Slow page dei Missionari della consolata

Mantieni viva la speranza

Dal Kenya, in missione in Europa

Padre Bernard Obiero, missionario della Consolata.

Padre Bernard Obiero, è un missionario della Consolata keniano, in Portogallo da nove anni. Oggi è direttore della rivista Imc «Fátima missionária», alla ricerca di nuovi linguaggi per comunicare il Vangelo.

Nato a Nairobi, in Kenya, 37 anni fa, ha tre sorelle e un fratello, tutti più grandi di lui. Pur venendo da una famiglia di «cattolici non praticanti», ha sentito, e seguito, la chiamata a condividere la sua fede con il mondo, cosa che fa con la carta stampata e tramite web.

Perché hai deciso di essere missionario della Consolata?

«I Missionari della Consolata sono in Kenya dal 1902. Hanno fatto un bel lavoro di evangelizzazione, sempre legato alla promozione umana. Ancora oggi ce ne sono tanti: veri testimoni, che donano la loro vita al prossimo.
Questo mi ha fatto desiderare di fare parte della loro famiglia.
Paolo VI ha scritto nella Evangelii Nuntiandi: “L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni”».

Ci racconti la tua storia missionaria?

«Da piccolo non pensavo di diventare missionario, perché i miei erano cattolici non praticanti, e non frequentavano la chiesa.
Il mio desiderio di essere missionario è nato al liceo e nei gruppi che frequentavo: lo Young catholic students (Ycs), gli scout e il gruppo giovanile della parrocchia. Abbiamo fatto tante iniziative, e avevamo buoni accompagnatori.
Quando ho scritto ai missionari, subito mi ha risposto padre Attilio Lerda, che mi ha accompagnato molto.
Dopo il liceo, ho lavorato un anno. Volevo fare un’esperienza diversa. Poi ho lasciato il lavoro e sono entrato in seminario».

Dove hai studiato?

«Ho cominciato la mia formazione a Nairobi nel 2003. Dopo l’anno propedeutico e tre anni di filosofia, sono stato destinato in Mozambico per fare il noviziato e la prima professione religiosa. Nel 2009 sono arrivato in Italia per gli studi teologici, e nel 2012 sono stato destinato in Portogallo per fare un anno di servizio pastorale.
Dopo la mia ordinazione sacerdotale, ho ricominciato gli studi a Lisbona, specializzandomi in giornalismo».

Dove hai fatto i voti e sei stato ordinato?

«Ho fatto la professione perpetua e il diaconato in Portogallo. Nel 2014 sono tornato in Kenya per l’ordinazione sacerdotale».

Dove hai lavorato?

«Ho lavorato sempre in Portogallo. È stata la mia destinazione dopo la mia formazione, e oggi continuo a Lisbona».

Due parole sul Portogallo?

«Il Portogallo è un paese con una forte devozione mariana, anche grazie al santuario di Nostra Signora di Fátima.
Tanti fanno il pellegrinaggio a piedi fino a Fátima».

Che lavoro svolgi oggi?

«Lavoro nel campo della comunicazione. Sono il direttore della nostra rivista Fátima missionária. Faccio parte anche della direzione della regione Europa dell’Istituto».

Qual è la difficoltà più grande che incontri?

«Mi sento felice, ma, in questo momento, con la pandemia, non è facile portare avanti le varie iniziative. Tante volte siamo costretti a cambiare i nostri programmi, inventando nuovi modi di relazione e di missione».

Qual è la soddisfazione più grande?

«La gioia della missione. Potermi relazionare con tante persone diverse, conoscere realtà e culture diverse, parlare lingue diverse, mangiare cibi diversi, cantare e ballare musiche diverse».

Un episodio significativo della tua vita missionaria?

«Nel mio primo anno in Portogallo, facevo alcune attività con un’associazione che lavorava con i senza tetto, Cais. Giocavo a calcio con loro, e poi ho cominciato a insegnare inglese.
All’inizio loro pensavano che io fossi uno di loro, un “senza tetto”, e mi hanno chiesto varie volte la “strada” dove dormivo.
Quando ho cominciato a insegnare loro l’inglese, è stata una bella esperienza, perché avevamo creato una buona relazione, e mi hanno trattato sempre con rispetto».

Quali sono, secondo te, le grandi sfide della missione?

«La sfida è trovare il modo di parlare di Dio e trasmettere il messaggio cristiano nella nostra società scristianizzata. Quando si parla di cristianesimo, spesso si parla della cultura cristiana, e non della fede cristiana. Tanti dicono che sono cattolici, però non sono praticanti. La secolarizzazione è un dato di fatto».

In concreto, come pensi di affrontarla nel tuo ambiente, con la gente con cui lavori?

«Karl Barth, grande teologo protestante, sostenne che per fare una buona predica occorre avere in una mano la Bibbia e nell’altra il giornale. Cerco di capire la realtà e le nuove tendenze. Capire la società in costante cambiamento per instaurare un dialogo con la fede».

Cosa possiamo offrire al mondo come Missionari della Consolata? Quali
ricchezze condividere?

«Il beato Giuseppe Allamano diceva ai missionari che partivano per le missioni di andare, vivere con le persone, vedere cosa fanno e come fanno e poi fare con loro. Credo che dobbiamo condividere questa spiritualità allamaniana dell’incontro, dell’ascolto e del rispetto».

A partire dal tuo contesto, che cosa dovremmo fare, secondo te, con i giovani?

«L’ambiente digitale caratterizza il nostro mondo e dobbiamo adattarci a esso. Papa Francesco ci dice nella Christus Vivit: “Internet e le reti sociali hanno creato un nuovo modo di comunicare e stabilire legami”, e “sono una piazza in cui i giovani trascorrono molto tempo e si incontrano facilmente. Essi costituiscono comunque una straordinaria opportunità di dialogo, incontro e scambio tra le persone, oltre che di accesso all’informazione e alla conoscenza”».

Padre Bernard con un gruppo di giovani scout in Italia.
Uno slogan per i giovani dei nostri centri missionari?

«“Andrà tutto bene”. Viviamo tempi difficili a causa della pandemia, ma dobbiamo mantenere la speranza viva.
Penso a una canzone portoghese che si intitola proprio così: Andrà tutto bene, Vai ficar tudo bem, Everything will be alright. È una canzone del musicista portoghese Cristóvam, composta in inglese, e con titolo italiano. L’ha composta a marzo 2020, un tempo molto difficile in Italia e nel mondo. È un grido di speranza per il mondo e per tutti. La sofferenza fa parte della nostra esistenza, ma è la grande speranza quella che ci motiva ad andare avanti in tutti i momenti».

di Luca Lorusso

Leggi, scarica, stampa da MC maggio 2021 sfogliabile.

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