Padre Stephen Alfred Odhiambo Otieno, nato a Siaya, provincia di Nyanza (Kenya), sacerdote da quattro anni, è stato in Venezuela e oggi opera in Italia, nel centro di animazione missionaria di Bevera (Lecco). La sua passione missionaria si esprime in una grande fiducia nei giovani che cercano in Cristo il senso della propria vita.
Padre Stephen Alfred Odhiambo Otieno è missionario della Consolata originario del Kenya. Ha 36 anni e quattro anni di messa.
Perché hai deciso di diventare missionario e, soprattutto, perché della Consolata?
«La vocazione è dono gratuito di Dio. Io vengo da una famiglia cattolica e praticante. È stato il mio desiderio fin da bambino di servire Dio nella vita consacrata.
La mia scelta della Consolata è dovuta all’animazione missionaria che mi ha fatto scoprire il carisma della Consolata, della missio ad gentes, di essere annunciatore della consolazione Gesù».
Puoi raccontare brevemente la tua storia missionaria?
«Lo zelo missionario è iniziato quando ero un giovane della parrocchia e lavoravo insieme ad altri giovani e partecipavo a vari programmi formativi, interagendo con molti religiosi e religiose. Questo mi ha ispirato a darmi al servizio della Chiesa, insieme ad altri giovani del nostro gruppo che si sono uniti a conventi e seminari.
Mi sono unito ai padri consolatini nel 2005 per cominciare la formazione. Poi, dopo aver completato gli studi filosofici, sono stato mandato insieme ai miei compagni per un anno di noviziato in Mozambico.
Dopo aver pronunciato la professione nel 2011, sono stato mandato di nuovo in Kenya per gli studi teologici. In Kenya, dopo aver completato gli studi, sono stato mandato per un’esperienza missionaria nel Nord, nella missione della Consolata di Baragoi, nella diocesi cattolica di Maralal.
Anche se è stata un’esperienza difficile e impegnativa, ho imparato ad amare e ad apprezzare la gioia di vivere il Vangelo.
Più tardi, nel 2016, sono stato ordinato sacerdote missionario della Consolata nella mia arcidiocesi natale di Kisumu, e poi inviato in missione in Venezuela.
Purtroppo in Venezuela non sono stato a lungo. Quindi sono tornato in Kenya, e successivamente sono stato destinato in Italia, dove attualmente mi trovo presso il Centro di animazione missionaria della Consolata a Bevera (Lecco).
Nonostante la poca esperienza nella missione, ho sempre apprezzato il servizio missionario incentrato non sul “fare”, ma sull’“essere testimone” di Cristo che chiama. Questo perché la tentazione di fare, a volte può portare alla frustrazione di scoprire che, in realtà, dove si è mandati, non c’è molto da “fare”, se non stare con la gente».
Puoi dire due parole sul paese in cui ti trovi oggi?
«L’Italia, pur essendo un paese cristiano, secondo me è un campo missionario aperto».
Quali sono le sfide missionarie principali di questo paese?
«La sfida principale è quella di spiegare ai cristiani che c’è una missione da svolgere anche in Italia. Questo perché per molti, che hanno una visione tradizionale, la missione è quella di andare fuori dall’Italia verso altri mondi. Pertanto, la domanda posta da molti a me è: “Perché sei qui?”».
Che lavoro stai svolgendo oggi?
«Faccio parte di un’équipe di pastorale giovanile nel nostro Centro di animazione. Accompagno anche i gruppi missionari dei nostri decanati di Oggiono e Missaglia della diocesi di Milano.
Inoltre, sono vicario parrocchiale della comunità pastorale delle nostre parrocchie di Bevera, Barzago e Bulciago».
Qual è la difficoltà più grande che incontri?
«Nella missione non si parla delle difficoltà, ma delle sfide. Detto questo, una delle principali sfide della mia missione in Italia è l’incontro con una cultura e una mentalità diverse dalle mie, e comprendere come posso andare incontro alle aspettative della gente superando i reciproci pregiudizi».
Qual è la soddisfazione più grande?
«La gioia della missione sta nel vivere e sperimentare l’accoglienza, quando mi sento compreso e apprezzato».
Puoi raccontare un episodio significativo della tua vita missionaria?
«La gioia del sentirmi accolto, compreso e apprezzato, la sperimento negli incontri con i giovani che illuminano le mie giornate, che sono sempre pronti a rispondere alle varie iniziative che proponiamo.
Quando sia i giovani che gli adulti si confidano con noi e condividono le gioie e le sfide della loro vita, è davvero appagante esercitare il ministero dell’ascolto e della guarigione interiore, nel cammino dell’accompagnamento spirituale».
Quali sono, secondo te, le grandi sfide della missione del futuro?
«Rispondere in modo adeguato alle necessità e alle attese quotidiane dei giovani di oggi. Essere capaci di cambiare i percorsi, i modi per accompagnarli a identificarsi con la missione di Cristo oggi. Lasciare che i giovani facciano da guide nella trasmissione della fede».
In concreto, come pensi di affrontarle nel tuo ambiente, con la gente con cui lavori?
«Il rimedio alle sfide che dobbiamo affrontare è il dialogo e il coinvolgimento dei giovani perché siano protagonisti di ogni iniziativa. Essi possiedono e abbracciano nuove esperienze missionarie nel vivere la fede».
Che cosa possiamo offrire al mondo come missionari della Consolata?
«La speranza di un domani migliore per i millennials che vivono in un costante stato d’ansia e stanno rapidamente perdendo la speranza su come mitigare e soddisfare le esigenze della società attuale».
Quali sono le nostre ricchezze che possiamo condividere con gli altri?
«L’energia nella vita della gioventù, la fede e la gioia nell’esperienza di Cristo».
A partire dal tuo contesto, che cosa dovremmo fare, secondo te, per avere più impatto nel mondo giovanile?
«Lasciamo che lo Spirito operi in noi e apra la nuova frontiera dell’evangelizzazione. Non dobbiamo avere paura di sperimentare, di essere il cambiamento che vogliamo».
Durante queste interviste chiediamo sempre di suggerirci uno slogan da proporre a tutti i giovani che si avvicinano ai nostri centri missionari. Che frase, slogan, citazione proporresti, e perché?
«Io credo che l’esperienza di tutti i giovani che frequentano i nostri centri di animazione missionaria sia la ricerca della verità nel Signore. Una ricerca che fa andare da Lui per chiedergli: “Maestro, dove abiti?”, e che fa nescere da Gesù la risposta: “Vieni e seguimi!”.
Seguire Gesù senza riserve, perché Lui ci è venuto incontro e ci ha riconosciuti. Seguirlo senza garanzie o vie di fuga, senza nostalgie e senza indecisioni per scelte ancora da fare è, secondo me, la risposta alla ricerca di senso».
di Luca Lorusso
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Luca Lorusso
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