Fin dalle origini, le comunità cristiane hanno compreso l’identità e la natura di Gesù Cristo, e l’hanno descritta in testi belli e densi di significato.
Ecco la prima di tre puntate sugli «inni cristologici».
Il primo annuncio (kerygma) dell’originaria comunità giudeo cristiana aveva un contenuto eminentemente centrato su Gesù Cristo.
Nella teologia di Paolo il centro è la salvezza operata da Cristo (la soteriologia cristologica).
La forza e la luce che provengono dal fuoco della Pentecoste riguardano la persona di Cristo.
Nessuna delle prime comunità cristiane si scosta da questo punto focale.
Sulla base di questa convinzione vengono formulati gli inni cristologici che troviamo adombrati nei Vangeli, nella Lettera agli Ebrei e nella Prima lettera di Pietro.
In Luca troviamo il Benedictus di Zaccaria (1,68-79) e il Nunc dimittis di Simeone (2,29-32), in Giovanni giganteggia il Prologo (1,1-18). Troviamo tracce cristologiche anche nella Lettera agli Ebrei (1,3) e nella Prima lettera di Pietro (3,18-20).
Tuttavia il numero maggiore di inni dedicati al Cristo si trovano nella letteratura paolina (Fil 2,6-11; Col 1,5-20; Ef 1,13-14; 2,14-16; 5,14; 1Tim 3,16).
Nel nome di Gesù
Le comunità cristiane dei primi decenni professano la loro fede nel Cristo risorto e lo collocano al centro della loro liturgia.
Troviamo conferma di questo nella lettera di Paolo agli Efesini: «Siate ricolmi di Spirito Santo, intrattenendovi a vicenda con salmi, inni e cantici spirituali, cantando e inneggiando al Signore con tutto il vostro cuore rendendo continuamente grazie per ogni cosa a Dio Padre, nel nome del Signore Gesù Cristo» (5,19-20).
Anche la comunità di Colossi viene incoraggiata alla stessa maniera: «La parola di Cristo dimori tra voi abbondantemente; ammaestratevi e ammonitevi con ogni sapienza, cantando a Dio di cuore e con gratitudine salmi, inni e cantici spirituali. E tutto quello che fate in parole e opere, tutto si compia nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di lui grazie a Dio Padre» (3,16-17).
Le comunità apostoliche hanno ben chiaro quale sia la vera identità del Risorto: si rivolgono, infatti, a lui insieme al Padre con inni e cantici. Ancora di più nella lettera ai Colossesi emerge che Paolo esorta la comunità a dedicare le loro parole e opere, cioè tutta la loro vita, a Dio per mezzo di Gesù Cristo. Le meraviglie operate dall’amore di Dio per la salvezza dell’umanità, devono diventare oggetto di lode e di ringraziamento a Dio per mezzo del Signore Gesù. Ogni atto liturgico è sempre un inno di lode al Padre e al Figlio.
Già alla fine del primo secolo, le comunità cristiane professavano esplicitamente la loro fede nella divinità di Gesù Cristo.
Il romano Plinio il giovane, scrivendo all’imperatore Traiano nel 119 d.C., ci rivela: «I cristiani sono soliti riunirsi in un giorno stabilito, prima dell’aurora, per cantare alternativamente tra loro inni e lodi a Cristo, quasi fosse un Dio; e si impegnano con giuramento non già a commettere qualche delitto, ma a rifuggire da furti, assassini, adulteri; e a non mancare alla parola data; e non appropriarsi indebitamente di beni loro affidati in custodia».
Come è sottolineato dalle parole di Plinio il giovane, la persona di Cristo campeggia nelle riunioni liturgiche delle prime comunità cristiane. In ultima analisi, gli inni cristologici sono una appassionata professione di fede nella vera identità del Cristo totale, della sua preesistenza e della sua missione di salvezza voluta dal Padre.
Gli inni celebrano nel tempo e nello spazio l’azione puntuale del Cristo, che, con la sua morte e risurrezione, ha ottenuto trionfo e vittoria sulle potenze del Maligno. Il suo indiscusso successo sconfigge il peccato, il mondo, la carne, la legge e inaugura una nuova creazione.
Gli inni delle lettere ai Filippesi, ai Colossesi e agli Efesini descrivono il «mistero della salvezza» rimasto nascosto nei secoli in Dio, ma ora svelato agli apostoli e ai profeti (Ef 3,5-7).
Dio rivela questo mistero per metterci a parte delle «insondabili ricchezze di Cristo» (Ef 3,8).
Un tale mistero coinvolge la Trinità. Dio Padre ne è l’origine, il Figlio ne è il rivelatore e lo Spirito Santo ne è il compimento ultimo e definitivo.
Il Padre
Negli inni citati, il ruolo del Padre appare indiscusso. Egli è la fonte, l’origine da cui scaturisce «l’economia del mistero della salvezza». Egli è «colui che ci ha scelti prima della fondazione del mondo perché fossimo santi e immacolati al suo cospetto nell’amore» (Ef 1,4). Egli «ci ha predestinati a essere suoi figli adottivi» (Ef 1,5); «ci ha resi capaci di partecipare alla sorte dei santi nella luce» (Col 1,12). La sua volontà è «di ricapitolare tutte le cose in Cristo, sia quelle celesti sia quelle terrestri» (Ef 1,9-10). Inoltre il Padre «ci ha gratificati nel suo Figlio amato. In lui, mediante il suo sangue, abbiamo la redenzione e il perdono delle colpe» (Ef 1,6-7; Col 1,13-14).
Il Padre ha super esaltato Gesù dandogli il nome che è al di sopra di ogni altro nome (Fil 2,9). Inoltre egli «ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale in Cristo» (Ef 1,3); «ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel Figlio del suo amore» (Col 1,3), perché egli «è l’immagine del Dio invisibile, primogenito di tutta la creazione» (Col 1,15).
Nel processo della redenzione, lo scopo ultimo dell’azione di Cristo è quello «di riconciliarci a Dio in un solo corpo» (Ef 2,16); «per divenire abitazione di Dio» (Ef 2,22), «presentarci […] al Padre» ed «essere concittadini dei santi e familiari di Dio» (Ef 2,18-19).
Alla luce di tutto questo, ogni credente potrà «crescere nella conoscenza di Dio» (Col 1,10) e «ringraziarlo con gioia» (Ef 2,12).
Una volta avuto l’accesso al Padre, il cristiano può pronunciare la benedizione: «Benedetto Dio, Padre del Signore nostro, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo» (Ef 1,3).
Il Figlio e la salvezza
Il piano di salvezza, preparato dall’eternità dal Padre, viene realizzato dal Figlio, suo primogenito. Negli inni paolini Cristo è presentato come preesistente, incarnato, morto, risorto ed esaltato, e come tale è lo strumento attraverso cui Dio realizza la nostra salvezza.
In lui e per lui, Dio «ci ha scelto prima della creazione del mondo» (Ef 1,4), «ci ha predestinato a essere suoi figli adottivi» (Ef 1,5), «ci ha benedetti con ogni benedizione» (Ef 1,3); «furono create tutte le cose nei cieli, sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili» (Col 1,16-17), «abbiamo la conoscenza della verità» (Col 1,9), «abbiamo la redenzione, il perdono delle colpe […] secondo la ricchezza della sua grazia» (Ef 1,7), abbiamo «la parola della verità, il Vangelo della salvezza […] e il sigillo dello Spirito Santo» (Ef 1,13), siamo «divenuti concittadini dei santi e familiari di Dio» (Ef 2,19), «è stato abbattuto il muro di separazione, cioè l’inimicizia» (Ef 2,14), «tutte le cose sono riconciliate tra di loro e con Dio» (Col 1,20).
Da questi inni emergono alcune qualificazioni che descrivono ciò che Cristo è in sé e ciò che è in relazione a noi.
Egli è la nostra pace perché è il Figlio (Ef 1,3); Egli è la nostra vita (Gal 2,20; Fil 1,21), Egli vive in me e io in lui (Gal 2,20). Egli è l’immagine di Dio (Col 1,5), il diletto (Ef 1,6), il servo obbediente (Fil 2,6-8), il riconciliatore (Ef 2,16; Col 1,20), il redentore (Ef 1,7).
Per le comunità cristiane Egli è il capo della Chiesa (Col 1,18), il Signore Gesù Cristo (Ef 1,3). La Chiesa professa la sua fede in lui come morto, risorto ed esaltato, ma anche come colui in cui abita corporalmente tutta la pienezza della divinità (Col 1,19; 2,9) e in cui sono riposte tutte le ricchezze della grazia divina (Ef 3,8).
Domande per noi
- Quanto mi sento parte della comunità cristiana quando intesse le lodi del Padre?
- Che posto occupa il Padre nella mia vita quotidiana?
- Riesco a capire il piano di salvezza che Dio ha realizzato attraverso il Cristo?
- Che posto occupa il Cristo nella mia testimonianza di cristiano?
- Lo considero come colui che mi riconcilia con il Padre?
- Come vedo io gli eventi della passione, morte e risurrezione del Cristo?
di Antonio Magnante
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