Maria visitata dall’angelo. Maria straniera in Egitto sulle orme di Mosè. Maria obbediente alla fede. Fino alla croce di suo figlio. Maria madre di chi attende cieli e terra nuovi.
Ecco la prima puntata di tre dedicate a Maria.
Nel sesto mese, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te»
Lc 1,26-28
Così racconta Luca al primo capitolo del suo Vangelo. L’angelo entra da Maria e la saluta, ma non la saluta con il suo nome, la chiama invece «piena di grazia».
Nel linguaggio biblico, il termine «grazia» indica un dono dovuto a un’elezione speciale.
In forza del suo amore, Dio elegge Maria perché l’umanità possa accedere alla sua vita divina attraverso il Cristo (2Pt 1,4).
Se questo è vero e biblicamente fondato, significa allora che Maria è presente nel mistero di Cristo, fin da prima della fondazione del mondo come la donna che Dio «ha scelto» per Madre di suo Figlio. Se il piano eterno del Padre per la salvezza dell’umanità si attua in Gesù, passando per il «sì» di Maria, ella non si può in nessuna maniera scindere dalla persona del Figlio.
La stessa redenzione nasce da quel «sì» di Maria all’angelo.
In lei risiede la divinità
Ora, il saluto dell’angelo «piena di grazia», parla del dono che Dio fa a Maria a beneficio di tutta l’umanità: Cristo salvatore.
Maria è «piena di grazia» anche perché la salvezza divina ha un valore cosmico: il dono fatto a lei, riempie l’universo intero.
Tuttavia si deve notare che tale salvezza è destinata a tutta l’umanità a condizione che questa accetti di «essere in Cristo», di essere trasformata in una «nuova creazione» (2Cor 5,17).
In Col 2,9, leggiamo che in Cristo «abita tutta la pienezza della divinità», quindi Maria, accettando di diventare la madre di Gesù, diventa colei nella quale risiede la pienezza della divinità.
Nella scena della visitazione troviamo sulla bocca di Elisabetta, un’altra affermazione che fa grande Maria: «Beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore ha detto» (Lc 1,45). Prima di questa affermazione, Elisabetta dice: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo».
La cugina di Maria ha bisogno di una spiegazione: «A che debbo che la madre del mio Signore venga a me?», e nel chiedere, fa la sua professione di fede. Riconosce che Maria è la madre del Signore, la madre del Messia, atteso in Israele da secoli. E lo stesso bambino di Elisabetta partecipa alla professione di sua madre: «Il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo».
Questo bambino, al tempo opportuno, sarà colui che, vedendo Gesù andare verso di lui, lo identificherà come «l’agnello di Dio» (Gv 1,29.36).
La gioia di Elisabetta e del suo bambino, come la benedizione pronunciata, trovano il loro fondamento nella fede di Maria.
Obbediente alla fede
Maria è beata, è benedetta e, come tale, genera gioia in chi la incontra perché «ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore» (Lc 1,45).
La pienezza di grazia rende Maria capace di abbandonarsi alle parole del Signore; ella vi aderisce in maniera incondizionata, e in forza di tale sua adesione a Dio, ella viene associata intimamente al mistero del Cristo.
In Maria si realizza in pieno «l’obbedienza della fede», di cui parla Paolo (Rom 16,26; 1,5; 2Cor 10,5-6). Il suo atto di fede è un sottomettersi alla volontà di Dio, offrendo a lui il suo pieno, genuino e vitale «ossequio dell’intelletto e della volontà» (DV 5).
In altre parole, con la sua adesione, Maria si muove in simbiosi con Dio e con il Figlio.
Il suo «sì» rende Maria totalmente consacrata al piano di salvezza del Padre e completamente associata alla missione redentrice di suo Figlio (LG 56).
Mentre Gesù realizza il piano salvifico del Padre, s’intravvede sempre in controluce la presenza di Maria.
Sino alla croce
Maria è obbediente, e la sua obbedienza di fede rimarrà salda anche mentre ne vive le conseguenze.
La prima conseguenza è annunciata da Simeone al momento della presentazione del bambino al Tempio. Per Simeone Gesù sarà un segno di contraddizione, e compirà la sua missione nell’incomprensione e nel dolore. Maria apprende da quell’uomo al Tempio che dovrà vivere la sua «obbedienza di fede» nella traiettoria di sofferenza del Figlio.
La seconda conseguenza è che, dopo la visita dei Magi (Mt 2,11), insieme a Giuseppe, deve espatriare, perché Erode cerca il bambino per ucciderlo (Mt 2,13).
Maria diventa una «straniera» e le viene affidato il compito di far percorrere al figlio le tristi e dolorose vie del primo esodo.
La terza conseguenza, la più dolorosa, è la croce (Gv 19,25).
A questo riguardo il Concilio dice che quanto avviene sotto la croce «non è senza un piano divino. Soffrendo profondamente con il suo Unigenito e associandosi con animo materno al sacrificio di lui, amorosamente consenziente all’immolazione della vittima da lei generata. In questo modo Maria “serbò fedelmente la sua unione con il Figlio sino alla croce”» (LG 58).
Nuovi cieli e terra nuova
Il suo dolore di madre che vede il figlio agonizzare su quel legno come un malfattore, deve essere lancinante. Ai suoi occhi il figlio appare come ha predetto Isaia: «Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire… era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima» (Is 53,3).
Ai piedi della croce si capisce la dimensione straordinaria ed eroica «dell’obbedienza della fede» di Maria. La madre di Gesù si abbandona a Dio e alle sue vie «inaccessibili» (Rom 11,33) senza riserve. E mediante la fede, partecipa alla morte redentrice del Figlio.
Sulla croce, Gesù adempie la profezia di Simeone divenendo «segno di contraddizione». Morire in croce, infatti, è la condizione per far nascere una vita nuova (Gv 12,24), e la vita nuova che nasce dalla morte pare proprio una contraddizione.
La redenzione, dunque, e la nuova creazione (2Cor 5,17) nascono dalla croce che agli occhi degli ebrei e dei gentili è uno scandalo (1Cor 1,22) intollerabile.
Le parole di Simeone, poi, sul Calvario, si compiono anche per Maria: «Ed anche a te una spada trafiggerà l’anima».
Dal cuore trafitto di Gesù (Gv 19,34) e dall’anima trafitta di Maria (Lc 2,35), nasce la Chiesa di cui Cristo è il redentore e Maria è la madre.
Ai pastori e ai Magi, Maria ha offerto il bambino che loro hanno riconosciuto come l’inviato di Dio, ora, sotto la croce, offre al mondo il suo Figlio dilaniato.
Dal costato aperto di Cristo, l’umanità potrà attingere l’acqua zampillante per la vita eterna e le gocce di sangue che purificano le colpe.
Maria accetta il peso della croce e, ancora una volta, pronuncia il suo «sì». Diventa, così, la madre di tutti coloro che crederanno che dal quel legno nascono nuovi cieli e terra nuova.
di Antonio Magnante
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Antonio Magnante
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