A giudicare dall’estensione del capitolo (superiore ai precedenti), si potrebbe pensare che Paolo voglia mettere le cose bene in chiaro, oppure che i Corinti sono duri di testa e ostinati (lenti a capire).
La conclusione (v. 37) tradisce un tono leggermente irritato dell’apostolo.
Nelle assemblee comunitarie di Corinto, non solo ci sono emarginazione e divisioni, ma anche confusione e disordine, magari uno causa dell’altro. Per quello che vediamo, un gruppo di fervorosi carismatici, magari un po’ esaltati, rompeva la testa, faceva impazzire, tutti con i loro lunghi interventi di suoni disarticolati e incomprensibili, ai quali Paolo si riferisce come «lingue arcane».
1Aspirate alla carità. Desiderate intensamente i doni dello Spirito, soprattutto la profezia. 2Chi infatti parla con il dono delle lingue non parla agli uomini ma a Dio poiché, mentre dice per ispirazione cose misteriose, nessuno comprende. 3Chi profetizza, invece, parla agli uomini per loro edificazione, esortazione e conforto. 4Chi parla con il dono delle lingue edifica se stesso, chi profetizza edifica l’assemblea. 5Vorrei vedervi tutti parlare con il dono delle lingue, ma preferisco che abbiate il dono della profezia. In realtà colui che profetizza è più grande di colui che parla con il dono delle lingue, a meno che le interpreti, perché l’assemblea ne riceva edificazione.
1Cor 14,1-4
È sorprendente lo spazio e la minuziosità con i quali Paolo tratta il tema. Si vede che non è un episodio marginale e sporadico. È probabile che questo gruppo cerchi di monopolizzare lo svolgimento dell’assemblea col suo protagonismo esagerato per considerare questo dono come superiore agli altri. Paolo richiama alla maturità e al buon senso che devono regnare nelle riunioni. Non condanna per principio questo «dono delle lingue», ma lo pone nella sua giusta prospettiva. L’obiettivo di ogni carisma o dono dello Spirito è l’edificazione della Chiesa (12). Questo è il criterio che deve presiedere all’ordine delle assemblee, e il protagonismo dei doni e carismi al servizio della comunità. Ogni cosa al suo tempo. Come esempio ricorda che egli stesso possiede questo dono di parlare in lingue arcane. Anzi «più di tutti voi» (18), però «per istruire gli altri preferisco dire cinque parole intelligibili piuttosto che diecimila sconosciute» (19).
6E ora, fratelli, supponiamo che io venga da voi parlando con il dono delle lingue. In che cosa potrei esservi utile, se non vi comunicassi una rivelazione o una conoscenza o una profezia o un insegnamento? 7Ad esempio: se gli oggetti inanimati che emettono un suono, come il flauto o la cetra, non producono i suoni distintamente, in che modo si potrà distinguere ciò che si suona col flauto da ciò che si suona con la cetra? 8E se la tromba emette un suono confuso, chi si preparerà alla battaglia? 9Così anche voi, se non pronunciate parole chiare con la lingua, come si potrà comprendere ciò che andate dicendo? Parlereste al vento! 10Chissà quante varietà di lingue vi sono nel mondo e nulla è senza un proprio linguaggio. 11Ma se non ne conosco il senso, per colui che mi parla sono uno straniero, e chi mi parla è uno straniero per me.
12Così anche voi, poiché desiderate i doni dello Spirito, cercate di averne in abbondanza, per l’edificazione della comunità. 13Perciò chi parla con il dono delle lingue, preghi di saperle interpretare. 14Quando infatti prego con il dono delle lingue, il mio spirito prega, ma la mia intelligenza rimane senza frutto. 15Che fare dunque? Pregherò con lo spirito, ma pregherò anche con l’intelligenza; canterò con lo spirito, ma canterò anche con l’intelligenza. 16Altrimenti, se tu dai lode a Dio soltanto con lo spirito, in che modo colui che sta fra i non iniziati potrebbe dire l’Amen al tuo ringraziamento, dal momento che non capisce quello che dici? 17Tu, certo, fai un bel ringraziamento, ma l’altro non viene edificato. 18Grazie a Dio, io parlo con il dono delle lingue più di tutti voi; 19ma in assemblea preferisco dire cinque parole con la mia intelligenza per istruire anche gli altri, piuttosto che diecimila parole con il dono delle lingue.
1Cor 14,6-19
Per di più bisogna tener conto anche di coloro che non condividono la nostra fede. Se entra un non cristiano nell’assemblea e trova tutte queste persone che stanno emettendo nello stesso tempo suoni inarticolati «non dirà che sono tutti pazzi?» (23). Al contrario «se tutti profetizzano» (24) si sentirà interpellato e giudicato e finirà col cadere in ginocchio e riconoscendo che «realmente Dio sta con voi» (25). Tuttavia anche questo carisma della profezia va esercitato con ordine e armonia.
20Fratelli, non comportatevi da bambini nei giudizi. Quanto a malizia, siate bambini, ma quanto a giudizi, comportatevi da uomini maturi. 21Sta scritto nella Legge:
1Cor 14,20-34
In altre lingue e con labbra di stranieri
parlerò a questo popolo,
ma neanche così mi ascolteranno,
dice il Signore.
22Quindi le lingue non sono un segno per quelli che credono, ma per quelli che non credono, mentre la profezia non è per quelli che non credono, ma per quelli che credono. 23Quando si raduna tutta la comunità nello stesso luogo, se tutti parlano con il dono delle lingue e sopraggiunge qualche non iniziato o non credente, non dirà forse che siete pazzi? 24Se invece tutti profetizzano e sopraggiunge qualche non credente o non iniziato, verrà da tutti convinto del suo errore e da tutti giudicato, 25i segreti del suo cuore saranno manifestati e così, prostrandosi a terra, adorerà Dio, proclamando: Dio è veramente fra voi!
26Che fare dunque, fratelli? Quando vi radunate, uno ha un salmo, un altro ha un insegnamento; uno ha una rivelazione, uno ha il dono delle lingue, un altro ha quello di interpretarle: tutto avvenga per l’edificazione. 27Quando si parla con il dono delle lingue, siano in due, o al massimo in tre, a parlare, uno alla volta, e vi sia uno che faccia da interprete. 28Se non vi è chi interpreta, ciascuno di loro taccia nell’assemblea e parli solo a se stesso e a Dio. 29I profeti parlino in due o tre e gli altri giudichino. 30Ma se poi uno dei presenti riceve una rivelazione, il primo taccia: 31uno alla volta, infatti, potete tutti profetare, perché tutti possano imparare ed essere esortati. 32Le ispirazioni dei profeti sono sottomesse ai profeti, 33perché Dio non è un Dio di disordine, ma di pace.
Improvvisamente, come ex-abrupto (34-35), Paolo sembra comandare alle donne di stare zitte nelle assemblee, in apparente contraddizione con quanto detto precedentemente (11,5) quando aveva riconosciuto alle donne il diritto di profetizzare e di dirigere le preghiere pubbliche. Queste parole dell’Apostolo hanno suscitato moltissime polemiche, fino al punto che alcuni interpreti pensano che siano state introdotte nel testo dopo la sua morte, quando l’antifemminismo prendeva forza nelle comunità cristiane post-apostoliche (vedi 1Tm 2,12).
Come in tutte le comunità dei santi, 34le donne nelle assemblee tacciano perché non è loro permesso parlare; stiano invece sottomesse, come dice anche la Legge. 35Se vogliono imparare qualche cosa, interroghino a casa i loro mariti, perché è sconveniente per una donna parlare in assemblea. 36Da voi, forse, è partita la parola di Dio? O è giunta soltanto a voi?
1Cor 14,33b-36
Se sono parole di Paolo, il contesto domanda un’interpretazione più sfumata. L’Apostolo non starebbe dando una norma generale, ma correggendo un abuso concreto di certe donne che interrompono continuamente le assemlee con le loro domande con l’ansia di sapere, ponendo a dura prova la pazienza del gruppo e contribuendo al disordine della riunione. Questa è l’interpretazione più logica richiesta dal testo e dal contesto.
37Chi ritiene di essere profeta o dotato di doni dello Spirito, deve riconoscere che quanto vi scrivo è comando del Signore. 38Se qualcuno non lo riconosce, neppure lui viene riconosciuto. 39Dunque, fratelli miei, desiderate intensamente la profezia e, quanto al parlare con il dono delle lingue, non impeditelo. 40Tutto però avvenga decorosamente e con ordine.
1Cor 14,37-40
Siano uscite o meno dalla bocca di Paolo, il fatto è che queste parole stanno lì come riflesso del pregiudizio antifemminista di quei tempi. Che dire ancora? Semplicemente che queste parole non sono parole che toccano la fede cristiana, ma l’organizzazione della chiesa, rispetto alla quale né Paolo né alcun altro può fissare norme irrevocabili, meno che mai se fondate su pregiudizi maschilisti.
di Mario Barbero
Mario Barbero
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