Slow page dei Missionari della consolata

Precedenza all’Asia

La missione in Corea, costituisce un’autentica sfida al nostro essere missionari…

La nostra Delegazione è sempre stata molto piccola. I missionari siamo stati sempre intorno alla decina, provenienti da 7 nazioni diverse, e distribuiti in 3 comunità, ognuna impegnata nella realizzazione di una dimensione del nostro Progetto Missionario.

Il Paese
La Corea è un paese piccolo in estensione (99.200 kmq), ma con una popolazione che sfiora i 50 milioni di abitanti. E’ un paese che si è trasformato rapidamente dalla nazione uscita in macerie dalla guerra con il Nord negli anni 1951-3, in una nazione industrializzata, dinamica, con un’economia forte, sempre più presente ed attiva sul panorama internazionale.
Se c’e’ una parola che può definire bene la Corea, questa è la parola “cambio”. In Corea è sempre, tutto, in costruzione: nuove strade e autostrade; nuove linee ferroviarie e di metropolitana urbana, nuovi complessi urbani, e così via. E’ un cambio vertiginoso, inarrestabile, che percorre tutte le dimensioni della società, della cultura, e della vita della gente.
Assieme al cambio, saltano alla vista anche alcune grosse “tensioni”: C’e’ una forte tensione con la Corea del Nord, in parte come conseguenza del cambio di linea politica nel governo del Sud, al quale il Nord ha risposto con un forte irrigidimento, e con vere e proprie azioni di guerra che hanno riacutizzato la tensione.
C’e’ una forte tensione a livello politico/ecologico. Diversi progetti dell’attuale governo sono stati duramente contestati da una sorprendente coscienza ecologica nella gente, e ciò ha causato e continua a causare delle forti tensioni.
C’e’ una qualche tensione anche nei rapporti tra le varie religioni del Paese, che si è manifestata ultimamente con gesti di intolleranza da parte di alcuni gruppi protestanti fondamentalisti in templi buddisti; senza parlare dell’infinita polemica del Buddismo con l’attuale presidente (protestante), accusato di favorire nei sussidi governativi i Protestanti a scapito del Buddismo.
C’e’ una forte tensione nella società in quanto tale, dal momento che la differenza economica tra ricchi e poveri si sta dilatando, il costo della vita aumenta inesorabilmente, fa’ capolino il problema della disoccupazione (per i giovani soprattutto), e gli immigrati stranieri, pur necessari, vengono spesso sottoposti a misure repressive. Il disagio esistenziale che serpeggia nella società coreana si manifesta in un aumento considerevole di violenze “gratuite”, oltre che nell’alto numero di suicidi, che continua
imperterrito, anche di persone in mostra nel campo economico, accademico e perfino dello spettacolo.

La nostra presenza in loco.
In questa società, in questa Chiesa e in questa realtà è inserita la nostra comunità missionaria, fin dal 1988. Anche noi, come il Paese che ci ospita, sempre in “cambio”, rivedendo e specificando sempre meglio le nostre scelte.
Dopo un primo periodo in cui abbiamo preso una forte coscienza del nostro “essere per i non cristiani”, abbiamo cercato di concretizzare questa opzione di base in alcune scelte più operative.

La prima scelta è stata l’evangelizzazione dei poveri.
Iniziata a Man-sok-dong, un quartiere povero della città di Incheon, con l’ideale dell’inserimento nella vita delle persone comuni del quartiere, è proseguita poi a Kuryong-maul, un villaggio di “vinil houses” di Seoul. Dal 2007 abbiamo scelto, come alternativa, di dedicare la nostra attenzione agli immigrati stranieri, considerati da tutti, in questi anni, i più poveri dei poveri.
Abbiamo così aperto la nostra attuale comunità di Tong-du-cheon (Diocesi di Ui-jong-bu). I missionari si dedicano a lavoratori stranieri di lingua inglese e spagnola, facendo un po’ di tutto in loro aiuto: dall’attività pastorale “classica” (Messe e sacramenti), alla formazione della fede, alle visite in ospedale e carceri, ecc.

La seconda scelta in ordine di tempo è stata l’AMV della Chiesa locale.
Questa attività e’ sempre stata svolta nella comunità di Yokkok, ma anche in questo campo i “cambi” non sono mancati. Abbiamo formato, fin dal 2005, una vera e propria equipe di AMV, che lavorasse insieme, ed elaborasse programmi ad hoc.
Continuiamo la pubblicazione (cominciata nel 1995) della rivista bimensile missionaria “La Consolata”, e continuiamo a fare proposte di formazione, di Lectio divina, di Ritiri spirituali. Negli ultimi anni ci siamo proposti due obiettivi fondamentali: creare un gruppo/movimento giovanile missionario e creare nelle parrocchie gruppi “ad gentes” per l’animazione missionaria delle parrocchie stesse.

La terza, e per il momento ultima, scelta è stato il Dialogo Interreligioso.
L’avventura del Dialogo Interreligioso (DI) è cominciata con entusiasmo nel 1998, con la costruzione del nostro Centro per il DI di Okkil. Abbiamo provato a stabilire relazioni di dialogo con gruppi di altre religioni sul territorio, e qualche buona esperienza siamo anche riusciti a farla, solo per vederla poi interrompersi per motivi alieni alla nostra volontà. Nel frattempo è andata crescendo la nostra
presenza e partecipazione attiva nelle istituzioni ufficiali del DI, come membri sia della Commissione dei Vescovi Coreani per il Dialogo ecumenico e interreligioso, sia della Conferenza Coreana delle Religioni per la Pace. Ora il governo del Paese ha deciso di realizzare un progetto di costruzione di case popolari nella nostra zona, per cui veniamo espropriati della terra e del Centro di Okkil.
Siamo ancora nel bel mezzo di questo nuovo e radicale “cambio”. Stiamo cercando una nuova sede, visto che la diocesi di Taejon ci ha aperto la porta per trasferirci là.

Ciò che da energia e forza alla Delegazione.
La missione in Corea, costituisce un’autentica sfida al nostro essere missionari: oltre alla difficile lingua (che è e rimane sempre, per tutti, una forte limitazione già di per sé), la ricca e complessa cultura, la vastità del cambio socio/culturale che il Paese sta vivendo, è la sfida di una missione  essenzialmente urbana, non basata su “opere” e non sorretta da strutture, ma da continui tentativi di raggiungere i suoi destinatari e camminare con loro. Una missione quindi basata più sull’essere e sulla relazione (non con grandi numeri, tra l’altro!) che sul “fare”. Essa richiede da una parte una grande
capacità del missionario di avere una buona relazione umana, e dall’altra la capacità di cercare sempre nuovi mezzi e modi per entrare in contatto con la gente, assieme a una buona capacità di assorbire le frequenti frustrazioni, la mancanza di gratificazione personale, e la mancanza di frutti concreti da poter sperare e mostrare.
Cosa ci ha permesso di andare avanti fin’ora e cosa continua a permetterci di accogliere questa “sfida” che la missione ci pone qui in Corea? Indicherei essenzialmente quanto segue.

Fede, preghiera, profonda vita spirituale.
La missione in Corea richiede a tutti i missionari che vi arrivano un’esperienza profonda di conversione: dall’idea del missionario al “centro” che fa, agisce, realizza opere e progetti, all’idea/realtà di un missionario ai “margini”, debole, straniero, di cui ne’ la società, ne’ la Chiesa sembrano sentire il bisogno. La Missione ci mette continuamente alla “prova” e ci fa più umili, più “servi” e più disponibili a ciò che veramente Dio vuole da noi. Ci fa scoprire un “nuovo modo” di essere missionari, capaci di annunciare il vangelo anche senza l’appoggio della classica struttura parrocchiale; ci fa passare dal protagonismo personale alla testimonianza comunitaria.

La comunità, il carisma, la Vita Religiosa.
Sentiamo assoluta necessità della comunità e di una vita comunitaria fraterna e intensa. Essa offre sostegno, forza, affetto, consolazione nei momenti di crisi; aiuta il discernimento, e offre una testimonianza di fede…
All’interno della vita comunitaria, assume poi tutta la sua importanza la comunione/comunicazione che ci sforziamo di mettere in pratica. Questo porta, pur in mezzo a limiti e debolezze di ogni sorta, ad una vera conoscenza del fratello e della sua situazione, al dialogo, all’interesse di tutti per tutto, alla partecipazione diretta alla presa di decisioni, alla programmazione.

Un Progetto Missionario condiviso da tutti.
Il continuato discernimento comunitario ci ha portato ad elaborare il Progetto Missionario che abbiamo esposto sopra, progetto comune, accettato e sostenuto da tutti. Esso crea unità d’intenti, solidarietà effettiva nei progetti/attività e una miglior costanza/perseveranza nelle scelte fatte di valore/azione, nonostante i fallimenti, che così ci demoralizzano di meno.

Dall’Asia, terra dove chiama l’ad gentes, un caro saluto a tutti.

P. Diego Cazzolato, IMC

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