Un missionario che non abbia una personale relazione con Cristo manca del fondamento della sua chiamata. La missione è, infatti, testimonianza della propria esperienza dell’evento Cristo.
Ecco la prima puntata su chi è il missionario.
Ogni scritto del Nuovo Testamento ha una valenza cristologica. Gesù è il centro. Dal momento che egli è in comunione d’amore con il Padre sin dall’eternità, Gesù è la sola via che conduce al Padre, e tutti devono indirizzarsi a Lui per avervi accesso (cf. Gv 1,18; 5,27; 6,46).
Intimità con Dio
Se la spiritualità consiste in una profonda e continua relazione con Dio, Gesù è il solo che ci può condurre nella sua intimità. Di conseguenza, Gesù deve essere sempre il nostro punto di riferimento, l’oggetto di una costante ricerca.
Una volta capita la vera identità di Gesù e stabilita con Lui un’intima relazione, non possiamo più fare affidamento solo sui nostri talenti, dobbiamo permettergli di rinnovarci, e mettere in atto una specie di osmosi tra noi e Lui, pronti ad agire sulla sua Parola (Lc 5,4).
Dobbiamo avere una personale esperienza dell’evento Cristo. Solo così può esserci per noi un nuovo inizio, un cambio di direzione, un nuovo modo di pensare, e diventare «una nuova creazione» (cf. 2Cor 5,17) realizzando il nostro permanente «essere in Cristo».
Il Nuovo Testamento insegna che un missionario privo di una personale esperienza di Cristo, manca del fondamento della sua chiamata.
In vista di Lui
Nella Lettera ai Colossesi (1, 15-20) leggiamo che Cristo
«è immagine del Dio invisibile, primogenito di tutta la creazione, perché in Lui furono create tutte le cose nei cieli e sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili […]. Tutte le cose sono state create per mezzo di Lui e in vista di Lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte in Lui sussistono. Egli è anche il capo del corpo, della Chiesa. Egli è principio, primogenito di quelli che risorgono dai morti, perché sia Lui ad avere il primato su tutte le cose. È piaciuto infatti a Dio che abiti in Lui tutta la pienezza della divinità e che per mezzo di Lui e in vista di Lui siano riconciliate tutte le cose, avendo pacificato con il sangue della sua croce sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli».
Col 1,15-20
Paolo, in questo testo, esprime la più rilevante affermazione riguardo la divinità di Gesù. Egli è l’esatta manifestazione del Dio invisibile. Cristo era preesistente alla creazione, e tutto sussiste in Lui, perché in Lui risiede la pienezza della divinità.
Se ogni realtà creata è contrassegnata dall’impronta di Cristo, il missionario deve di conseguenza riferirsi sempre a Lui.
Giovanni Battista
Tutti abbiamo bisogno di modelli che ci insegnino ad avere Cristo come centro della nostra vita:
«In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati».
At 4,12
Un appropriato modello per il missionario può di certo essere Giovanni Battista: egli si è posto, infatti, al servizio di Gesù in modo incondizionato.
Nel Vangelo di Giovanni, il Battista appare per la prima volta nel Prologo (1,6-8.15). Subito dopo, viene raccontato che le autorità di Gerusalemme mandano sacerdoti e leviti da lui per interrogarlo. Il Battista non approfitta della sua fama. Tutte le domande che gli vengono rivolte hanno lo scopo di chiarire se lui sia Elia, un profeta, o, ancor più, il Messia. E lui risponde senza lasciare dubbi: «Io non sono il Messia» (Gv 1,20).
Se mettiamo in fila le risposte del Battista, notiamo che esse sono via via più corte: «Io non sono il Messia»; «io non sono» (Elia); «no» (non è il profeta).
«Io sono»
Queste risposte di Giovanni Battista diventano rilevanti se confrontate con i sette «Io sono» di Gesù nel quarto Valgelo: «Io sono il pane di vita» (Gv 6,35.51); «Io sono la luce del mondo» (Gv 8,12; cf. 9,5); «la porta» (Gv 10,7.9); «il buon pastore» (Gv 10,11.14); «la risurrezione e la vita» (Gv 11,25); «la via, la verità e la vita» (Gv 14,6); «la vera vite» (Gv 15,1.5).
L’evangelista offre una serie di qualifiche della persona di Gesù. Tuttavia, esse non sono la descrizione della sua identità in assoluto, ma di quello che egli è in relazione all’uomo: egli è la sorgente della vita eterna («vite», «vita», «risurrezione»); lo strumento attraverso cui gli uomini trovano la vita («via», «porta»); la guida verso la vita («pastore»); egli rivela la verità che nutre la vita («pane»).
Una voce per la voce
Il quarto Vangelo narra che dopo le tre risposte negative di Giovanni Battista, gli inviati di Gerusalemme, non contenti, insistono perché lui dia una chiara definizione della sua identità, in modo da riferirlo ai signori della capitale.
Giovanni non rifiuta, e definisce se stesso in relazione al vero Messia: «Io sono voce che grida nel deserto […] preparate la via del Signore» (Gv 1,23).
Giovanni grida al cuore di Gerusalemme che la venuta del Signore è vicina (cf. Is 40,1-10); egli è la sentinella che annuncia l’approssimarsi del mattino dopo una lunga notte di attesa (cf. Is 21,11-12).
Si noti che il Battista si definisce «voce», senza articolo. Il greco del Vangelo di Giovanni usa il termine «voce» con l’articolo per Gesù, il quale «è la voce dello sposo» (3,29); «la voce del Figlio dell’uomo» (5,27); «del buon pastore» (10,3-5.16.27); «di chi rende testimonianza alla verità» (18,37).
Giovanni è una voce al servizio della vera voce, che «parla le parole di Dio» (3,34), la voce che, unica, può rivelare il volto del Padre.
Va qui notato che la testimonianza del Battista è indispensabile nel quarto Vangelo, perché il Verbo incarnato non manifesta apertamente la sua natura e la sua divinità.
Indicare Gesù
I sacerdoti e leviti si sono rivolti alla persona sbagliata, devono cercare la vera «voce», la quale è già in circolazione. Infatti il Battista dice: «In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete» (1,26). Il suo ruolo è, dunque, di indicarlo e farlo conoscere.
Il Battista è cosciente del suo ruolo: accetta di «diminuire» in favore della crescita di Gesù (3,30). Quando lo vede avvicinarsi, dice a due dei suoi discepoli – Andrea e l’innominato – che quell’uomo è «l’agnello di Dio». È pronto a vedersi «abbandonato» dai suoi in favore del Signore.
La testimonianza resa da Giovanni genera i primi discepoli di Gesù. Giovanni non si rammarica di questo ed esce di scena ritirandosi nel deserto da dove era venuto.
Che bello sarebbe per la Chiesa se il missionario fosse, come il Battista, al solo servizio incondizionato della «voce».
di Antonio Magnante
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Antonio Magnante
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