Vedere Dio, ascoltarne la voce, sentirsi indegno, lasciarsi avvicinare a Lui e, infine, andare. Isaia si offre a noi come modello per chi sente la chiamata ad annunciare Cristo al mondo.
Ecco la seconda puntata su chi è il missionario.
Nel primo articolo di questa serie, ho indicato come modello di missionario, Giovanni Battista. Un altro modello può essere, senza dubbio, il profeta Isaia.
Tutti i racconti delle vocazioni dei profeti si basano sulla Parola di Dio (dabar Yahweh) ricevuta. La persona scelta riceve un messaggio che deve annunciare al popolo di Dio. È un ruolo vissuto dai profeti in modi differenti tra loro, a seconda della personalità di ciascun chiamato.
Ciò che accomuna tutte le vocazioni profetiche è l’iniziativa divina: nessuno può conferirsi da sé il compito. I chiamati devono «solo» rispondere alla predilezione di Dio per loro.
Il profeta è colui che vive una speciale esperienza religiosa e un’intima relazione con la divinità. Anche ai discepoli nel Nuovo Testamento viene richiesta la duplice esperienza dell’ascolto e della visione.
La vocazione di Isaia
Al capitolo 6, versetti 1-8, del libro di Isaia leggiamo: «Nell’anno in cui morì il re Ozia, io vidi il Signore seduto su un trono alto ed elevato; i lembi del suo manto riempivano il tempio. Sopra di lui stavano dei serafini; ognuno aveva sei ali: con due si copriva la faccia, con due si copriva i piedi e con due volava. Proclamavano l’uno all’altro, dicendo: “Santo, santo, santo il Signore degli eserciti! Tutta la terra è piena della sua gloria”.
Vibravano gli stipiti delle porte al risuonare di quella voce, mentre il tempio si riempiva di fumo. E dissi: “Ohimè! Io sono perduto, perché un uomo dalle labbra impure io sono e in mezzo a un popolo dalle labbra impure io abito; eppure i miei occhi hanno visto il re, il Signore degli eserciti”.
Allora uno dei serafini volò verso di me; teneva in mano un carbone ardente che aveva preso con le molle dall’altare. Egli mi toccò la bocca e disse: “Ecco, questo ha toccato le tue labbra, perciò è scomparsa la tua colpa e il tuo peccato è espiato”.
Poi io udii la voce del Signore che diceva: “Chi manderò e chi andrà per noi?”. E io risposi: “Eccomi, manda me!”».
In questo racconto sono presentate le principali caratteristiche della vocazione profetica.
Visione
Il profeta è appena entrato nel Tempio di Gerusalemme, e dice una cosa incredibile: «Io vidi il Signore seduto sul trono». È incredibile perché contraddice Esodo 33,20 dove a Mosè viene detto: «Ma tu non potrai vedere il mio volto, perché nessun uomo può vedermi e restare vivo».
Qui siamo nel contesto di una straordinaria esperienza personale di comunione con la divinità. Infatti, il testo parla del contenuto della visione e non del modo in cui è avvenuta. Isaia vede il Signore intronizzato e nota i lembi del mantello e la presenza dei serafini. La potenza di Dio è sottolineata dalla descrizione solenne del trono, e la sua dignità e grandezza dal mantello che riempie il tempio.
Va qui notato che la visione divina si verifica nel tempio, luogo privilegiato per coloro che sono alla ricerca di Dio.
Dal racconto della sua vocazione, Isaia non lascia dubbi che la sua chiamata avviene per una gratuita iniziativa di Dio. Si evince l’idea di una straordinaria e tremenda esperienza della realtà di Dio e della sua identità. Si ha l’impressione che il profeta sia trasportato su un piano diverso da quello nel quale egli vive. È come se fosse ammesso nella sfera del divino.
Ascolto
La visione della realtà divina si arricchisce di un altro importante aspetto: l’ascolto. Isaia ascolta il canto di lode dei serafini. È un canto così solenne e potente che gli stipiti delle porte vibrano. Alla presenza dell’Altissimo niente può rimanere indifferente. Il mistero affascina e respinge al tempo stesso.
Siamo di fronte a un magnifico atto di lode e adorazione all’indirizzo di Colui che solo è santo.
Tale attributo, ripetuto tre volte, descrive l’assoluta trascendenza di Dio. Il Dio tre volte santo è il totalmente «Altro». La persona umana non può raggiungerlo da sola, e alla Sua presenza percepisce tutta la propria piccolezza.
Per mezzo dell’ascolto Isaia entra in un’atmosfera religiosa totalmente differente dalla sua esperienza. Si sente parte del consiglio divino, anche se non partecipa al canto dei serafini. È un’esperienza mistica che Isaia contempla e gusta.
Purificazione
Di fronte alla gloria, alla santità e alla grandezza di Yahweh, Isaia grida: «Ohimè! Io sono perduto, perché un uomo dalle labbra impure io sono e in mezzo a un popolo dalle labbra impure io abito». Egli percepisce la sua inadeguatezza, ed è assalito da un senso di terrore. La sua impurità lo accomuna al popolo a cui appartiene.
La necessaria purificazione gli viene dal centro del trono di Dio. C’è un abisso che lo separa da Dio, e tale distanza deve essere colmata. A questo scopo uno dei serafini va da lui con un carbone ardente prelevato dall’altare celeste. Esso è consacrato e ha il potere di eliminare il peccato di Isaia e di purificargli le labbra. Le labbra, una volta purificate, sono pronte per proclamare il messaggio divino. È lo stesso Signore che, per mezzo del serafino, ha eliminato l’ostacolo e avvicinato a sé Isaia.
Purificato e benedetto, ora Isaia è degno di ascoltare ancora la voce di Dio, e di rispondere al suo invito, di fare la Sua volontà.
Invio
Non appena Isaia è «consacrato», la voce di Yahweh che parla anche a nome del consiglio celeste, chiede: «Chi manderò e chi andrà per noi?».
Dio ha un piano, e sta cercando qualcuno che possa realizzarlo.
Ora Isaia è pronto, e non esita: «Eccomi, manda me!».
A differenza del profeta Geremia che, a causa della sua giovane età, cerca di esimersi dal compito che Dio vuole affidargli, Isaia invece risponde prontamente. Ora si sente equipaggiato per la missione.
Isaia è un modello ideale per assumere la missione di profeta. È stato ammesso al Consiglio divino, ha ascoltato il canto divino della santità, ha ascoltato la voce stessa di Yahweh, ed è stato purificato dalle sue impurità. Ora può mettersi in marcia per testimoniare.
Il caso di Isaia è un monito per coloro che sono definiti i profeti moderni, o che si assumono l’impegno missionario senza aver percorso il processo del vedere Dio, ascoltare la sua voce, essere totalmente purificati.
Tutti costoro, compreso chi scrive, sarebbe meglio che avessero il coraggio di fermarsi e chiedersi se siano mai entrati in un tempio qualsiasi e abbiano mai sentito la voce e visto il mantello del Signore.
di Antonio Magnante
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Antonio Magnante
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