A conclusione di questi «frammenti di un ritratto di Gesù di Nazaret» desidero guardare all’identikit di Gesù mutuando questo termine da Giacomo Biffi, Gesù di Nazareth centro del cosmo e della storia, Ldc, Torino 2009.
Vogliamo avvicinarci a Gesù osservando certi aspetti del suo comportamento.
Il suo rapporto con le cose
- Prova simpatia verso tutto: gigli del campo, uccelli, pecore, semi, pane, luce, tutte le opere del Padre (Mt 6,26.28; 13,24ss).
- Non è insensibile alle cose, altrimenti non avrebbero senso le tentazioni: fame, potenza, cibo (Mt 4,1-10).
- Non è un asceta come il Battista, egli mangia e beve (Mt 11,18), va a pranzo da amici (Gv 2,1-11; 12,1 ss), tuttavia non ha proprietà né casa (Mt 8,20; 19,21).
Il suo spirito di osservazione
Dalle parabole che racconta si capisce la sua grande capacità di osservare la vita quotidiana del suo tempo: i pescatori (Mt 13,48); la massaia (Mt 13,33); i vignaioli (Mt 21,23 ss); i disoccupati (Mt 20,6); il padre che dorme nella stessa stanza dei figli (Lc 11,7); la vedova indifesa (Lc 18,3-4); la vedova povera e generosa (Mc 12,43); la partoriente (Gv 16,21); il mendicante (Lc 16,20-21); il ricco gaudente (Lc 16,19); chi vuol farsi vedere a pregare (Mt 6,5); i bambini che giocano per strada (Mt 11,16); i commensali che gareggiano per i primi posti (Lc 14,8-11).
Il suo rapporto con gli uomini
- Conosce le loro debolezze: «Generazione malvagia e adultera» (Mt 16,4); «cattivi» (Mt 7,11); «chi è senza peccato scagli la prima pietra» (Gv 8,7). Anche i discepoli talvolta gli stanno sullo stomaco (Mc 9,19); (7,18; 8,33, chiama Pietro “Satana”). La sua predicazione è invito alla conversione (Mc 1,14-15).
- Non vuole che si giudichino gli uomini (Mt 7,1-3; Lc 6,37-41); rimprovera i discepoli che vogliono vendetta (Lc 9,55); vuole che si perdoni «settanta volte sette» (Mt 18,22); maltrattato nella passione, tace (Gv 19,1-10; Mt 27,27-30); prima di morire, dalla croce perdona (Lc 23,34).
- Egli è vicino specialmente ai poveri (Mc 9,36; Lc 6,20; Mc 6,34-44); ai malati (Mc 1,29-34.40-45; 5,21-43; 7,31-37; 8,22-26); invita a sé gli oppressi (Mt 11,28); i peccatori (Lc 19,1-10, Zaccheo; Gv 8,1-11; Mt 21,31); così si merita il titolo di «amico dei peccatori» (Lc 7,34).
- Ma il suo amore si estende anche ai ricchi: il fariseo Simone (Lc 7,36); Nicodemo, membro dei sinedrio (Gv 3,1ss); Giuseppe di Arimatea (Mt 27,57); le donne che lo sostengono con le loro risorse (Lc 8,1-3).
I suoi sentimenti
- Compassione (Mc 8,2; Mt 9,36; Lc 7,13).
- Sguardo affettuoso (Mc 10,21); e irato (Mc 3,5).
- Indignazione (Mc 8,17; Mt 16,23; Mc 11,15ss; Mt 23,33).
- Affettuosità con i bambini (Mc 10,16).
- Gioia (Lc 10,20-21; Gv 15,11).
- Pianto (Lc 19,41, su Gerusalemme; Gv 11,35, sull’amico Lazzaro).
Le sue attitudini
- Chiarezza di idee: sa perché è venuto (Mt 10,34; 9,13; Lc 19,10; Mc 10,45; Mt 20,28; 5,17); sa come andrà a finire (Mc 8,31-32; 10,32-34; Lc 9,51).
- Coraggio (Gv 6,68).
- Sincerità: «il vostro parlare sia sì sì, no, no» (Mt 5,37); dote riconosciutagli anche dai suoi avversari (Mc 12,14).
- Calma di fronte agli eventi: tempesta del lago (Mc 4,38, egli dorme; At 12,6; 16,25); durante il processo (Gv 18,19-23).
- Calma anche di fronte alla morte (Gv 14,27; 18,11; Mt 26,39).
- Non forza gli altri, non li vuole «plagiare»: vogliono farlo re, egli fugge (Gv 6,15).
- Propone, non obbliga: «se vuoi» (Mt 19,21); «chi vuol venire dietro a me» (Mt 16,24; Lc 9,23).
Il suo aspetto esteriore
Il nostro esame prende le mosse da quanto c’era di più appariscente nella figura di Cristo e da quanto in lui era più immediatamente percepibile da parte di chi lo incontrava sulle strade della Palestina.
Il modo di vestire
Come andava vestito Gesù di Nazareth? Contro ogni precomprensione pauperistica dobbiamo dire che andava vestito bene. Egli si presentava con un «look» ben diverso da quello di Giovanni il Battezzatore, al quale sotto il profilo dell’aspetto esteriore lui stesso espressamente si contrappone (Mt 11,18-19).
Il suo abito è quello degli israeliti osservanti e dei notabili ebrei, i quali in ossequio alla prescrizione della legge (cf Nm 15,38; Dt 22,2) usavano adornare le estremità dei loro abiti di nappe colorate (i kraspeda). Egli rimprovera sì ai farisei e agli scribi la vanità di allungare quelle nappe indebitamente (cf Mt 23,5), però le portava anche lui, come appare dall’episodio della donna che vuol guarire dal flusso di sangue e furtivamente, accostandoglisi alle spalle, tocca appunto uno di questi fiocchi (cf Mt 9,20-22 epsato tou kraspedou).
La tunica (chiton) che egli porta non è di fattura ordinaria: è intessuta tutta di un pezzo, senza cuciture, tanto che sotto la croce i soldati – per non deprezzarne il valore tagliandola – la tirano a sorte (cf Gv 19,23-24).
Signorilità e autorevolezza
Non si trattava soltanto di abiti. Tutto il suo portamento era improntato a signorilità e autorevolezza. Chi si rivolge a lui, anche se è forestiero, non può fare a meno di chiamarlo rispettosamente signore (kurios), vedi il centurione di Cafarnao (Mt 8,6.8) e la donna cananea (Mt 15,22-28).
A mano a mano poi che la sua parola si fa conoscere, il titolo di maestro (didaskalos) diventa nei suoi confronti normale. Glielo attribuiscono anche i suoi oppositori: i farisei (Mt 22,16), i sadducei ((Mt 22,24), i dottori della legge (Mt 22,36).
La sua signorilità gli permette di essere invitato in casa delle persone socialmente più ragguardevoli: sia dai farisei più in vista, che lo ospitano a pranzo ripetutamente (Lc 7,36-50; 11,37; 14,1) sia, con grande scandalo dei benpensanti, dai doviziosi e chiacchierati pubblicani (Mt 9,10; Lc 5,29; 15,1-2).
E, proprio perché è universalmentre riconosciuto «maestro», egli può spiegare ufficialmente la parola di Dio nelle riunioni del sabato, come avviene nella sinagoga di Cafarnao (Mc 1,21-22) e nella sinagoga di Nazareth (Mc 6,2).
E non si schermisce affatto davanti a queste qualifiche onorevoli; anzi ne dichiara la pertinenza: «Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono» (Gv 13,13).
Le frequentazioni sociali
Quali sono le frequentazioni sociali di Gesù? Indubbiamente non ha preclusioni. I destinatari dei suoi insegnamenti sono soprattutto i pastori, i pescatori, i contadini, i braccianti come si evince dalle ambientazioni delle sue parabole; ma anche gli uomini di specifica e superiore cultura, quali sono gli scribi e i farisei. Se ha una preferenza, è certo per gli umili e sventurati: «Venite a me, voi tutti, che siete affaticati ed oppressi, ed io vi ristorerò» (Mt 11,28). Ma non respinge né i capi della sinagoga né i centurioni romani.
Sa e afferma che non sono i «primi della classe» a essere avvantaggiati nell’apprendimento delle cose che contano (cf Mt 11,25: «Hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli»). Ma non ritiene tempo perso intrattenersi in lunghi colloqui notturni con un «maestro in Israele» come Nicodemo (Gv 3,21).
Allo stesso tempo egli sa e afferma che nella corsa alla salvezza è grave l’handicap dei ricchi; mentre i poveri sono, appunto, «beati» perché per loro il Regno dei Cieli è di più facile acquisto (cf Mt 19,23-26; Lc 6,20-25). Ma egli sa e afferma altresì che nessuno deve disperare, perché tutto è possibile a Dio, anche far passare i cammelli per le crune degli aghi (Mt 19,26).
D’altronde è innegabile – con buona pace delle accentuazioni populiste – che Gesù intrattiene rapporti numerosi e significativi con le persone benestanti. Basterà ricordare Giuseppe d’Arimatea (Mt 27,57, «un uomo ricco»); il proprietario della sala del cenacolo (Mc 14,15: «egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala con i tappeti, già pronta»); Giovanna, la moglie dell’amministratore di Erode (Lc 8,3); la famiglia di Betania nella quale Maria possedeva – e poteva tranquillamente sacrificare in un colpo solo, per amore di Gesù – un prezioso vaso di alabastro e un profumo valutato trecento denari da un esperto come Giuda (Gv 12,3-4).
Le sue «case»
Alcune di queste conoscenze altolocate sono in grado di ospitare il Maestro senza difficoltà o disagio, sicché egli può avvalersi un po’ dappertutto di vere e proprie case come di basi funzionali per il suo ministero itinerante.
Il loghion famoso «le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo» (Mt 8,20) va inteso con giudizio. Esso ha lo scopo, davanti alla richiesta di uno scriba che vuol mettersi alla sua sequela, di chiarire bene e ammonire con efficace paradossalità che la missione di Cristo è incompatibile con una condizione residenziale stabile e sicura, e con prospettive tipicamente borghesi. Preso alla lettera, sarebbe smentito da tutta la narrazione evangelica.
In Galilea, il suo domicilio abituale è la casa di Pietro (cf Mc 1,19-35). Di qui si sposta a predicare nei villaggi vicini, ma per rientrare al termine del giro: «Rientrato dopo qualche tempo a Cafarnao, si venne a sapere che era in casa, e si radunarono tante persone da non esserci posto neanche davanti alla porta» (Mc 2,1).
Ma gli accenni a permanenze domestiche, sia pure provvisorie, sono frequenti. «Entrò in casa e si radunò di nuovo attorno a lui molta folla» (Mc 3,20). Tra quattro mura spiega più comodamente ai discepoli quanto all’aperto aveva spiegato a tutta la gente; «Quando entrò in casa, lontano dalla folla, i discepoli lo interrogarono sul significato della parabola» (Mc 7,14). E riservatamente risponde anche alle loro domande pratiche e personali: «Entrò in casa e i discepoli gli chiesero in privato: “perché non abbiamo potuto scacciarlo?”» (Mc 9,30).
Perfino all’estero, in Fenicia, ha un tetto sotto cui rifugiarsi: «Partito di là, andò nella regione di Tiro e di Sidone. Ed entrato in casa, voleva che nessuno lo sapesse» (Mc 7,24).
Presso Gerusalemme, a Betania, ha una dimora amichevole che gli offre un po’ di riposo e di calore familiare: è quella di Marta e di Maria, dove avviene la bella scena descritta dal vangelo di Luca (Lc 10,38-42) e dove presumibilmente va a pernottare negli ultimi giorni prima dell’arresto e della morte.
Il suo vigore e la sua buona salute
Nella narrazione evangelica Gesù si dimostra un uomo in salute, fisicamente vigoroso, resistente alla fatica e agli strapazzi. Ama cominciare prestissimo la sua giornata: «Al mattino si alzò quando era ancora buio e, uscito di casa, si ritirò in un luogo deserto e là pregava» (Mc 1,35). In occasioni di particolare rilevanza si abbandonava a veglie anche molto prolungate; «Se ne andò sulla montagna a pregare e passò la notte in orazione. Quando fu giorno, chiamò a sé i discepoli e ne scelse dodici» (Lc 6,12-13).
Sopportava bene i ritmi di un’attività che ben presto divenne spossante: «Non avevano neanche il tempo di mangiare», nota ripetutamente Marco (3,20; 6,31). Le sue giornate sono assillate. Fino a notte andavano e venivano genti numerosissime: malati che cercavano sollievo, assetati di verità che chiedevano di ascoltarlo, avversari teologici che lo costringevano a discussioni snervanti. Appena gli riesce di appartarsi per un po’ di respiro, subito lo raggiungono e lo incalzano: «Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sua tracce e, trovatolo, gli dissero: «Tutti ti cercano!» (Mc 1,36-37).
Gesù era un formidabile camminatore. Si stancava anche lui, come nota il vangelo di Giovanni: «Stanco del viaggio [che l’aveva portato dalla Giudea alla Samaria] sedeva presso il pozzo (Gv 4,6). Ma il suo ministero fu un continuo peregrinare per l’intera Palestina e anche fuori, fino a Cesarea di Filippo e al territorio di Tiro e di Sidone. È stato notato che la sua ultima salita da Gerico a Gerusalemme, è stata una “performance” di prim’ordine. «Sotto la sferza del sole su sentieri senz’ombra, attraverso ammassi rocciosi, nel deserto, dovette compiere una marcia di sei ore in salita, superando un dislivello di oltre mille metri» (K. Adam, Gesù il Cristo, Brescia 1944, p. 88).
La sua bellezza
Gesù era bello o era brutto? È stata sorprendentemente una celebre controversia dei primi secoli del cristianesimo, in cui però gli opposti schieramenti adducevano soltanto argomentazioni di natura teologica. Sicché non se ne ricava alcuna illuminazione.
Nelle fonti canoniche non ci sono notizie esplicite su questo tema. Tuttavia c’è un episodio, raccontato solo dal vangelo di Luca, che ci può dare qualche aiuto. «Mentre egli parlava, una donna alzò la voce di mezzo alla folla e disse: “‘beato il ventre che ti ha portato e il seno da cui hai preso il latte”. Ma egli disse: “Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano”» (Lc 11,27-28). La sconosciuta ammiratrice, che non sa frenare l’entusiasmo e addirittura interrompe il discorso del Signore, ci regala un indizio non trascurabile circa il fascino che il giovane profeta di Nazareth doveva esercitare con la sua prestanza e la sua avvenenza. Lo desumiano, tra l’altro, dai termini molto «corporei» in cui l’elogio si esprime e soprattutto dalla risposta di Gesù che invita a una più pertinente attenzione alla parola di Dio.
I suoi occhi
C’è un elemento della bellezza umana che, pur essendo di natura fisica, è quasi il riverbero della vita dello spirito, ed è lo splendore degli occhi. Il Maestro stesso l’aveva notato: «La lucerna del tuo corpo è l’occhio; se il tuo occhio è chiaro, tutto il corpo sarà nella luce» (Mt 6,22).
Gli occhi di Gesù dovevano essere veramenre incantevoli, penetranti e quasi magnetici: chi li aveva visti non se ne dimenticava più. Soltanto così si spiega la frequenza con cui gli evangelisti (in special modo Marco, che riferisce i ricordi di Pietro) pongono in rilievo il suo sguardo. È importante cogliere le sfumature dei testi originali. Il verbo «guardare» (blepein) è impiegato in tre espressive varianti: «guardare attorno» (periblepein); «guardare in alto» (anablepein); «guardare dentro» (emblepein).
Lo sguardo attorno
Quando Gesù gira attorno i suoi occhi, tutti ammutoliscono intimoriti e affascinati. Con questo sguardo invita al raccoglimento prima della predicazione (Lc 6,20). Con questo sguardo manifesta il suo affetto e la sua forte comunione con i discepoli: «Girando lo sguardo su quelli che gli stavano seduti attorno, disse: “ecco mia madre e i miei fratelli”» (Mc 3,34). Con questo sguardo prepara il cuore ad accogliere gli insegnanti più originali e inattesi: «Gesù volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: “quanto difficilmente coloro che hanno ricchezze entreranno nel regno di Dio! […] È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago”» (Mc 10,23-25).
Qualche volta è uno sguardo muto, ma così intenso da essere fine a se stesso: «Entrò a Gerusalemme nel Tempio. E dopo aver guardato ogni cosa […] uscì con i Dodici diretto a Betania» (cf Mc 11,11).
Qualche volta è uno sguardo così carico di sdegno e di sofferenza, che gli astanti zittiscono e non osano più replicare: «guardandoli tutt’intorno con indignazione, rattristato per la durezza dei loro cuori, disse a quell’uomo: “stendi la mano”» (Mc 3,5).
Lo sguardo in alto
Gli occhi di Cristo sanno anche guardare in alto, in un’appassionata preghiera al Padre perché l’esaudisca (Mc 6,41; 7,34). Ma guarda in alto altresì per cercare sorridendo tra il fogliame un alto funzionario del fisco che, per vederlo comodamente, si era appollaiato sui rami di un sicomoro come un monello di strada: «Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: “Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua”» (Lc 19,5).
Lo sguardo dentro
Gli occhi di Gesù però impressionano soprattutto quando «guardava dentro» alle persone, quasi per arrivare al loro cuore. Lo fa quando deve conunicare qualche verità insolita che vuole imprimere bene nella mente di chi ascolta. È il caso di Mc 10,27: «Gesù guardandoli dentro disse: “Impossibile presso gli uomini [che i ricchi si salvino], ma non presso Dio”». Ed è il caso di Lc 20,17-18: «Allora egli si volse verso di loro e disse […] “chiunque cadrà su questa pietra [il Messia, figlio di Dio] si sfracellera” e a chi cadrà addosso lo stritolera”».
Davanti al giovane ricco dalla vita innocente che chiede la vita eterna, Gesù – nota il Vangelo – «lo quardò dentro e lo amò» (Mc 10,21).
L’apostolo Pietro ha avuto l’esistenza segnata per sempre da due sguardi trasformanti: nel suo primo incontro, «Gesù, fissando lo sguardo su di lui, disse: «tu sei Simone, figlio di Giovanni, e ti chiamerai Cefa che vuol dire Pietro» (Gv 1,42); nell’ora del suo tradimemnto, «Il Signore, voltatosi, guardò Pietro, e Pietro, uscito fuori, pianse amaramente» (Lc 22,61-62).
di Mario Barbero
Mario Barbero
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