante vedere la reazione dei ragazzi che inizialmente ridevano, poi si stupivano e alla fine rimanevano senza parole. Ragazzi che alla fine dell’incontro si fermavano a chiedere ulteriori informazioni, volevano approfondire l’argomento e ci raccontavano le loro storie.
Abbiamo capito quanto il problema dell’alcol sia presente in Swaziland al punto da essere parte integrante della tradizione e cultura locale, tanto che il calendario è scandito dal periodo della raccolta della marula (un frutto da cui si ricava un alcolico artigianale) e della sua distillazione.
Abbiamo progettato il viaggio sognando da soli, siamo partiti con la voglia di sognare insieme, speriamo di aver lasciato un piccolo segno nella realtà dei giovani che abbiamo incontrato. Di sicuro siamo tornati arricchiti, pieni di emozioni e sensazioni che a distanza di settimane continuano a emergere e a farci sentire vicini ai nostri nuovi amici dello Swaziland.
di Laura Scomazzon
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Bevera. Tanzania /1
Sadani danza
Agosto 2017. Dieci giovani amici dei missionari di Bevera (Lecco), partono per la loro prima missione, accompagnati da padre Nicholas Odhiambo. Destinazione Sadani, Tanzania.
Terra brulla, cielo terso, tetti di lamiera. Questo è ciò che i miei occhi assonnati hanno scorto d’improvviso dal finestrino dell’aereo. «Benvenuti a Dar Es Salaam», una voce ha risvegliato completamente i miei sensi annunciando l’atterraggio dall’altoparlante. Sono sobbalzata. «È fatta, Valentina, lo stai facendo davvero. Dopo anni di sogni e aspettative. Sei qui. Ora non puoi tornare indietro».
Questi sono stati i miei pensieri mentre mettevo piede in terra tanzaniana, quando ancora non potevo sapere che quest’esperienza avrebbe rivoluzionato la mia vita. La Tanzania ha iniziato da subito a insegnarmi molte cose: a razionalizzare le sofferenze affrontandole, a piangere solo di gioia, a essere grata di ogni cosa, a sorridere con il cuore e non soltanto con la bocca.
Il primo sorriso di tutto il viaggio è stato anche uno dei più veri: dal finestrino dell’auto ho visto una donna bellissima. Indossava un vestito verde sgargiante e sulla testa portava un turbante rosso fuoco con cui sorreggeva un’enorme catasta di legna. Nelle mani aveva due secchi, forse pieni d’acqua e, nonostante ciò, camminava veloce ancheggiando e sorridendo. Mi sono chiesta come facesse e mi sono sentita stupida per tutte le volte in cui, andando a scuola, in montagna o in università, mi lamento del peso di uno zaino. Quel momento è stato cruciale, lo ricordo bene ancora oggi, perché è proprio da lì che ho iniziato a guardare tutto da una diversa prospettiva. Con uno sguardo curioso e incondizionato verso una cultura nuova e apparentemente distante che in breve tempo mi sarebbe divenuta vicina e famigliare.
Mi ha spiazzato sin da subito la velocità con cui capanne e case fatiscenti, polvere e rifiuti lasciati bruciare per strada si alternassero a sorrisi, abiti coloratissimi, e bambini che correvano e danzavano. Osservando quella scena ho iniziato a comprendere lo spirito africano, quello per cui non importa lo stato di povertà o di miseria in cui vivi, perché la fede, la speranza, la gioia e il sorriso saranno sempre predominanti.
Basti ricordare che nella lingua swahili, alla domanda «habari gani?», «come stai?», l’unica e sola risposta possibile, indipendentemente da ogni cosa è «nzuri», «bene». Sono state proprio belle la generosità e gratuità con cui il nostro bizzarro gruppo di bianchi occidentali è stato accolto nella grande famiglia che è il villaggio di Sadani. Se dovessi descrivere con una sola parola la nostra permanenza lì utilizzerei la parola danza. La danza, insieme al canto, ha pervaso ogni momento delle nostre giornate e si tramutava, di volta in volta, in un motivo per gioire, ringraziare e pregare. In qualsiasi momento poteva partire un urlo di gioia, vigelelegele, e tutti iniziavano a cantare e ballare in cerchio alternando i battiti delle mani con quelli dei piedi.
Ancora oggi i bonghi e le voci nere e soavi si uniscono e ballano una danza immaginaria con il mio cuore, ogni volta che chiudo gli occhi e con la mente ritorno lì. Purtroppo quando li riapro mi ritrovo qui, in Italia, dove le danze e i sorrisi vengono rimpiazzati dai pensieri e dalla frenesia.
Ma l’esperienza in Tanzania non è finita con il ritorno a casa: non basta cambiare scenario per dimenticare ciò che mi ha insegnato.
Valentina Vergottini
Leggi un’altra testimonianza sull’esperienza del gruppo del Cam di Bevera in Tanzania
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Ragazzi Imc Italia. Roma /1
1000 mondi in missione #unicapassione
Sessanta ragazzi tra i 14 e i 18 anni, dalle province di Lecce, Taranto, Lecco e Torino si sono trovati a Roma per condividere l’#unicapassione: la missione che si sviluppa in 1000 modi e mondi diversi.
Sessanta ragazzi tra i 14 e i 18 anni si sono dati appuntamento a fine agosto scorso a Roma per condividere alcune giornate di riflessione e impegno sul tema «1000 Mondi in Missione».
Provenienti da varie zone d’Italia – Ruffano, Galatina e Castrignano dei Greci (Lecce), Torino, Bevera (Lecco) e Martina Franca (Taranto) -, accompagnati da p. Dawinso Licona, p. Nicholas Muthoka, p. Nicholas Odhiambo con Leonardo, e dal seminarista Célio, e guidati da padre Antonio Rovelli, consigliere generale dell’Imc, dal 28 agosto al 3 settembre hanno soggiornato presso il seminario teologico dei missionari della Consolata di Bravetta (Roma), soffermandosi sulla «Missione nella Chiesa», la «Missione come servizio» e la «Missione come Contemplazione».
La missione nella Chiesa. Grazie all’aiuto di padre Antonio, i ragazzi hanno riflettuto sui vari significati di «Chiesa»: intesa come costruzione di mattoni e come comunità, ma anche come Chiesa della missione. Il gruppo ha avuto l’occasione di recarsi in Vaticano per visitare la Basilica di San Pietro, le catacombe e il museo del Tesoro. Ha anche visitato la Città Eterna di sera. L’incontro con il Papa è stato particolarmente suggestivo, in quanto i ragazzi sono stati protagonisti dell’udienza e coinvolti nel suo discorso provocatorio: «I giovani che non cercano nulla non sono giovani, sono invecchiati prima del tempo. È triste vedere dei giovani in pensione» (Udienza del 30 agosto 2017).
La missione come servizio. Guidati dalla riflessione di padre Stefano Camerlengo, superiore generale, i ragazzi hanno compreso che la missione non è solo ad gentes e ad extra, ma anche ad intra, ovvero nel nostro territorio. Per sperimentare questa idea, sono stati divisi in tre gruppi, ciascuno dei quali è andato a toccare con mano una realtà missionaria diversa.
Il primo si è recato alla comunità di Sant’Egidio che ospita ragazzi rom e di altre etnie, per aiutarli nelle loro attività giornaliere di gioco e studio. Il secondo ha offerto le sue forze al Centro Astalli, servizio dei Gesuiti per i rifugiati, e ha ascoltato la testimonianza di suor Paola sulle ricchezze e le sfide che la missione oggi porta. Il terzo gruppo ha offerto il suo servizio alla mensa della Caritas diocesana, vedendo con i propri occhi qual è la realtà dei senzatetto.
La missione come contemplazione. Nell’udienza del mercoledì, Papa Francesco ha detto che la prima condizione per scoprire la propria vocazione è l’incontro con Gesù. Immersi in un silenzio intenso di preghiera, i ragazzi hanno avuto un momento di riflessione personale grazie alla veglia di fine serata guidata da padre Michelangelo Piovano. Prima di questo momento c’era stata la testimonianza di Fra’ Michele, monaco trappista delle Frattocchie che ha spiegato la vita del monaco, l’origine del suo movimento e cos’è la missione come contemplazione.
Papa Francesco a Cracovia, nella Gmg del 2016, aveva detto: «Siamo venuti per lasciare un’impronta». E voi, cosa scegliete di fare?
Filippo, Federica, Francesca, Maria, Martino, Miriam e Pietro
gruppo Arcobaleno 2,
Cam Martina Franca
Leggi un’altra testimonianza sull’esperienza di Roma: Missione come Chiesa, servizio, contemplazione
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Nella rubrica Missione e Missioni trovate anche:
Albania…
Durante gli incontri di formazione al Cam, padre Gianfranco Testa ci ha introdotti ai temi del perdono e della riconciliazione, nominando spesso l’Albania e le famiglie in vendetta. Insieme al mio ragazzo abbiamo così deciso di vivere una breve esperienza di missione a Scutari e Tirana durante le vacanze estive.
(Eleonora Bortolomasi – Cam Torino)
Padre Testa mi ha raccontato la situazione della famiglia che stavamo per incontrare: un giovane padre di famiglia, incitato dai propri genitori a tenere alto l’onore della famiglia, era in attesa di vendicare la morte di un cugino. Fin dall’inizio della vicenda, il giovane aveva dichiarato di non voler vendicarsi […]. Una scelta difficile e forte, perché controcorrente.
(Matteo Scanavino – Cam Torino)
Tanzania…
Ciao Iven, sì, scrivo proprio a te, bellissima bambina che vive a quasi 10.000 km da me, a Sadani, in Tanzania. […]
Mi avete aperto il cuore e siete venuti ad abitarci […]. Mi mancate. Mi manca il sorriso aperto dei bambini come te, che mi fanno capire che la vita è un dono e tu ne fai parte.
(Chiara Bonfanti – Cam Bevera)
La missione non finisce una volta rientrati nelle proprie case, anzi, è proprio lì che ha veramente inizio, perché è soprattutto qui che abbiamo il potere di diffondere tutto ciò abbiamo visto e appreso da questa esperienza, raccontando certamente il bello della Tanzania, dei suoi paesaggi sconfinati e della sua gente dal cuore grande, ma soprattutto portando a conoscenza di tutto quello che ancora non va e per il quale noi possiamo fare molto con poco.
(Daniele Giaffreda – Cam Torino-Martina Franca)
È possibile viaggiare da soli. Ma un buon camminatore sa che il grande viaggio è quello della vita ed esso esige dei compagni. […] Dalla ricchezza dei sorrisi dei bambini e dall’affetto ricevuto, dai colori che balzavano all’occhio, fa effetto constatare che la povertà, come la intendiamo noi, sia l’ultimo dei pensieri.
(Davide Lacarbonara – Cam Torino)
Innanzi tutto volevo dirvi che vi ammiro molto, siete proprio un bel gruppetto; affiatati, simpatici, frizzanti, spiritosi, solari, allegri, pieni di vita. Mi ha colpito la naturalezza con la quale avete risposto a questa chiamata. […] Sarà un’esperienza molto forte, capace di farvi riconsiderare tutto quello che credevate di sapere. […] In Tanzania troverete qualcuno che sta aspettando proprio voi, attende il vostro dono d’Amore e vi sta aspettando per donarvi qualcosa di sé… […] buon viaggio!
(Maria, mamma di uno dei giovani del Cam Torino, la sua lettera prima della partenza)
La valigia è molto più carica della partenza: piena di nuove consapevolezze, di un nuovo modo di vedere le cose, di stati d’animo indescrivibili e di «asante sana». […] Portiamo a casa anche una bella sensazione di felicità e gioia interiore, che si può comprendere solo facendo in prima persona un viaggio di questo tipo. […] Fin dal primo giorno siamo stati investiti dalla luce come fosse un monito a spalancare bene gli occhi.
(Riccardo Carlet – Vittorio Veneto)
Leggilo su Missioni Consolata n. 12, 2017, in pdf sfogliabile.
Giovani IMC
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