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Canada, arte urbana per la scuola

Montreal: urban arts, partnership tra scuola, artisti e università

Graffito «Montreal».

Sono tante le strategie messe in campo in tutto il mondo per contrastare la dispersione scolastica e promuovere l’inclusione. Molto spesso, infatti, le ragioni dell’insuccesso e dell’abbandono non risiedono né nella famiglia né nel background, ma hanno a che fare con la scuola stessa, a partire dalle sue metodologie didattiche fino all’ambiente fisico, perché, se è vero che degrado chiama degrado e uno spazio brutto e pesante non invoglia ad andarci, è vero dall’altro lato che un posto bello dove ci si sente accolti e capiti, per tanti ragazzi e ragazze, può fare la differenza.

La James Lyng High School

È per questa ragione che a St. Henri, un quartiere disagiato e ad alta concentrazione d’immigrati nell’area Sud Occidentale di Montreal, in Canada, è nato il progetto Urban Arts (arti urbane), una partnership tra una scuola superiore anglofona di zona (la James Lyng High School – Jlhs), l’università Mc Gill e un gruppo di artisti, di arti urbane, appunto.
Nel 2013, il 78% degli studenti della Jlhs era considerato a rischio di dispersione per diagnosi di disabilità o difficoltà di apprendimento. Si stimava, inoltre, che circa la metà degli studenti non terminasse la scuola superiore nei cinque anni previsti e che molti di coloro che si diplomavano non continuassero gli studi. La scuola aveva, inoltre, bassi tassi d’iscrizione (a causa di un mix di fattori, tra cui una popolazione titolare della possibilità di scegliere e frequentare le scuole anglofone in declino, la mancanza di un programma intensivo di francese e una reputazione abbastanza negativa), e negli ultimi 10 anni ha rischiato due volte di chiudere. Nel 2012/2013, meno della metà degli studenti si era diplomato. Jlhs ha anche avuto i più alti tassi di assenteismo e ritardo scolastico tra le scuole anglofone di Montreal.

Con il rap, i graffiti, il teatro, la fotografia

Obiettivo del progetto, così come delle diverse attività extracurriculari proposte dalla scuola, era dunque il miglioramento delle forme e del livello di apprendimento degli studenti, il rafforzamento delle loro competenze e delle forme di autoespressione attraverso l’utilizzo delle arti urbane, la promozione di processi collaborativi, di ascolto e dialogo, di presa di parola e di impegno per la comunità. La scuola doveva entrare a far parte della comunità, di una comunità che entrava a sua volta nella scuola e portava la sua ricchezza e la sua esperienza in campo artistico e di sviluppo individuale e professionale.
Il secondo ambizioso obiettivo del progetto era quello di creare una “infrastruttura delle arti urbane”, costruire cioè eventi culturali e spazi dedicati nella scuola per unire la “cultura scolastica” con l’arte urbana. Alcuni dei successi più tangibili sono stati, ad esempio, la creazione di uno studio professionale di registrazione e di una galleria d’arte gestita dagli studenti.
Tra gli artisti coinvolti ci sono stati rapper, writers (i «graffitari»), street dancer, ma anche artisti in campo teatrale e fotografico. Insegnanti e artisti, sostenuti dai ricercatori della Facoltà di Scienze dell’Educazione dell’Università Mc Gill, hanno lavorato insieme per creare moduli formativi per i loro studenti.

Il problema non risiede negli studenti

Il progetto partiva dalla constatazione della responsabilità degli adulti che lavoravano nella scuola e della comunità educativa più in generale rispetto all’abbandono scolastico e della necessità, dunque, di ripensare il funzionamento dell’educazione formale e l’inserimento della scuola nella comunità. Invece di partire dall’idea che il problema risiedesse negli studenti, insegnanti, ricercatori e artisti hanno cercato dunque di riflettere su come meglio si potesse rispondere alle loro esigenze, troppo spesso sottovalutate dalle strutture scolastiche tradizionali. Ciò ha significato mettere in campo un approccio attivo per riformare la scuola, mentre le attività extracurriculari potevano essere strumenti per aiutare gli studenti ad apprezzare di più la scuola e a sentirsi parte attiva della sua costruzione.
Alcune tra le più popolari di queste attività extracurriculari sviluppate nell’ambito del progetto erano collegate alla cultura hip-hop, tra cui il programma W.o.r.d., Writing Our Rhymes Down (Scriviamo le nostre rime), un club di alfabetizzazione attraverso l’hip-hop.

Colmare il divario tra studenti e scuola

Non sono però mancati alcuni aspetti critici. Innanzitutto non è stato facile andare a “insegnare agli insegnanti”: chiedere loro, spesso dopo molti anni di lavoro, di mettersi in discussione e cambiare per modificare i contenuti delle loro lezioni o il loro metodo d’insegnamento. Qualche insegnante, ad esempio, ha vissuto il progetto come imposizione da parte della direzione scolastica e alcuni avevano riserve, ad esempio, su un progetto legato all’hip-hop, che associavano alle sue forme più commerciali e violente. Gli insegnanti sono stati dunque accompagnati dagli artisti e dai ricercatori nella scoperta della storia non violenta dell’hip hop e nello sviluppo di prospettive critiche per la promozione della creatività, della conoscenza di sé, dell’imprenditoria sociale e della costruzione della comunità.
Il modello di azione era quello della collaborazione tra artisti e insegnanti, compresa la condivisione di forme diverse di conoscenza. Un punto importante messo in luce, comunque, nella collaborazione tra insegnanti e artisti è stato la complessità dell’insegnamento condiviso con qualcuno che non si conosce in modo approfondito. Alcuni artisti hanno espresso riserve sul lavoro nel contesto scolastico, che, da studenti, non avevano mai apprezzato. Essi comunque, anche in funzione del loro passato e della scoperta di un modo diverso di stare a scuola, hanno potuto svolgere quella funzione di “mediatori culturali” in grado di fare da specchio alle identità e alle problematiche di disagio di molti studenti e di colmare quel divario esistente tra studenti e scuola, tra studenti e insegnanti.

Impegno, responsabilità, autostima

Un altro aspetto critico del progetto era la sua sostenibilità economica. Come succede spesso anche in Italia, paese nel quale sono moltissime le iniziative contro l’abbandono scolastico, era molto forte il rischio che il progetto – bisognoso di tempi lunghi per la sua efficacia – terminasse con l’esaurimento del finanziamento.
Su questo punto la galleria d’arte realizzata dagli studenti si è dimostrata molto promettente, riuscendo anche ad incorporare una dimensione di impegno sociale per la comunità nel suo insieme. Gli studenti hanno, infatti, scelto come tema della prima mostra “The struggle for Black Equality” (la lotta per l’uguaglianza nera), e l’hanno allestita durante il Black History Month, un mese dedicato alla storia dei canadesi di origine africana. In seguito hanno curato “Skateboard Matters”, con opere d’arte dipinte su skateboard dagli studenti della classe di arte. Le opere erano accompagnate da un video nel quale si promuoveva un’azione di lobbying per la creazione di un nuovo parco per lo skateboard in città.
Al termine di ogni anno di progetto sono stati, inoltre, raccolti dati quantitativi e qualitativi per valutarne l’impatto. Tra i primi risultati emersi: il valore delle reti e della comunicazione tra attori diversi e il ruolo prezioso di alcuni personaggi chiave della comunità; l’aumento dell’impegno, della responsabilità e dell’autostima da parte degli studenti; lo sviluppo di profili personali di apprendimento per ogni studente, e un miglioramento nella creazione di legami con gli adulti di riferimento nella scuola e con la comunità circostante.

di Viviana Premazzi

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