Giovani in viaggio. Verso l’altro e se stessi.
Giovani in cerca di un modo più autentico per vivere: in un villaggio africano, come in un’antica certosa del Piemonte.
Giovani sulle strade del mondo e della vita, per mano con Lui.
Tanzania 100
In occasione del centenario dei missionari della Consolata in Tanzania, alcuni gruppi di giovani consolatini sono partiti dall’Europa per vivere un’esperienza di missione e celebrare le grandi opere compiute dallo Spirito tramite i missionari. Ecco l’esperienza del gruppo di Bevera (Lc).
L’ estate è di solito il periodo di svago, divertimento, vacanza. Per alcuni giovani è anche un momento di scelte, incontri e condivisione con realtà nuove che danno alla vita una svolta. Così è stato per noi. Infatti, ad agosto siamo partiti dalla Brianza in otto, accompagnati da padre Nicholas Odhiambo della Consolata di Bevera, diretti in Tanzania.
L’esperienza missionaria è stata un tempo di riflessione su noi stessi, sul nostro ruolo e il nostro impegno verso gli altri, su come ci rapportiamo con chi incontriamo sulla nostra via.
Uno tra i motivi della nostra partenza è stato il centenario della presenza in Tanzania dei missionari della Consolata. Per questo, durante la nostra permanenza, abbiamo preso parte a un pellegrinaggio a piedi di 17 km da Iringa a Tosamaganga, luogo della prima missione della Consolata in Tanzania, con la comunità del posto e giovani provenienti da Dar es Salaam.
È stato un mese ricco di relazioni, amicizie, sorrisi e novità che abbiamo assaporato grazie all’accoglienza di ogni persona, ragazzo o missionario delle missioni nelle quali siamo stati ospitati. Porteremo sempre ciascuno di loro nei nostri ricordi. Tramite loro, abbiamo vissuto l’Africa missionaria.
Per noi vivere la missione è babu (nonno) Moses che, con i suoi occhi chiari, luminosi e sempre vivaci, trasmetteva un amore immenso ai bambini e bambine del coro che da solo ha creato e gestisce nella parrocchia di Makambako. Un uomo che, con più di 70 anni, ogni giorno segue i ragazzi della parrocchia nel catechismo e li educa come fossero suoi figli, o, meglio, nipoti.
Per noi essere missionari nel mondo è padre Thomas, padre Domenique e padre Peter (quest’ultimo vecchia conoscenza di Bevera) che ci hanno accolti come fratelli e ci hanno fatto sentire a casa, sempre pronti ad aiutarci, a spiegarci, a farci entrare nella vita tanzaniana, a organizzare spostamenti o attività con amore sincero, disinteressato.
Per noi la missione sono le manine di Mandina, Lightiness, Charity, Alioubu, Gracious e di tutti i bambini dell’asilo che ci toccavano la testa salutandoci con un dolce «Shikamoo» in segno di rispetto dopo esserci corsi incontro a braccia aperte urlando a squarciagola i nostri nomi, sentiti solo una volta, il giorno prima. I loro sorrisi, i loro simpatici e innocenti litigi per ottenere il «privilegio» di tenere strette le nostre mani, gli abbracci di affetto, le risa di gioia e stupore nel vedere le loro aule ridipinte con giraffe, leoni, scimmie e rinoceronti, sono tutte immagini che la memoria farà fatica a cancellare e che continueranno a suggerirci che un gesto semplice può fare la differenza e donare felicità.
La Tanzania è Winnie e Rose, due ragazze studentesse che, capitate in mezzo al nostro gruppo di «wazungu» (bianchi), hanno vissuto assieme a noi da sorelle, e ci hanno aiutati, accompagnati, hanno tradotto, condiviso e raccontato molto in ogni momento. Oggi ne sentiamo la mancanza, ma per fortuna ci aiuta whatsapp a sentirci più vicini.
Sono molte le persone incontrate – e sarebbe lunga la lista -, come le esperienze vissute. Ognuna è un pezzo del puzzle che, incorniciato dalla serenità e semplicità africana, rappresenta la stupenda immagine della nostra Africa.
di Anna Pappaianni e Matteo Mandelli
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Tanzania: dono da custodire
In missione sei in ascolto della più bella e disarmante catechesi che potresti mai vivere: quella tenuta dalla povertà, che ti costringe a scavare nelle tue periferie, nei tuoi vuoti d’amore.
Da quando sono tornata dal Tanzania la domanda più gettonata da parte di amici e familiari è: «Ma perché sei andata?», e, soprattutto, «cosa sei andata a fare?».
Sono partita con altri 11 giovani, tutti animatori della parrocchia Maria Regina delle Missioni di Torino, e una coppia. Siamo voluti andare a conoscere la terra di Richard Lusaluwa (ordinato baba, padre, il 22 agosto), missionario della Consolata che ci ha accompagnati nell’ultimo anno del nostro cammino in parrocchia. Un’occasione letteralmente piovuta dal Cielo.
Reduce da una precedente esperienza missionaria, sapevo quanto fosse importante partire con occhi nuovi, togliere le squame occidentali dal mio sguardo per comprendere la terra tanzaniana. Una terra che diverse persone mi avevano descritto, ma che solo vivendola ho capito un po’ di più. Le impronte sulla strada polverosa, i bambini che ti corrono incontro mentre giocano con poco o niente, persone la cui gentilezza non ha confini, tramonti e paesaggi che ti fanno riscoprire la bellezza del creato.
In Tanzania ho imparato il senso dell’accoglienza e della condivisione. «Karibuni», che in swahili significa «benvenuti», è la parola che ci ha accompagnati dal nostro sbarco a Dar es Salaam fino al nostro arrivo a Madibira: accolti dai giovani, felici di conoscerci; accolti dai preti che ci hanno mostrato cosa significhi amare Dio e cosa si riesce a fare se lo si segue pienamente; accolti dai ragazzi della scuola di Madibira che ci correvano incontro appena ci vedevano, ci abbracciavano stretti durante i balletti in salone, o ci dicevano «i need it», ne ho bisogno, per ogni braccialetto che avevamo al polso; accolti dalla gente del villaggio che, nonostante i nostri problemi con la lingua, cercava di farci sentire a casa.
Sono andata in Tanzania per non essere una «giovane da divano», ma una giovane che vuole stare con gli altri e agire per gli altri.
Sono partita con molti dubbi, mi sono chiesta più volte se fosse la cosa giusta e se fosse il momento più adatto. Sono tornata con la consapevolezza che le strade di Dio sono diverse dalle mie e che camminare su quel sentiero, per quanta paura a volte possa fare, è la chiave per toccare con mano quanto Lui mi ami e quanto io a mia volta possa amare gli altri.
Ho sperimentato di nuovo cosa significa la frase sentita al mio primo corso in preparazione alla missione: «La missione è accettare l’Amore che salva: è imparare a riconoscerlo, a viverlo lasciandosi amare, e poi a restituirlo gratuitamente, senza nulla in cambio. È un Amore che ti parla una lingua straniera, che si legge negli occhi grandi dei bambini: si fa capire con la delicatezza di una mano stretta sul tuo braccio, con l’energia di un sorriso che ti spiazza, anzi, ti spezza. In missione sei in ascolto della più bella e disarmante catechesi che potresti mai vivere: quella tenuta dalla povertà, che ti costringe a scavare nelle tue periferie, nei tuoi vuoti d’amore».
Un mese in missione non ti cambia la vita, ma può cambiare il modo in cui guardi la tua vita lasciandoti abbracciare dall’amore, riempiendo quei vuoti che solo Dio sa colmare: è ciò che siamo andati a fare, o meglio a vivere, in Tanzania.
È facile dimenticarsene una volta tornati, quando si viene investiti dalla freneticità della vita quotidiana, ma ciò che mi sono portata a casa è il desiderio di dare tempo al Signore e di vedere cosa posso fare se mi guida Lui.
di Federica Curci
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1000 mondi a Galatina
Tra il 20 e il 26 agosto scorsi 60 «giovani consolatini» dal Nord, Centro e Sud Italia si sono trovati a Galatina (Le) per l’appuntamento nazionale annuale «1000 mondi in missione».
«Mi sarete testimoni fino agli ultimi confini della terra» è il tema del campo missionario nazionale «1000 mondi in missione» svoltosi quest’anno nella nostra calda e accogliente Puglia. Sessanta giovani dai 14 ai 25 anni provenienti da Torino, Martina Franca, Ruffano e Roma si sono dati appuntamento a Galatina (Le), accompagnati da padre Nicholas Muthoka, p. Dawinso Licona Sierra, p. Celio Fumo e p. Bienvenu Kasuba.
Il campo ha avuto come guide ideali alcuni grandi testimoni della fede della nostra terra: don Tonino Bello, suor Leonella Sgorbati e gli 800 martiri di Otranto. Anche alcuni momenti di convivialità sono stati pensati in accordo con la loro testimonianza: ad esempio le «Olimpiadi Allamaniane», pur mantenendo la competizione del caso, hanno rispettato sia lo spirito di don Tonino Bello – che ha messo tutto se stesso nella creazione e sviluppo degli oratori -, sia lo spirito dei Beati Martiri, i quali venivano definiti «Christi nobiles Atletae» (nobili atleti di Cristo): «Quella dell’atleta è una categoria che, pur appartenendo al linguaggio sportivo, è ricca di tante sfaccettature. Si diventa atleti per raggiungere un traguardo. Se il traguardo tiene, vale la pena mettersi in gara, vale anche la pena allenarsi, altrimenti è meglio lasciar perdere» (monsignor Donato Negro, arcivescovo di Otranto).
Tra le testimonianze ascoltate, ci sono state quella di don Milko Lagna, vice direttore della caritas diocesana, che ci ha spiegato alcune dinamiche dell’immigrazione sul nostro territorio; quella delle missionarie della Consolata di Martina Franca; quella delle Clarisse di Otranto. Queste ultime hanno aperto le porte del loro convento per mostrarci la loro realtà, così diversa dalla nostra, hanno ascoltato i nostri dubbi e provato a dar loro una risposta.
Ognuno dei sei giorni trascorsi insieme è stato un giorno intenso, per tutti. Non si è trattato solo di condividere il sonno, i pasti e la fatica di camminare sotto il sole cocente, o di fare il proprio turno delle pulizie, si è trattato anche di tutte quelle piccole cose che possono essere comprese solo se vissute: i discorsi fino a notte fonda, la musica a tutto volume a ogni ora del giorno, gli sguardi reciproci per capirsi al volo, le risate che riecheggiavano nelle stanze. E anche gli aspetti negativi che non mancano mai, perché ognuno di noi fa la sua dose di errori, piccola o grande che sia, ma mai abbastanza grande da allontanarci l’uno dall’altro, perché quello che ci lega è sempre più forte di ciò che ci divide, e ciò fa parte dell’indole del missionario, proprio come disse il beato Giuseppe Allamano: «L’Istituto è una famiglia. Siete tutti fratelli, dovete vivere insieme, prepararvi assieme, per poi lavorare assieme».
Perché, in fin dei conti, è questa la prova regina del nostro essere missionari e cristiani: avere dentro di noi l’Amore per i più deboli, sia nel corpo che nello spirito, per l’essere umano nella sua forma più pura, poiché, come Gesù stesso ci disse, «verrete giudicati sull’amore».
«Amare il prossimo più di noi stessi: questo il programma di vita del missionario. Se non si arriva al punto di amare il bene degli altri più della propria vita, si potrà avere il nome, non la sostanza dell’uomo apostolico», beato Giuseppe Allamano.
di Serena Bianco
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Certosa: l’arte dello scegliere
Cinque giorni di deserto per fermarsi davanti al Signore, mettere ordine nella vita, e riorientarla secondo i suggerimenti dello Spirito.
Il «deserto giovani» alla Certosa di Pesio (Cn) dal 21 al 25 agosto è stato un momento di discernimento vocazionale, di preghiera intensa per scegliere la strada giusta da prendere.
Il tema era: «Discernimento, l’arte dello scegliere». I 25 giovani tra i 20 e i 40 anni che hanno partecipato, hanno avuto l’occasione d’incontrare Gesù attraverso la preghiera personale aiutata dalle meditazioni dei missionari della Consolata che li hanno accompagnati.
Il primo giorno p. Daniele Giolitti, superiore della Certosa, ha presentato il personaggio di Tommaso nel Vangelo di Giovanni. Tommaso, detto Didimo, che significa Gemello, ci mostra che è gemello di tutti, è gemello nostro, nelle situazioni di tutti i giorni. Egli ha cercato di amare Gesù con tutto il cuore, carico di tante domande e proposte, proprio come noi. E ci ha mostrato che è possibile credere anche se non vediamo o tocchiamo, anche in mezzo ai nostri dubbi che diventano occasioni di ricerca.
Il secondo giorno abbiamo riflettuto sulla seconda chiamata dell’apostolo Pietro, grazie agli spunti presentati da p. Ugo Pozzoli che l’ha collegata alla sua esperienza di vita vissuta. La chiamata di Pietro è l’invito a essere pescatori di uomini. Anche noi siamo chiamati alla missione, siamo chiamati a servire il Signore nei posti nei quali siamo, come portatori del Vangelo. Dio chiama sempre persone imperfette, ma la perfezione viene nel loro servizio.
Padre Paolo Angheben, il terzo giorno, ci ha presentato la vocazione con la domanda «che cosa cercate?». È stato veramente un momento spirituale di discernimento. Abbiamo meditato molto, chiedendoci che cosa stiamo cercando nella nostra vita. È importante meditare sulla strada che abbiamo scelto: se è veramente giusta o no.
Il «deserto giovani» è stato molto profondo, anche grazie ai momenti di condivisione, di lavoro manuale nel parco, e la gita in montagna nell’ultimo giorno.
Ringrazio tutti i partecipanti e i padri della Certosa di Pesio. Hanno lasciato dentro ognuno di noi una grande ricchezza.
di Matthew Kilamlya
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SìAmo viaggi!
Con il sottotitolo «Non nuove terre ma nuovi occhi», il campo missionario «SìAmo viaggi!» organizzato dal Cam di Martina Franca (Ta), ha coinvolto 21 ragazzi della città tra gli 11 e i 14 anni dal 31 luglio al 7 agosto.
Dal 31 Luglio al 7 Agosto 2019 si è tenuto ad Acerenza (Pz) il campo scuola missionario del gruppo «Arcobaleno 1» del Centro di Animazione Missionaria di Martina Franca (Ta), rivolto ai ragazzi dagli 11 ai 14 anni, intitolato «SìAmo viaggi!».
Questa settimana è stata l’esperienza conclusiva di un cammino, iniziato a novembre scorso, di incontri mensili, in cui animatori e ragazzi hanno condiviso momenti di preghiera, gioco, divertimento e formazione.
Come si può intuire dal titolo, il filo conduttore della settimana è stato il viaggio, non soltanto inteso come viaggio fisico, ma anche spirituale, avendo come punto di riferimento Gesù, la nostra bussola.
Durante la settimana sono stati presentati quotidianamente dei temi per accompagnare i ragazzi alla scoperta che il vero viaggio non consiste nel cercare nuovi paesaggi, ma nell’avere occhi diversi, nell’osservare il mondo attraverso gli occhi dell’altro.
Nei primi due giorni sono state proposte le tematiche della scelta della meta, per imparare a prendere decisioni in modo consapevole, e della preparazione al viaggio, mirata a saper distinguere l’essenziale dal superficiale.
Nei giorni successivi sono stati approfonditi i concetti della scoperta di sé e dell’importanza dell’incontro con l’altro, finalizzati a far comprendere quanto il viaggio non sia soltanto la conoscenza di se stessi, ma anche e soprattutto dell’altro, per trasformare lo scontro in incontro.
Come in ogni viaggio che si rispetti, non può mancare qualche difficoltà, infatti ogni ragazzo ha imparato a riconoscere i propri limiti e a non arrendersi ai primi intoppi. E dato che affrontare gli ostacoli è spesso faticoso, si è discusso anche della necessità di sostare e riposare, fare rifornimento e ripartire orientandosi grazie a Gesù.
L’ultimo giorno, tra saluti e abbracci, abbiamo dovuto «rifare la valigia» per ripartire verso nuove mete, con uno spirito diverso e più missionario. Dobbiamo essere missionari del Vangelo senza paura. «Essere missionari nella bocca, nella mente e nel cuore» (beato Giuseppe Allamano).
di Luca Acquaviva, Annalisa Conserva, Marta De Vincenzo, Maira Acquaviva, Pietro Trisciuzzi
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Giovani IMC
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