Padre Mario Barbero, nato nel 1939, è stato a Roma durante il Concilio, poi in Kenya, negli Usa, in Congo RD, in Sudafrica e ora di nuovo in Italia. Formatore di seminaristi, ha sempre amato lavorare con le famiglie tramite l’esperienza del Marriage Encounter (Incontro Matrimoniale).
«Sono padre Mario Barbero, classe 1939, originario della “provincia granda”, della diocesi di Fossano, quinto di sei figli, tre dei quali missionari della Consolata (“poca fantasia”, dice mio fratello, padre Masino). Ho fatto la professione religiosa nello scorso millennio (1959) e sono stato ordinato nel 1965, appena terminato il Concilio Vaticano II».
Perché hai deciso di diventare missionario e, soprattutto, perché della Consolata?
«Per contagio familiare. Mio fratello Antonio, che era 11 anni più grande di me, era entrato tra i missionari della Consolata e quando veniva in vacanza portava la rivista Missioni Consolata e parlava dei missionari. Io amavo leggere e un giorno, mentre leggevo un libretto intitolato Dal mio diario di missione, mi son detto “voglio anch’io diventare missionario e andare in Africa”. Quella decisione è rimasta con me (anche qui, poca fantasia: ho mai pensato di fare altro). Finite le elementari, sono entrato in seminario dai missionari della Consolata. Sono stati anni belli, con molti compagni di viaggio. Un bel gruppo, lungo il cammino, ha preso altre strade, ma un altro bel gruppo (54) è arrivato alla professione il 2 ottobre 1959 a Certosa Pesio».
Qual è stata la tua prima destinazione?
«Inaspettata è arrivata la destinazione a Roma per gli studi di filosofia, teologia e specializzazione in sacra Scrittura. Ho trascorso dieci anni magnifici a Roma. Erano gli anni di papa Giovanni e di Paolo VI (ho visto la fumata della sua elezione il 21 giugno 1963) e del Concilio. Un’esperienza stupenda vissuta nella nostra piccola comunità a cinque minuti da san Pietro (dalla nostra terrazza si vede la finestra del Papa).
Durante il Concilio (1962-1965), una decina di vescovi missionari risiedevano a casa nostra e ogni giorno ci “aggiornavano” su quanto succedeva nelle riunioni in san Pietro. Ho avuto la grazia di vedere nascere i 16 documenti del Concilio, di vedere vescovi dei cinque continenti nelle strade di Roma, di scoprire una Chiesa universale, una Chiesa “popolo di Dio”, tutta chiamata a essere missionaria. Era “la nuova primavera”, “l’aria fresca” che entrava nella Chiesa».
Dopo la Roma del Concilio dove sei stato?
Ordinato nel dicembre del 1965, pochi anni dopo, nel 1969, ho iniziato la mia missione: non era in Africa, ma a Torino, come insegnante e formatore dei nostri seminaristi. Erano gli anni “turbolenti” del post Concilio, si sentiva l’aria del 1968 anche nei seminari. Per me si trattava di passare dalla teoria alla pratica, dalla poesia (la Roma del Concilio) alla prosa (il periodo di contestazioni postconciliari), dal sogno (andare in un villaggio africano) alla realtà (giovani seminaristi in Italia), dallo studio all’insegnamento. Non è stato facile ma è stato arricchente. Ho scoperto che anche nel seminario potevo essere missionario, che l’impegno di studio e di insegnamento mi apriva spazi di incontro con gruppi, parrocchie, possibilità di accompagnamento spirituale di persone le più diverse: seminaristi, persone consacrate, laici, famiglie».
E l’Africa che sognavi da ragazzo?
«Poi è arrivato il tempo anche per l’Africa. Destinazione Kenya (1976-1988): dodici anni pieni di scoperte. Ho iniziato come insegnante di Bibbia in tre seminari a Nairobi. La chiesa in Kenya era in espansione per numero di battesimi e anche di vocazioni sacerdotali e religiose. Ho vissuto questa realtà dapprima dall’osservatorio del seminario della Consolata e insegnando anche nel seminario nazionale St. Thomas Aquinas. In seguito, come superiore regionale (1982-87), sono stato a più diretto contatto col lavoro dei miei confratelli. In quegli anni si è aperta la nostra presenza in Uganda (1985), si è iniziata la nostra rivista missionaria “The Seed”, e si è pianificato e costruito, assieme ad altre congregazioni, il centro di teologia per i religiosi: Theological Center for Religious (Tcr). Lo avevamo pianificato per 250 posti (e ci sembrava grande). Inaugurato nel 1987, adesso si chiama Tangaza e ospita 1.500 studenti.
Naturalmente la crescita del numero dei cristiani e dei seminaristi era un segno consolante, ma anche fonte di preoccupazione e impegno per il grande lavoro di accompagnamento da fare».
È stato in Kenya che hai scoperto il movimento di Incontro Matrimoniale?
«È atata una sorpresa epocale per me! Nell’ottobre del 1978 sono stato invitato a Nairobi a partecipare a un weekend del Marriage Encounter (Incontro Matrimoniale), organizzato per coppie di sposi, preti e consacrati. Un weekend meraviglioso nel quale tre coppie e un prete davano testimonianze sulla vita quotidiana in famiglia o in comunità, e nel quale gli sposi e i preti partecipanti avevano tempo di riflettere e dialogare. La cosa più bella che ho scoperto in quel weekend è stata la sinergia tra sposi e consacrati, la forza del lavoro in team. La presenza del prete dà autorevolezza alle coppie e l’esperienza delle coppie dà autenticità alle parole del prete.
Questa esperienza ha aperto per me “un’autostrada” missionaria che ha poi riempito il seguito della mia vita: il lavoro (ma è lavoro o ricarica?) con le famiglie, prima in Kenya, poi in Usa, Congo, Sud Africa e Italia. Dopo quel weekend ho accettato l’invito a lavorare per consolidare l’esperienza di Incontro Matrimoniale in Kenya e ho sognato: “Come sarebbe bello se anche nel mio Piemonte vivessero questa esperienza”».
E dopo i dodici anni di Kenya cosa hai fatto?
«Alla fine del 1987 un’altra sorpresa: la destinazione agli Stati Uniti d’America. Sono stato sei anni vicino a New York come superiore regionale dei nostri missionari in Usa e Canada, e poi altri sei anni a Washington D.C. come superiore del nostro seminario. Trovandomi in mezzo a giovani missionari studenti mi è venuta l’ispirazione di riprendere gli studi anche io, e mi sono iscritto alla Cua (Catholic University of America) per un dottorato in sacra Scrittura. Il titolo della mia tesi era “La coppia missionaria Priscilla ed Aquila, collaboratori di san Paolo”.
Negli Usa sono venuto a contatto con una chiesa viva, organizzata, che lascia grande spazio al senso di responsabilità dei laici. La nostra attività come missionari della Consolata era soprattutto l’animazione missionaria, tener viva la dimensione missionaria della Chiesa. Naturalmente anche in quegli anni ho lavorato nel Marriage Encounter conoscendo migliaia di coppie».
Sei più tornato in Africa?
«Nel 2001 ho ricevuto una nuova destinazione all’Africa, una specie di “homecoming” (ritorno a casa), ma non in Kenya, bensì in Congo RD dove aveva lavorato mio fratello Antonio. Dopo alcuni mesi a Parigi per rinfrescare il francese, sono arrivato a Kinshasa nel nostro seminario di teologia. Lì, per cinque anni, ho insegnato Bibbia nel teologato Mazenod, a seminaristi di varie congregazioni. Kinshasa, una città immensa, era appena uscita dalla guerra e se ne vedevano ancora le tracce nelle strade disastrate e nella miseria della gente. In quegli anni ho visto grande vitalità, coraggio e fede nelle comunità cristiane. Anche lì ho continuato col Marriage Encounter.
Dopo una breve e indimenticabile presenza in Sud Africa, dal 2008 sono in Italia, prima a Bedizzole (Brescia), a adesso nella nostra comunità di Rivoli (Torino), con impegni di animazione missionaria e servizi pastorali. Ovviamente anche in Italia ho continuato a lavorare con le famiglie, nei vari programmi di Incontro Matrimoniale».
Puoi raccontare un episodio significativo della tua vita missionaria?
La visita dei miei genitori in Kenya nel maggio 1977. Ero in Kenya da poco più di un anno e i miei genitori, con uno dei miei fratelli, con il parroco e un’amica, sono arrivati a Nairobi. Mia mamma aveva 77 anni, mio papà 81. Erano mai saliti in aereo. Per l’occasione, padre Masino è arrivato dal Tanzania e padre Antonio dallo Zaire (ora Condo RD, ndr), e per due settimane abbiamo visitato varie missioni del Kenya. Per i nostri genitori che, in pochi anni, avevano visto tre dei loro figli partire per l’Africa: Antonio in Zaire (1972), Masino in Tanzania (1974), io in Kenya (1976), è stata una gioia grande vedere dal vivo la realtà della Chiesa in Africa e incontrare tante persone che ci volevano bene ed erano loro riconoscenti per averci lasciati partire.
Un altro ricordo significativo è il momento in cui, nel 1988, un gruppo di sposi si sono riuniti per salutarmi prima della mia partenza per gli Usa. Un signore mi ha detto: “Sai padre Mario che non ci siamo mai accorti che tu eri bianco”? Al che io risposi: “Ed io non mi sono accorto che voi siete neri”. Infatti il dono più bello ricevuto, come missionario della Consolata, è stato quello di sentirmi a casa, in famiglia, sia in Africa che in Usa, e adesso in Italia. Questo dono l’ho ricevuto anzitutto dalla mia comunità missionaria della Consolata e poi dall’esperienza di Incontro Matrimoniale che mi ha aperto le case di migliaia di famiglie».
Quali sono, secondo te, le grandi sfide della missione del futuro?
«Mi è difficile dire agli altri cosa dovremmo fare e mi sento a disagio di fronte a piani generali o complessi. Ridurrei tutto a questo:
1- evangelizzare, cioè dire/testimoniare a ognuno: “Tu sei amato da Dio nel Signore Gesù” (parole di san Francesco in Eloi Leclerc, La saggezza del povero),
2- ispirarci al beato Allamano: spiritualità mariana nella vicinanza alle persone (e in questo l’attenzione alle famiglie trova il suo posto). Lo stile dell’Allamano (semplicità, umiltà, ascolto) dovrebbe guidarci nell’essere evangelizzatori.
Puoi suggerirci uno slogan da proporre ai giovani che frequentano i nostri centri missionari. Che slogan proporresti, e perché?
«”Fiorisci dove sei piantato”. Questo consiglio di un mio padre spirituale mi ha accompagnato in tutti questi anni e mi ha stimolato a trovare, ovunque sia destinato, gli ingredienti (acqua e concime!) per fiorire. Alla domanda “qual è il posto che ti è piaciuto di più?” non posso che rispondere: “Questo, dove mi trovo adesso”».
di Luca Lorusso
Leggilo, scaricalo, stampalo da MC maggio 2018 sfogliabile.
Luca Lorusso
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