Il 2019 è un anno speciale per i missionari della Consolata: si celebrano i 100 anni dalla loro prima missione di evangelizzazione in Tanzania.
La spedizione composta da quattro missionari, Giovanni Ciravegna, Domenico Vignoli, Gaudenzio Panelatti e mio prozio padre Giacomo Cavallo, infatti, partì per l’Africa il 25 gennaio 1919.
Per questo importante evento io e mio papà, Bruno Cavallo, siamo stati invitati a Tosamaganga, nella regione di Iringa, il 14 ottobre.
Da Prunetto (Cn) a Dar es Salaam
Il nostro viaggio alla scoperta dei luoghi in cui ha operato il nostro prozio (padre Giacomo Cavallo era il fratello del nonno di mio papà) è cominciato prima ancora di salire sull’aereo per la Tanzania: domenica 6 ottobre, io, mio papà e padre Daniel Lorunguiya, missionario della Consolata keniano che opera in Italia, ci siamo recati a Prunetto, in provincia di Cuneo. Prunetto è il paese natio di Giacomo Cavallo e, in occasione del centenario della sua prima missione, tutto il paese si è radunato per celebrare la messa, intitolare a lui una piazza e una targa nel cimitero.
Nella settimana successiva, io, mio papà, Padre Daniel e il video reporter Alessandro Capato abbiamo preso l’aereo diretto in Tanzania. Dopo un lungo viaggio siamo atterrati la mattina presto a Dar Es Salaam. L’accoglienza è stata delle migliori: il missionario della Consolata, padre Francis Obadia, ci è venuto a prendere all’aeroporto con la jeep e ci ha accolto nella sua parrocchia di Kigamboni, dove abbiamo avuto modo di riposarci e rifocillarci. Padre Obadia è stato poi la nostra guida preziosa durante tutto il soggiorno.
L’operato prezioso dei missionari
Tra venerdì pomeriggio e la giornata di sabato, abbiamo visitato la parrocchia di padre Dastan Mshobolozi, la missione delle suore della Consolata a Mbagala e, con nostra grande meraviglia, ci siamo immersi nelle acque dell’Oceano Indiano. La visita alla missione delle suore ci ha subito fatto capire quanto l’operato di questi missionari sia prezioso e fondamentale per gli abitanti del luogo: grazie al loro operato, i Tanzaniani, senza distinzione di credo, possono recarsi al dispensario della missione per ricevere diverse tipologie di visite, cure e medicine.
Una scena di grande tenerezza nel reparto di maternità ci ha commosso: una mamma che aveva partorito nella notte stava allattando il figlio, per nulla infastidita dalla nostra presenza. La purezza del momento ha fatto ricordare a noi Occidentali che in quella nudità, che per nulla lede il senso del pudore, si racchiude il senso più profondo della vita umana: la perpetuazione della progenie che dopo la procreazione passa attraverso la cura del genitore verso il figlio indifeso.
Verso Tosamaganga
Il viaggio è poi ripreso nella giornata di domenica alla volta di Tosamaganga, dove padre Cavallo ha cominciato la sua opera missionaria nel marzo del 1919. Dopo 12 ore di viaggio in macchina, estenuante ma al tempo stesso incredibile poiché ci ha permesso di vedere luoghi e paesaggi meravigliosi, siamo giunti alla casa regionale dei missionari della Consolata, sita nella parte alta della città di Iringa.
Lunedì mattina finalmente siamo arrivati a Tosamaganga, dove, di lì a poco sarebbe stata celebrata la messa in onore dei quattro pionieri dell’evangelizzazione.
Una celebrazione commovente e allegra
La celebrazione è stata una festa meravigliosa, piena di canti e di balli, a cui hanno partecipato migliaia di preti, uomini, donne e bambini provenienti da tutte le parti della Tanzania e del Kenya. Erano presenti, tra gli altri, il padre generale dei missionari della Consolata, padre Stefano Camerlengo, il nunzio apostolico e il ministro della Giustizia della Tanzania.
La commozione è stata forte. Io e mio papà siamo stati presentati alla fine della celebrazione quali discendenti di padre Giacomo Cavallo: un immenso onore visto che eravamo gli unici pronipoti presenti. L’accoglienza è stata delle più calorose e amorevoli, tanto che dopo la messa padre Silvanus Stock ha intonato alcuni canti in italiano per noi suscitando in noi grande gioia e allegria.
Dopo pranzo abbiamo avuto modo di visitare la chiesa in cui il mio prozio ha celebrato le prime messe e lì siamo stati intervistati per un servizio da Tele Padre Pio. Quei luoghi sono la testimonianza di quanto sia stato fatto in questi cento anni per la popolazione locale, a partire da padre Giacomo Cavallo che si era ritrovato in posto selvaggio senza molti strumenti in mano. Lui proveniva da una famiglia di cacciatori e uno dei suoi compiti era anche quello di proteggere: armato di un fucile da caccia Mauser teneva a bada le bestie feroci e aiutava nell’approvvigionamento di cibo.
Sulle orme del prozio missionario
Se penso al coraggio, alla forza d’animo e alla fede di cui il mio prozio era pieno, non mi sento solo immensamente onorato, ma anche investito di una grande responsabilità.
Mio papà segue il suo esempio ormai da parecchi anni grazie all’impegno che profonde per aiutare i più poveri: più di 20 anni fa ha fondato l’associazione Maria Madre della Provvidenza, che oggi, grazie alle sue nove sedi diffuse nel Nord Italia, aiuta tantissime persone, anche all’estero. Io, invece, in qualità di ricercatore nel campo dell’attività fisica rivolta ai malati di cancro presso il Dipartimento di Neuroscienze, Biomedicina e Movimento dell’Università degli Studi di Verona, spero di diventare un pioniere nel mio campo, come lo è stato il mio prozio cento anni fa, al fine di aiutare le persone che soffrono. A lui e a Dio chiedo la forza per proseguire nel mio operato di ricerca.
Con gli occhi incollati al finestrino
Nei giorni seguenti abbiamo avuto modo di visitare altre missioni in cui aveva operato padre Cavallo e questo lungo viaggio in mezzo alla savana, compiuto attraversando luoghi inesplorati dai turisti e lontani dalla confusione, ci ha permesso di immergerci appieno nel mondo tanzaniano. Dico e sottolineo tanzaniano e non africano per non incorrere nell’errore che fanno tutti quelli che hanno visitato uno solo dei 54 paesi del continente quando dicono: “L’Africa è … gli Africani sono …”. No. Io vi sto raccontando della Tanzania, non dell’Africa che è un continente immenso e dalle mille sfaccettature.
Con gli occhi perennemente incollati al finestrino del fuoristrada, davanti a me scorrevano immense distese popolate da gnu, zebre, impala e giraffe, tanto per citare gli animali più tipici. Manti erbosi che fungevano da tappeto per bassi arbusti e qualche albero si alternavano a fitte foreste o distese di terra più aride da cui si innalzavano i maestosi e immensi baobab. Baobab è l’unica parola che si pronuncia e si scrive allo stesso modo in Kiswahili, Inglese e Italiano, tre lingue di tre popolazioni che tra le altre abitano o hanno abitato queste terre.
Fratello pastore in Tanzania, sorella laureata negli Usa
Una sera, giunti dalla famiglia Maasai di padre Obadia, ho avuto modo di conversare in inglese con un ragazzo mio coetaneo, 26 anni, e con la sorella più grande. Il dialogo con un ragazzo che ha scelto la vita da pastore e con la sorella che ha studiato sei anni negli Stati Uniti, mi ha permesso cogliere nuove sfumature della vita umana sulla terra e mi ha posto di fronte due scelte di vita diametralmente opposte: gli studi nel paese più capitalista e moderno al mondo e la vita agreste dei campi, che per centinaia di migliaia di anni ha caratterizzato la vita dell’uomo sulla terra.
Nessun giudizio e nessun confronto: entrambi pienamente soddisfatti. La ragazza, però, mi ha colpito nel profondo con alcune sue parole che mi sono rimaste impresse nella mente e nel cuore. La prima affermazione che mi ha colpito è stata quando mi ha raccontato che in America le sono mancati il senso di comunità e appartenenza tipici del suo popolo, ma ancora di più mi ha lasciato interdetto quando mi ha chiesto: “Perché voi Occidentali siete sempre arrabbiati se avete tutti questi comfort?”. La mia risposta è stata semplicemente: “Non lo so”. Non potevo risponderle perché da una parte non siamo tutti così e dall’altra, però, è vero che tante persone, io in primis, a volte, non si rendono conto di quanto hanno in confronto, ad esempio, a questo popolo che vive ancora tanto delle forme più antiche di agricoltura e pastorizia. È stato bellissimo assistere all’aratura dei campi con il vomero di metallo trascinato dalle mucche.
L’importanza della cooperazione
Le sensazioni, alla vista dei villaggi di capanne fatte con fango o mattoni e, in generale, di tante scene come quelle sopracitate, mi hanno riportato alla mente i paesaggi tanto cari a Virgilio, che più di altri autori latini amava la semplice vita dei campi e la descriveva minuziosamente nelle sue opere.
Un altro aspetto della natura africana, qua posso dirlo, che mi ha affascinato è stata la spiegazione della guida del breve safari che abbiamo fatto l’ultimo giorno prima di partire. La guida ci ha spiegato che spesso zebre, impala e gnu si spostano assieme perché ciascun animale mette al servizio del branco una sua caratteristica peculiare utile a difendersi dai leoni: la zebra vede più lontano, l’impala ha il senso dell’olfatto più sviluppato e lo gnu l’udito più fine. Tale unione permette agli animali di aiutarsi a vicenda nell’avvistamento dei feroci predatori per poter scappare in tempo. Quante volte la natura ci insegna l’importanza della cooperazione!
Si può vivere in modi diversi
Sono tornato a casa più consapevole che si può essere felici e con il sorriso anche se si vive in una capanna e si pascola il bestiame. Ho vissuto un’accoglienza degna di un’autorità da parte di persone che non avevano molto e che pure hanno voluto condividerlo. Ho visto i bambini ridere mentre si rincorrevano nel fango e giocavano con tappi di bottiglia. Non potevo giudicare quel popolo e quella cultura con gli occhi e la mente di un Europeo, dovevo solo osservare in silenzio e imparare che si può vivere in maniera diversa. Credo che l’importanza degli scambi tra culture e popoli diversi stia in questo: condividere modi di vivere e di pensare differenti per migliorarsi a vicenda.
Il viaggio si è concluso davanti a una buona pizza in un ristorante di Torino e con la bellissima riflessione di padre Daniel: se torniamo dall’Africa cambiati, rinnovati e con un’attenzione diversa verso le persone, il consumo di cibo, di acqua e risorse energetiche, dobbiamo mostrare il cambiamento con il nostro esempio, senza additare i comportamenti errati altrui.
Siamo andati in Africa per imparare, non per insegnare, e se siamo tornati cambiati, il nostro compito è di essere testimoni silenziosi del cambiamento attraverso il nostro comportamento e non giudicando gli altri.
Andate avanti, ma senza fretta
Voglio concludere lasciando un messaggio ai giovani della mia età, e non solo, perché oggi viviamo in un periodo di incertezze politiche, economiche e anche climatiche. Il mio messaggio è frutto della mia esperienza, seppur limitata, accumulata nei vari viaggi che ho fatto tra Canada, Bosnia e adesso Tanzania; anche in Italia ho avuto modo di girare un po’ per i miei studi. Il mio vuole essere un messaggio di incoraggiamento e di apertura verso il prossimo che è tanto umano quanto noi.
Indipendentemente dal fatto che crediate in Dio o no, mettete sempre il massimo impegno in quello che fate, cercate una strada che vi entusiasmi tanto da trascinare chi vi è accanto, non arrendetevi di fronte alle difficoltà, consci che successi e sconfitte si alterneranno sempre. Scambiatevi idee e opinioni con i vostri coetanei, ma se potete, fatelo di persona guardandovi negli occhi, ridendo, piangendo, abbracciandovi, insultandovi, amandovi, arrabbiandovi, sognando! Usate la ragione e la logica quando servono, ma di tanto in tanto abbandonatevi alle emozioni più pure e forti che sgorgano dal vostro cuore come l’acqua più limpida che scaturisce dalla madre terra. Sfruttate tutti gli strumenti che il progresso ci mette a disposizione senza dimenticare che noi siamo parte della natura in cui viviamo.
Sono queste le peculiarità più belle della nostra umana essenza, gli intrecci tra ragione ed emozione, e fede per chi crede. Andate avanti per la strada intrapresa consci che non sarà diritta e asfaltata, ma se avete l’entusiasmo e la voglia e, per chi crede in Dio, la fede, saprete resistere alle buche che incontrerete. Andate avanti per la vostra strada giorno dopo giorno, ma senza fretta e iniziate ogni mattina ripetendo la frase incisa sulla cella di Sant’Antonio Abate “oggi ricomincio”, perché per quanti progetti abbiate immaginato già realizzati nel vostro futuro, ogni mattina dovrete ricominciare, ma con l’esperienza del giorno prima.
di Alessandro Cavallo
Alessandro Cavallo
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