«Che ne dici di venire a visitare Platì?». Con questa domanda rivoltami quest’estate durante la GMG è iniziata la mia curiosità per questa missione della Consolata in Italia. Così ho deciso di trascorrere il Natale con padre Daniel Lorunguya in Calabria. Dopo 15 ore di viaggio finalmente arrivo a Bovalino. Sono le 7 del mattino. Diluvio. Salgo sulla macchina con il padre e ci avviamo verso la strada che porta nel centro dell’Aspromonte per raggiungere la meta. Dopo qualche chilometro mi sono subito domandata se fossi ritornata in Tanzania. Strada allagata, con l’acqua che non scola, piena di fango e buche. Case non finite con i muri grezzi all’esterno. Ma dove mi trovo? C’è vita qui o ci sono solo i padri? Ecco la mia prima impressione su questo paesino di 3000 anime.
Fortunatamente i giorni seguenti è uscito il sole. Il verde delle colline piene di Ulivi e il mare in lontananza. Che spettacolo! Anche il paese si è rianimato. Bambini e ragazzi in giro in tre o quattro sui motorini senza casco. Adulti in macchina per le strette vie del paese che suonano in continuazione il clacson.
Anziane che vanno e vengono dalla chiesa e scambiano qualche parola in dialetto calabrese del quale non capisco nulla. Catechiste indaffarate a preparare il concerto di Natale dei bambini in chiesa. Finalmente incontro persone!
Persone e incontro sono le due parole che mi hanno accompagnata per una settimana. Non ho fatto nulla di straordinario, ma le cose di tutti i giorni. Al mattino commissioni ordinarie e pomeriggio tra la gente. Ogni famiglia ci invitava per il pranzo o per il caffè. Ho conosciuto più famiglie accoglienti in questo breve tempo che nei miei venti anni di Brianza.
Anche la vita dentro le case è totalmente differente. Le persone cambiano. Cercano di dimostrarti il loro affetto e si meravigliano del fatto che una ragazza di venti anni senza essere accompagnata dai genitori sia venuta da Milano apposta per visitare Platì.
Siamo in Italia, ma la cultura è completamente differente. Per le strade si vedono solo ragazzi maschi. Per incontrare le donne è necessario andare in casa loro o aspettare la Messa perché vengono in chiesa a cantare. La notte di Natale finalmente ho visto, dopo 5 giorni, ragazze della mia età. Ragazze già sposate con figli. Si perché se a Platì nasci donna la prima cosa che ti viene donata è la costruzione della casa a fianco a quella dei genitori, ci penserà poi il marito ad arredarla.
Ho visto alcune donne distrutte psicologicamente perché si ritrovano a crescere tre o quattro figli sole in quanto il marito è in carcere o a Milano per lavoro. Un paese criminalizzato completamente, non nego che vi sia la mafia, ma non è nemmeno giusto incolpare un paese intero per crimini che non hanno commesso tutti. In una settimana non posso certamente dire di avere compreso la mentalità, ma di una cosa sono sicura è uno dei pochi paesi in cui la gente vede lo Stato come nemico.
È una realtà molto difficile da vivere, piena di misteri complessi da comprendere per chi non è nato in quel luogo. La tradizione e la cultura dettano legge. Sembra di vivere in un romanzo di Verga. I padri gestiscono tre parrocchie. È una grande sfida. Cercare di portare una linea di pensiero differente, credo che il tesoro nascosto che i Platioti cercano sia la libertà. Libertà da una tradizione che schiaccia e dalla paura dello Stato. Libertà di non sentirsi soli e abbandonati. Solo mediante l’incontro e la conoscenza si può arrivare a costruire qualcosa di grande con queste persone. Non parlo di strutture, non è la classica missione del mattone africana in cui servono ospedali e scuole, certamente importanti. Platì cerca lo spirito missionario della relazione dell’accoglienza famigliare, autentica con l’Altro.
Di Ilaria Ravasi
Ilaria Ravasi
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