La missione ha molte facce. Quella africana, ma anche quella europea; quella italiana, ma anche quella locale. Il percorso è sempre quello che va dalle nostre singole comunità al mondo (e viceversa). Ecco il racconto (a mo’ di regalo di Natale) di alcune delle molte esperienze vissute durante la scorsa estate da giovani e giovanissimi amici dei missonari della Consolata, partiti dalle loro vite all’incontro con gli altri, e con l’Altro.
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Tanzania. Asante sana bimbi
Dal 1° al 29 agosto 2018, un gruppo di nove giovani, accompagnati da padre Nicholas Odhiambo, superiore della casa di Bevera (Lecco), ha vissuto un’esperienza missionaria a Makambako, in Tanzania.
Watoto wapendwa (cari bambini),
scrivo a voi perché siete stati i protagonisti di tutto il tempo che abbiamo trascorso in Africa e siete stati coloro che ci hanno riempito le giornate in un modo che ancora oggi faccio fatica a spiegare e a spiegarmi.
Scrivo a te, Miliam, che con i tuoi mille saluti mi hai fatto riscoprire quanto sia bello dire «Ciao» con la speranza e la sicurezza negli occhi di rivedersi il giorno dopo. Scrivo a te, Denis, che mi hai insegnato che anche i gesti semplici o abitudinari possono essere speciali. Scrivo a te, Sari, che sei stata la prima bambina a prendermi per mano nel nostro primo giorno africano e mi hai mostrato come la diversità tra i miei capelli morbidi e raccolti in una coda e i tuoi neri, ispidi e cortissimi sia così stupefacente.
Scrivo a voi, Eliza, Berta e Joar, «nanette» dell’asilo vestite di verde e rosa che ogni giorno ci correvate incontro come se dovessimo festeggiare qualcosa. E ogni giorno era davvero una festa.
Scrivo a voi, Happy, Prince, Edo e Perezi, per dirvi che imbiancare e riempire di colori, disegni e fiori la scuola è stata la cosa più stancante che abbia mai fatto, ma anche quella che più mi ha resa orgogliosa della fatica. Avrete aule grandi capaci di accogliere molti bambini e spero che tra quelle mura dove noi abbiamo faticato e ci siamo stancati sorriderete. A me può bastare per essere felice.
Scrivo a voi, bambini, che ci avete chiamati wazungu (bianchi – lett. chi va in giro ndr): non mi sono mai sentita così in colpa per il colore della mia pelle. Vi giuro che non l’ho potuto scegliere, e se avessi potuto avrei scelto di farci tutti dello stesso colore, che tanto saremmo stati comunque diversi.
Scrivo a voi bambini che vi prendevate cura dei vostri fratelli più piccoli: nella vita non ho mai ammirato nessuno così tanto come ho ammirato voi. Avete un compito importantissimo e io mi sento terribilmente in difetto quando non dico ai miei fratelli che sono la cosa più speciale del mondo. Scrivo a voi bambini che avete imparato l’«Alleluja delle lampadine»: io non ho mai amato quel canto, ma adesso, ogni volta che l’ascolto, penso che la «nostra festa» davvero non finirà mai, perché porto dentro di me tutti i momenti trascorsi insieme, e festeggio ricordando che, anche se solo per pochissimo tempo, avete sorriso grazie a me.
Scrivo a voi tutti bambini incontrati a Makambako: siete stati la gioia più grande, la scoperta più profonda e siete il ricordo più bello che porterò sempre nella mia valigia, quella valigia che, sono sicura, prima o poi preparerò di nuovo per tornare da voi.
Asante sana watoto (Grazie bambini).
Mimi ninawapenda (Vi amo).
Martina Abbà, Bevera
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Camminando verso Compostela
Giovani italiani, spagnoli e portoghesi accomunati dall’amore per la missione in cammino per 100 km verso Santiago de Compostela.
Discernimento, preghiera e vita fraterna: sono stati questi i tre elementi che hanno animato i 50 giovani della Consolata, arrivati a Sarria – città della Galizia, Nord della Spagna – da Italia, Portogallo e Spagna con l’obiettivo di percorrere più di 100 km del cammino di Santiago dal 23 al 29 luglio scorsi.
Motivati dai missionari della Consolata e dal beato Giuseppe Allamano, i giovani hanno affrontato il cammino con il sorriso e sono arrivati a Santiago de Compostela stanchi, ma contenti.
Ciascuno ha potuto contemplare e parlare con la natura per mezzo della preghiera personale e di gruppo. Ogni giorno era aperto dalla preghiera del mattino ed era simbolicamente chiuso dal momento culmine dell’eucarestia della sera.
Sfidando la stanchezza, il freddo, la pioggia, il caldo e le grandi salite, i giovani hanno avuto l’opportunità di parlare con i padri missionari, e di condividere con loro gioie, fatiche, dubbi ed esperienze della vita quotidiana.
L’espressione spagnola «buen camino» – il saluto usato tra i pellegrini del cammino di Santiago – ci ha accompagnati tutti i giorni: un segno bello di incoraggiamento vicendevole davanti alla fatica del cammino. Capitava spesso, infatti, d’incontrare altri pellegrini, e di «attaccar bottone» con loro per condividere le motivazioni del cammino, scherzare, aiutarsi.
Le celebrazioni eucaristiche all’aperto, nei saloni dei motel dove eravamo ospitati e anche nella basilica stessa di san Giacomo, hanno attirato molta attenzione e partecipazione. Il pellegrinaggio è stato, dunque, anche un tempo di testimonianza e di missione.
Arrivati a Compostela, il 28 luglio, i giovani sono andati alla cattedrale dove si trova la tomba di san Giacomo apostolo, hanno partecipato alla messa del pellegrino, abbracciato il Santo e, liberamente, si sono confessati dentro la basilica con i missionari loro accompagnatori, ottenendo così l’indulgenza plenaria. Questo è veramente il significato spirituale del pellegrinaggio.
La messa conclusiva del nostro pellegrinaggio, l’abbiamo celebrata domenica mattina 29 luglio dentro la basilica, nella cappella del Santissimo Sacramento, presieduta da padre Edwin, e concelebrata dai padri Nicholas e Stephen (accompagnatori dei gruppi italiani), João Batista (Portogallo), Hermenegild e Carlos José (Spagna). Durante la celebrazione ciascun giovane ha ricevuto la «Compostela», il documento scritto in latino che «certifica» che il pellegrino ha fatto più di 100 km a piedi.
Finito il cammino, i giovani pellegrini hanno preso l’impegno di essere veri annunciatori del vangelo ovunque si trovano.
Eugénio Bento Cristóvão
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1000 mondi alla Spera
50 ragazzi, radunati attorno al tema dell’amore di Dio nella parrocchia Maria Speranza Nostra di Torino, hanno vissuto una settimana di esperienza forte, con anziani, carcerati, ex tossicodipendenti… all’insegna della missione.
Amicizia, riflessione e preghiera hanno unito a fine agosto 45 ragazzi legati ai missionari della Consolata in Italia.
Dopo la prima edizione di «1000 mondi in missione, unica passione», a Roma nel 2017, quest’anno si sono trovati dal 28/8 al 3/9 nella parrocchia Maria Speranza Nostra di Torino.
Molti, alla fine dell’esperienza, avevano gli occhi lucidi di lacrime: «Poteva durare di più», ha detto Martino, 17 anni, di Martina Franca (Ta).
I «forestieri» erano nove ragazzi da Martina e 26 da Galatina (Le). Ad accoglierli c’era un gruppo di altri dieci ragazzi della «Spera».
L’evento ha raccolto e fatto sintesi del cammino annuale dei diversi centri giovanili Imc in Italia: per il 2017/18 il tema era quello del «discepolo amato» di Giovanni. Su questa scia, anche durante «1000 mondi in missione» abbiamo parlato di amore (amore donato, tradito, fedele, amore per la missione e per Gesù) sviluppando il tema attraverso alcune esperienze. Una di queste è stato l’incontro, direttamente nelle loro case, con alcuni anziani, persone normali con figli, nipoti, acciacchi, lutti, lamentele, preghiere; persone che nella loro vita hanno ricevuto e donato amore. Un’altra è stato il confronto con chi ha fatto una scelta di vita consacrata: le novizie, le suore e i padri della Consolata, e le suore di san Vincenzo de’ Paoli. Quest’incontro, ricco di domande, curiosità e racconti è avvenuto nella casa natale del beato Giuseppe Allamano. I ragazzi quel giorno hanno potuto conoscere meglio il nostro fondatore facendo a piedi il «Cammino dei santi»: 12 km dall’abbazia di Vezzolano a Castelnuovo.
Storie difficili, invece, sono state quelle ascoltate in carcere, alle Vallette, dove siamo andati in visita in due riprese. Vite segnate da disagio sociale, povertà materiale e morale, delitti e droga. Abbiamo incontrato i detenuti della sezione «Arcobaleno» che stanno facendo un percorso di recupero da vari tipi di dipendenze (droga, alcool, gioco d’azzardo). Se, da una parte, chiacchierando con loro, abbiamo potuto toccare con mano l’amore tradito, dall’altra, abbiamo intravisto la speranza di poter riprendere in mano e ricostruire la propria vita per farne qualcosa di bello. È la stessa sensazione che abbiamo avuto uscendo dalla Comunità Cenacolo di suor Elvira dove abbiamo ascoltato altre storie di giovani vite disastrate da disagio e droga, ma che Cristo, tramite la preghiera, l’ascolto della sua Parola e la vita comunitaria, ha ricostruito dando loro senso. La preghiera insieme, al mattino e alla sera, raccoglieva i diversi vissuti dei ragazzi costituendo una sorta di filo conduttore dell’esperienza. Infine, l’ultimo ambito nel quale i ragazzi si sono sperimentati, è stato lo sport, con le «Olimpiadi allamaniane» giocate nell’oratorio «La Stella» di Rivoli. Queste, insieme agli altri momenti di gioco e di svago, come la giornata in piscina e il semplice stare insieme, hanno rafforzato il legame tra i ragazzi al punto che diversi hanno chiesto di poter allungare l’esperienza. In attesa di rivederci l’anno prossimo, ci auguriamo di continuare durante l’anno a fare un bel cammino di fede e di crescita umana e spirituale, al calore del fuoco dei missionari della Consolata e alla scuola di Gesù e del nostro caro Giuseppe Allamano.
Nicholas Muthoka
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Milaico, cellulare zero
Cinque giorni nella casa Milaico di Nervesa della Battaglia (Tv): un campo per quattordicenni in cerca di amicizia e condivisione (senza
telefonino).
Ogni estate porta con sé spensieratezza e libertà e, qui a Milaico, casa dei missionari della Consolata a Nervesa della Battaglia (Tv), è tempo di campi per i ragazzi, di amicizia e condivisione.
Tra i diversi campi dell’estate scorsa vi raccontiamo quello dei quattordicenni che, a metà luglio, si sono ritrovati a Milaico per vivere cinque giorni insieme, senza telefonino, ma con tanta condivisione. Speranza e tenerezza sono stati i fili conduttori di questa esperienza.
Svegliarsi presto la mattina per raccogliere la lavanda che profumava di gioia è stato meno difficile facendolo insieme, così come fare la pizza, cibo fondamentale per rallegrare poi una cena in compagnia, preparare il gelato all’anguria e poi assaggiarlo rinfrescando così un caldo pomeriggio, giocare e mettersi in gioco per vedere quale squadra avrebbe vinto il torneo del campo. E, perché no, anche preparare tavole e lavare piatti è stato bello e ci ha fatto capire che, se si fa assieme, è meglio e costa meno fatica.
Ah, che strana la vita senza telefonino! Ti accorgi che si può parlare, si può ridere, si può scherzare guardandosi negli occhi. Le storie di Instagram, che durano un tempo piccolissimo, durante il campo diventano esperienze che, indelebili, rimarranno nei ricordi del cuore. Quel cuore che si fa prendere, anche se non vuoi, dalla tenerezza di chi incontri, dalla spensieratezza dei giovani che danno tutto, perché sanno che vale la pena vivere al meglio ogni istante di vita. È con questo cuore che alla sera sul prato, guardando le stelle, ringrazi Dio del tempo passato assieme. Pregando tutti insieme ti accorgi che è ancora più bello lodare il Signore per quello che ogni giorno ci dà.
Fa caldo qua a Nervesa a luglio e, dunque, non può mancare la camminata verso il fiume Piave. Qua non ti ferma nessuno, se hai il costume devi buttarti dentro. L’acqua è gelida, ma l’adrenalina dei tuffi dalle rocce fa sì che l’acqua sembri addirittura calda.
Durante i cinque giorni di campo a Milaico ci si diverte assieme, si ride, ci si ascolta e si ha la possibilità di sentire testimonianze di vita. Hai la fortuna di ascoltare il racconto di un profugo che, arrivato dalla Siria, ti dice quello che la tv non ha il coraggio di dirti, che prega il suo Dio per la sua famiglia rimasta in quella terra martoriata e che spera tanto sia ancora viva. Che tenerezza sentire poi un padre che racconta di come è difficile, ma stupendo, essere genitore, con gli alti e bassi che la vita sa regalare, e che si emoziona dicendo che i regali più belli dei figli sono gli abbracci che sanno dargli.
Cinque giorni di vita comunitaria nei quali si dorme, si mangia, si lavora e si prega assieme, possono sembrare pochi, ma sono sicuramente sufficienti per iniziare a capire che sono i piccoli gesti quotidiani che arricchiscono il cuore, la mente e il corpo di felicità.
Il venerdì, ultimo giorno di campo, si celebra la Santa Messa di fine esperienza. Arrivano i genitori, i fratelli e anche i nonni. Tutti assieme si canta, si prega, si loda Dio per le risate e il duro lavoro fatto. Un’ultima cena e poi gli abbracci finali durante i quali le lacrime coprono il viso, facendoti capire di essere diventato una piccola parte nel cuore degli altri. Sono lacrime che dicono arrivederci, e non addio.
Oggi a Nervesa fa freddo, nel Piave non ci si tuffa, ma l’estate prima o poi ritorna e ritorneranno gli amici del campo e ne vedremo ancora delle belle.
Riccardo Carlet
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Dal punto di vista alla vista del punto: Gesù
Sei verbi per 18 ragazzi di Martina Franca (Ta) dagli 11 ai 14 anni. Sei giorni di campo per sperimentare amicizia, condivisione, allegria e soprattutto il capovolgimento di prospettiva su di sé e su Gesù.
«Giocati tutto, scopri la tua libertà, quella che è dentro noi, gioca il tuo cuore e ad ogni passo arriveremo in fondo… in fondo al cuore». Questo è il ritornello che i ragazzi del gruppo Arcobaleno 1 del Centro di animazione missionaria di Martina Franca (Ta) hanno intonato durante la settimana dal 29 luglio al 5 agosto a Ceglie Messapica (Br).
Ci piace definirci una grande famiglia, d’altronde cos’è una famiglia se non un insieme di persone che condividono uno spazio e sono legate da una serie di valori? Certo, magari la nostra non è una di quelle tradizionali, eppure noi sentiamo ugualmente di appartenere a una famiglia, quella della Consolata, e come ogni famiglia che si rispetti, anche noi abbiamo un padre che ci guida, Gesù. È proprio grazie al suo amore incondizionato che quest’anno abbiamo sentito il bisogno di uscire dai nostri schemi, dal nostro punto di vista e adottare una prospettiva più ampia cercando di compiere un capovolgimento, passando dal nostro punto di vista alla «vista del punto», cioè Gesù.
Per farlo ci siamo «connessi» con Lui durante la settimana di campo intitolato «www.suGesù».
I protagonisti di questa avventura sono stati 18 ragazzi dagli 11 ai 14 anni che si sono impegnati nella riscoperta di alcuni valori. Per agevolare il capovolgimento di cui parlavamo sopra, abbiamo analizzato alcuni verbi, ogni gorno un verbo diverso, cercando di toglierci i nostri «occhiali» per indossarne altri, il più possibile simili a quelli di Gesù.
Attraverso il primo verbo, «sfidare», abbiamo imparato a prendere una posizione in quanto cristiani e, in un certo senso, ad accettare la sfida di «mordere la vita» e superare le paure. Il secondo verbo, «ricercare», ci ha invitato a creare un dialogo intimo con Gesù e a lasciarci guidare dalla Sua Verità. Grazie al terzo verbo, «rischiare», abbiamo preso consapevolezza dei nostri talenti e della necessità di metterli a disposizione dell’altro, pur rischiando di fallire. Con il verbo «annunciare» abbiamo appreso cosa vuol dire evangelizzare, andando nelle periferie sia fisiche che esistenziali. Mediante il verbo «cambiare» abbiamo affrontato le difficoltà che sorgono quando vogliamo portare cambiamento e miglioramento nelle nostre vite. Infine il protagonista della giornata del sabato è stato il verbo «testimoniare», cioè la comunicazione degli insegnamenti di Gesù attraverso il modo di vivere.
È stato molto interessante notare come, nonostante si conoscessero già questi concetti, indossando gli occhiali di Gesù, essi cambiassero, assumendo un significato più profondo.
La settimana è stata vissuta all’insegna dell’amicizia, della condivisione di esperienze e di emozioni, di giochi, ma soprattutto all’insegna di Gesù.
Mariana Sersale
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Giovani IMC
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