«Un prete colombiano in un oratorio Italiano». Si definisce così padre Dawinso Licona Sierra, nato a Cartagena de Indias, Colombia, il 1/4/1986, secondo di tre fratelli maschi. Dopo gli studi a Roma si è fermato in Italia, a Galatina, provincia di Lecce.
Perché hai deciso di diventare missionario e, soprattutto, perché della Consolata?
Ho conosciuto i missionari e le missionarie della Consolata nella mia parrocchia di origine, San Geronimo de Pasacaballos. Una delle cose che sempre mi colpiva di loro era la capacità di mettere a vivere insieme persone diverse, e anche di diversi paesi. Ho avuto il dono di conoscere sacerdoti italiani, africani e molti dell’America Latina, continente che iniziava a dar frutto con diversi padri giovani.
Un altro motivo era la capacità dei missionari di avere relazioni umane con tutti, con anziani, adulti, bambini e di non lasciare nessuno fuori.
Oltre a guidare la mia parrocchia, i missionari accompagnavano altri villaggi, dove molte volte dovevano restare a dormire per la lontananza e le strade non molto buone. Io ho accompagnato molte volte i padri in quei giri e anche questo mi ha animato a diventare missionario. I missionari avevano una grande capacità di gestire una pastorale organica, nessuno considerava come proprio quello che si faceva.
Puoi raccontare la tua storia missionaria?
Ho iniziato il mio cammino all’età di 17 anni con la formazione. Avevo appena finito le scuole superiori. Il primo anno propedeutico nel 2004 l’ho fatto nella citta di Bucaramanga, Colombia. Lì eravamo 11 seminaristi.
Nel 2005 ho iniziato i due anni di filosofia a Medellin. Dopodiché ho vissuto l’anno di noviziato in Argentina, dove, il 29 dicembre del 2007, in 11 abbiamo fatto la prima professione religiosa: eravamo quattro Colombiani, quattro Brasiliani, due Argentini, un Venezuelano. Da lì ognuno ha ricevuto la sua destinazione per i tre anni di teologia. Io sono stato destinato a Roma.
Dal 2011 al 2012, ho vissuto l’anno di pastorale in Calabria, a Platì, dove ho vissuto un anno bello di contatto con la realtà italiana.
Dal 2012 al 2014 ho studiato la pastorale giovanile a Torino, e il 19 luglio del 2014 sono stato ordinato sacerdote nella mia parrocchia di origine. Adesso da due anni mi trovo nella parrocchia di Galatina, in Puglia, dove svolgo il mio ministero sacerdotale e dove mi dedico all’animazione missionaria, partendo dall’oratorio.
Puoi dire due parole sul paese in cui ti trovi oggi? Quali sono le sue sfide missionarie?
Dalla prospettiva della pastorale giovanile in Italia, una delle sfide che trovo è il difficile rapporto dei giovani con la fede, anche se dentro, loro cercano di dare una risposta a questo desiderio.
Un’altra sfida è quella di indicare ai nostri giovani e alle nostre comunità come vivere la missionarietà della Chiesa.
Che lavoro stai facendo oggi?
Sono viceparroco nella parrocchia Cuore Immacolato di Maria e mi dedico all’animazione missionaria giovanile: in poche parole sono un prete d’oratorio, dove spendo gran parte del tempo insieme ad alcuni giovani e bambini che lo frequentano tutti i giorni.
Qual è la difficoltà più grande che incontri? E quale la soddisfazione?
L’esperienza di un oratorio quotidiano nella nostra parrocchia è nuova, e una delle difficoltà che trovo è la mancanza di disponibilità degli adulti a condividere con i ragazzi. Noi adulti, in questa vita frenetica, non troviamo molte volte il tempo per stare con i più piccoli.
La grande soddisfazione è che i ragazzi possono venire tutti i giorni in oratorio a giocare, fare i compiti, parlare, scherzare, e sempre trovano un prete che li accoglie, gioca e scherza insieme a loro.
Cosa possiamo offrire al mondo come missionari della Consolata? Quali sono le ricchezze che possiamo condividere con gli altri?
Come missionari, possiamo offrire umanità, vicinanza, ascolto, in un mondo assetato.
Noi missionari, e quindi noi tutti cristiani, siamo chiamati a farci compagni di strada, specialmente con le persone deboli e sofferenti.
Cosa dovremmo fare, secondo te, per avere più impatto nel mondo giovanile?
Uscire dalle nostre sacrestie, dai nostri uffici, dalle nostre stanze e andare incontro ai giovani che ci aspettano.
Dedicare più tempo a loro, andare nelle scuole, creare alleanze con tutte le strutture che si dedicano alla formazione dei giovani.
E un’altra cosa da fare è smetterla di giudicarli e condannarli per tutto: hanno bisogno di guide e testimoni, non di persone che sanno solo condannarli.
Che frase, slogan, citazione proporresti ai giovani che si avvicinano ai nostri centri, e perché?
Con te, giovane che leggi questo racconto, condivido la frase che mi ha accompagnato fin da piccolo, quando andavo a pregare con le suore della Consolata nella mia parrocchia, e che, in parte, è causa della scelta di vita fatta oggi. È una frase del cantico di Zaccaria che preghiamo nelle lodi del mattino: «E tu, bambino, sarai chiamato profeta dell’Altissimo perché andrai innanzi al Signore a preparargli le strade».
Buon cammino.
Luca Lorusso
Luca Lorusso
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