Il velo delle donne (11,2-16)
Vi è qui un problema che a noi risulta culturalmente lontano. Nell’antichità, tanto nel mondo giudeo che in quello greco, la donna portava un velo sul capo come segno di pudore. Secondo Nm 5,18 viene privata di questo velo la donna sospettata di adulterio.
Perché alcune donne di Corinto presero l’iniziativa di togliersi il velo nelle riunioni religiose? Molto probabilmente è stata la nuova libertà di cui le donne godevano nella comunità di allora e che lo stesso Paolo favoriva e amava.
Di fatto le donne delle comunità paoline godevano di molta più libertà delle donne nelle assemblee cristiane di oggi. Dirigevano la preghiera, predicavano, profetizzavano e insegnavano. Erano leader riconosciute e rispettate. Qualcosa di assolutamente inaudito per le usanze di allora e anche dei nostri giorni.
Le lettere dell’Apostolo sono punteggiate di nomi di donne leaders e collaboratrici di prima linea nel suo apostolato. Si veda in Rom 16 la lunga lista di nomi di donne con responsabilità comunitarie, a cominciare dalla «sorella Febe» e da Prisca e Aquila (16,1-3).
1Diventate miei imitatori, come io lo sono di Cristo. 2Vi lodo perché in ogni cosa vi ricordate di me e conservate le tradizioni così come ve le ho trasmesse. 3Voglio però che sappiate che di ogni uomo il capo è Cristo, e capo della donna è l’uomo, e capo di Cristo è Dio. 4Ogni uomo che prega o profetizza con il capo coperto, manca di riguardo al proprio capo. 5Ma ogni donna che prega o profetizza a capo scoperto, manca di riguardo al proprio capo, perché è come se fosse rasata. 6Se dunque una donna non vuole coprirsi, si tagli anche i capelli! Ma se è vergogna per una donna tagliarsi i capelli o radersi, allora si copra.
1Cor 11,1-6
Queste donne di Corinto cercavano di esprimere, togliendosi il velo, la loro uguaglianza con gli uomini che guidavano la preghiera e profetavano a capo scoperto? O magari esageravano, provocando così la reazione degli elementi conservatori della comunità?
Così pensava Paolo e pertanto critica il gesto. Cosa diversa sono gli argomenti di antropologia (14) e della scrittura che l’Apostolo invoca per giustificare il suo rifiuto, evidenziando la dipendenza della donna di fronte all’uomo e quindi a una certa inferiorità del sesso femminile. Qui Paolo si mostra come un uomo del suo tempo, influenzato dalle correnti maschiliste dell’interpretazione biblica molto in voga in ambienti giudaici di quel tempo e che oggi certamente sono fuori luogo. Il fatto curioso è che «il Paolo cristiano» non sembra essere lui stesso molto convinto dei suoi argomenti, per questo fa una marcia indietro nel mezzo delle sue riflessioni (elucubrazioni!) «sebbene, per il Signore, né la donna è senza l’uomo né l’uomo è senza la donna» (11) e che in fin dei conti «se la donna deriva dall’uomo, così l’uomo ha vita dalla donna, tutto poi proviene da Dio» (12).
7L’uomo non deve coprirsi il capo, perché egli è immagine e gloria di Dio; la donna invece è gloria dell’uomo. 8E infatti non è l’uomo che deriva dalla donna, ma la Donna dall’uomo; 9né l’uomo fu creato per la donna, ma la donna per l’uomo. 10Per questo la donna deve avere sul capo un segno di autorità a motivo degli angeli. 11Tuttavia, nel Signore, né la donna è senza l’uomo, né l’uomo è senza la donna. 12Come infatti la donna deriva dall’uomo, così l’uomo ha vita dalla donna; tutto poi proviene da Dio. 13Giudicate voi stessi: è conveniente che una donna preghi Dio col capo scoperto? 14Non è forse la natura stessa a insegnarci che è indecoroso per l’uomo lasciarsi crescere i capelli, 15mentre è una gloria per la donna lasciarseli crescere? La lunga capigliatura le è stata data a modo di velo. 16Se poi qualcuno ha il gusto della contestazione, noi non abbiamo questa consuetudine e neanche le Chiese di Dio.
1Cor 11,7-16
Queste opinioni dell’Apostolo nei riguardi della donna restano come testimonianza della tensione tra la cultura tradizionale e la novità evangelica, in cui si dibatteva la Chiesa primitiva, compreso lo stesso Apostolo. Una tensione che continua oggi e che continuerà fino a che una completa uguaglianza di diritti e di opportunità dell’uomo e della donna sarà una realtà non solo nella società ma anche nella Chiesa.
La celebrazione della Cena (11,17-34)
Paolo affronta ora un problema molto più serio: lo scandalo delle celebrazioni eucaristiche dei Corinti. La «cena del Signore» o Eucaristia si celebrava alla sera nelle case private – non c’erano ancora le chiese – delle persone più benestanti della comunità, le uniche che avevano la possibilità di accogliere da 50 a 60 persone. Prima di cominciare «la cena del Signore» propriamente detta, si consumava un pasto di fraternità per la quale coloro che potevano portavano le loro provviste che, logicamente, dovevano essere condivise tra tutti. Senza aspettare che arrivassero i più bisognosi e i ritardatari, che erano i lavoratori a causa di una lunga giornata di lavoro, mentre i ricchi mangiavano e bevevano a loro comodo, di modo che quando arrivavano i poveri, a questi toccavano gli avanzi, se avanzava qualcosa. Subito dopo, ricchi e poveri, gli uni pieni e quasi ubriachi, gli altri a stomaco vuoto, iniziavano a celebrare l’Eucaristia. Quando lo viene a sapere, Paolo scoppia (esplode) di indignazione: fino a questo estremo arrivano le divisioni tra ricchi e poveri nella comunità? Che tipo di Eucaristia celebrate voi? Dice Paolo a quei ricchi. Se vogliono mangiare e ubriacarsi lo facciano nelle loro case. Facendolo dove (come) lo fanno adesso disprezzano l’Assemblea di Dio e fanno vergognare quelli che non hanno niente, i quali sono certamente loro fratelli e sorelle.
17Mentre vi do queste istruzioni, non posso lodarvi, perché vi riunite insieme non per il meglio, ma per il peggio. 18Innanzi tutto sento dire che, quando vi radunate in assemblea, vi sono divisioni tra voi, e in parte lo credo. 19È necessario infatti che sorgano fazioni tra voi, perché in mezzo a voi si manifestino quelli che hanno superato la prova. 20Quando dunque vi radunate insieme, il vostro non è più un mangiare la cena del Signore. 21Ciascuno infatti, quando siete a tavola, comincia a prendere il proprio pasto e così uno ha fame, l’altro è ubriaco. 22Non avete forse le vostre case per mangiare e per bere? O volete gettare il disprezzo sulla Chiesa di Dio e umiliare chi non ha niente? Che devo dirvi? Lodarvi? In questo non vi lodo!
1Cor 11,17-22
Davanti a questa situazione, Paolo espone ai Corinti il racconto dell’Istituzione dell’Eucaristia, il suo senso e le sue conseguenze in una bella catechesi la quale,mentre insegna, nello stesso tempo denuncia e ammonisce.
Si tratta del documento più antico che attesta l’istituzione dell’Eucaristia, dato che questa lettera fu scritta verso l’anno 55-56, vari anni prima dei vangeli (che si pensano scritti dall’anno 70 in poi).
L’Apostolo dice che trasmette loro una tradizione che lui stesso ha ricevuto, probabilmente in Antiochia, e che risale al Signore Gesù. Al tempo di Paolo questa tradizione si era già concretata in una celebrazione liturgica nella quale si svolgevano/facevano le due azioni eucaristiche (23-25) una a continuazione dell’altra – esattamente come nelle celebrazioni eucaristiche odierne, dove alla benedizione del pane segue la benedizione del calice – e non separate/spaziate secondo il ritmo della cena giudaica della Pasqua, proprio come accadde «nell’ultima cena del Signore». Il pasto di fraternità si teneva precedentemente, intimamente legato al significato stesso dell’Eucaristia, vale a dire l’unione e la solidarietà.
23Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane 24e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: «Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me». 25Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me». 26Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga. 27Perciò chiunque mangia il pane o beve al calice del Signore in modo indegno, sarà colpevole verso il corpo e il sangue del Signore. 28Ciascuno, dunque, esamini se stesso e poi mangi del pane e beva dal calice; 29perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna.
1Cor 11,23-29
Paolo situa la celebrazione eucaristica entro due orizzonti, entrambi riferiti a Gesù. Uno storico: «La notte in cui è stato consegnato» (23), l’altro futuro: «Fino a che ritorni» (26). Tra questi due orizzonti trascorre «il qui e ora» della vita e missione della comunità cristiana la quale tiene il suo cuore e il suo centro nell’Eucaristia.
Il pane e il vino consacrati ricordano, attualizzano, rendono presente in seno alla comunità «la memoria di Gesù», vale a dire, tutta la sua vita donata/offerta ai poveri, emarginati, peccatori, che culmina con la morte in croce e la risurrezione. Adesso, questa «memoria di Gesù» attraverso l’invocazione e la presenza dello Spirito Santo libera, trasforma e salva, inoltre «ogni volta che mangiano questo pane e bevono questo vino, proclameranno la morte del Signore fino a che egli venga» (26). Di conseguenza, il «corpo eucaristico» di Gesù non è solamente il suo corpo morto e risuscitato, presente nel pane e nel vino, ma include anche tutta la comunità di credenti che viene trasformata nel «corpo di Cristo», secondo la metafora preferita di Paolo, per riferirsi alla comunità cristiana.
30È per questo che tra voi ci sono molti ammalati e infermi, e un buon numero sono morti. 31Se però ci esaminassimo attentamente da noi stessi, non saremmo giudicati; 32quando poi siamo giudicati dal Signore, siamo da lui ammoniti per non essere condannati insieme con il mondo.33Perciò, fratelli miei, quando vi radunate per la cena, aspettatevi gli uni gli altri. 34E se qualcuno ha fame, mangi a casa, perché non vi raduniate a vostra condanna. Quanto alle altre cose, le sistemerò alla mia venuta.
1Cor 11,30-34
L’Apostolo tira le conseguenze: si può partecipare nell’Eucaristia, udire la Parola di Dio, comunicare al corpo e sangue del Signore e poi ignorare il povero e l’oppresso? L’Apostolo è durissimo: chi mangia il pane e beve il calice del Signore indegnamente, commette peccato contro il Corpo e il Sangue del Signore, mangia e beve la sua condanna perché disprezza il «corpo» di Cristo nei suoi membri più deboli, oppressi ed emarginati. Per Paolo l’impegno per la giustizia e la liberazione non è solamente un’esigenza etica, ma deriva dalla stessa radice/cuore dell’essere cristiano, cioè di appartenere al «Corpo» di Colui che ha dato la vita per la liberazione di tutti, in una chiara opzione per coloro che sono senza protezione ed emarginati della società. Questa è la missione della Chiesa, corpo di Cristo «fino a che Egli venga» e renda definitiva e universale la salvezza già iniziata.
di Mario Barbero
Mario Barbero
Ultimi post di Mario Barbero (vedi tutti)
- 09/ Gesù. Un identikit - 18 Settembre 2023
- 08/ Gesù. Dalla Galilea a Gerusalemme - 17 Luglio 2023
- 07/ Gesù. La vita pubblica in Galilea - 12 Giugno 2023