Slow page dei Missionari della consolata

Se tu mi ami, dimmi la verità

Intervista a padre Jean Willy Ipan, missionario della Consolata congolese in Costa d’Avorio.

Perché hai deciso di diventare missionario e, soprattutto, perché missionario della Consolata?
La mia vocazione missionaria è nata dalla presenza dei missionari nella mia parrocchia quando ero ragazzo, prima della scuola secondaria.
Sono diventato missionario della Consolata perché, frequentando il gruppo vocazionale, ho sentito che la chiamata missionaria è un dono prezioso. I missionari della Consolata sono consacrati per la missione ad gentes, cioè per annunciare il Vangelo ai popoli non ancora evangelizzati o evangelizzati ma non sufficientemente, ed in me erano fortemente presenti la motivazione e il desiderio di andare ad evangelizzare anche fuori del mio paese.

Puoi raccontare brevemente la tua storia missionaria?
Prima ho studiato in Congo facendo la scuola primaria e secondaria, e la formazione filosofica per tre anni raggiungendo il grado di baccalaureato. In Congo ho fatto anche teologia.
Gli anni di teologia sono stati inframmezzati dall’anno di noviziato vissuto in Mozambico.
Ordinato sacerdote il 3 gennaio 1999, dopo un po’ di vacanze in famiglia, il 5 maggio sono partito per la Costa d’Avorio dove vivo la missione ancora oggi.

Puoi dire due parole sul paese in cui ti trovi oggi? Quali sono le principali sfide missionarie che propone?
La Costa d’Avorio è un paese che mi ha aiutato molto nella mia esperienza di missione, come religioso e sacerdote, perché vi ho trovato della gente molto accogliente, la coesistenza di diverse culture, un grande rispetto verso le persone straniere e soprattutto verso i missionari che gli Ivoriani chiamano sempre “uomini di Dio”. Con le persone che ho incontrato qui ho imparato molti valori: umani, sociali e spirituali.
Le sfide che ho trovato, e trovo ancora, sono diverse: la crisi politica (dal colpo di stato del 24 novembre 1999) che continua fino ad oggi creando grande insicurezza; la povertà della gente; la mobilità dei leader; la diversità delle lingue; la mancanza di strutture sanitarie nelle zone rurali e le molte strade impraticabili nella stagione delle piogge; l’analfabetismo.

Che lavoro svolgi oggi? Quali sono le difficoltà e le soddisfazioni più grandi che incontri?
In questa realtà missionaria il mio lavoro è stato, prima, di vice parroco e poi di superiore delegato negli ultimi sei anni, animando e accompagnando il lavoro dei missionari della delegazione. La difficoltà più grande che ho incontrato durante il primo periodo era legata alle strade impraticabili, e durante il sessennio 2005-2011 è stata la mancanza di pace nel paese, con conseguente insicurezza stradale durante i viaggi per le visite nelle missioni.

Ci racconti un episodio significativo della tua vita missionaria?
Un episodio significativo della mia vita missionaria certamente può essere quello in cui ho salvato la vita ad un bambino gravemente ammalato. Una domenica, mentre andavo a celebrare la messa in una cappella, sono passato a casa di un catechista trovandovi il figlio in agonia. I genitori l’avevano già portato all’ospedale spendendo tutti i loro soldi inutilmente, e quando sono arrivato io aspettavano a casa che egli morisse. Allora ho deciso di riportarlo all’ospedale lasciando la santa messa e facendo un viaggio di quattro ore di macchina, scampando anche ad un incidente lungo il cammino. Quando siamo arrivati, la diagnosi indicava mancanza di sangue. Ne ho comprato subito ed ho fatto ricoverare il bambino. Abbiamo dovuto aspettare un’ora e mezza prima della trasfusione, e appena avvenuta è guarito.

Quali sono, secondo te, le grandi sfide della missione del futuro? In concreto, come pensi di affrontarle nel tuo ambiente, con la gente con cui lavori?
Nell’oggi della Costa d’Avorio la grande sfida della missione è la riconciliazione della gente, quindi tra le etnie del nord e del sud, tra est e ovest del paese, dopo la grande crisi dei mesi scorsi, perché oggi c’è una forte divisione tra le etnie causata dalla politica.

Che cosa possiamo offrire al mondo come Missionari della Consolata? Quali sono le nostre ricchezze che possiamo condividere con gli altri?
Al nostro mondo odierno caratterizzato dal fenomeno della globalizzazione, io credo che, come Missionari della Consolata, possiamo offrire i nostri valori: lo “spirito di corpo”, l’“unità d’intenti”.

A partire dal tuo contesto, che cosa dovremmo fare, secondo te, per avere più impatto nel mondo giovanile?
Dovremmo essere all’ascolto, per entrare nel mondo dei desideri dei giovani, per accompagnarli. Essere molto creativi, avere iniziative stimolanti.

Durante queste interviste chiediamo sempre di suggerirci uno slogan da proporre a tutti i giovani che si avvicinano ai nostri centri missionari. Che frase, slogan, citazione proporresti, e perché?
“Se tu mi ami, dimmi la verità”. Perché la gioventù è il futuro della società e dobbiamo prepararla nei valori della vita, e il primo è il valore della verità per realizzare la vita di modo pieno e non sbagliato.

Ugo Pozzoli

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