Luca più volte si dilunga a raccontare i gesti di perdono e di accoglienza di Gesu’.
«Scriba mansuetudinis Christi», scrittore della misericordia-tenerezza di Cristo: così Dante (Monarchia I 16) definisce l’autore del terzo Vangelo e degli Atti degli apostoli.
I racconti che fanno la poesia del natale sono di Luca. Suo è il ricordo più ampio e affettuoso di Maria di Nazaret e di tante donne che servono Gesù. Presenti solo in Luca sono la parabola del Padre misericordioso e del Buon samaritano, l’attenzione ai poveri, la vicenda del buon ladrone e dei discepoli di Emmaus.
Per il suo vangelo dell’infanzia, per le sue scene di perdono, per il clima di serenità e di gioia Luca è l’evangelista che ha più profondamente inspirato l’arte religiosa di tutti i tempi.
L’originalità di Luca si manifesta soprattutto nella parte centrale del Vangelo, nel viaggio di Gesù verso Gerusalemme, dove risalta l’insegnamento di Gesù attraverso una serie abbondantissima di parabole come quella del buon samaritano (Lc 10, 29-37), del figliol prodigo (15, 11-32), del ricco epulone (16, 19-31), del fariseo e del pubblicano (18, 9-14). Parabole che solo Luca riporta (18 delle sue 24 parabole non esistono negli altri Sinottici) e che evidenziano gli aspetti a lui più cari: la misericordiosa mansuetudine di Gesù, la sua benevolenza verso i pagani, la sua bontà accogliente verso i peccatori, la sua predilezione per i poveri e i piccoli che della buona novella sono i destinatari privilegiati. La predicazione di Gesù si apre, nel Vangelo di Luca, proprio rivolgendosi a loro: «Mi ha mandato a predicare ai poveri la buona novella» (Lc 4, 18).
Per Luca Gesù è il salvatore del mondo, colui che libera tutti gli uomini da ogni sorta di male. In Gesù, Dio visita il suo popolo e gli manifesta il suo amore. Tuttavia popolo di Dio non è solo il popolo ebreo, ma tutti i popoli. Luca non perde occasione per professare l’universalismo della salvezza, offerta specialmente a coloro che più ne hanno bisogno. Peculiare è la sua sottolineatura della destinazione universale della salvezza in Cristo. In questa direzione vanno le parole di Simeone (Lc 2, 29-32), la genealogia di Gesù fatta risalire fino ad Adamo (Lc 3,38), l’interesse di Gesù per i non ebrei, come il “samaritano” assunto a simbolo dell’amore cristiano (Lc 10,37), l’annunzio che “il perdono dei peccati e la conversione saranno predicati a tutte le genti" (Lc 24,47).
Luca più volte si dilunga a raccontare i gesti di perdono e di accoglienza di Gesù. È l’unico, ad esempio, a riportare l’episodio del buon ladrone, mostrando la misericordia di Gesù fino alla fine. È l’ultimo Suo gesto di perdono prima di spirare sulla croce. E quell’attimo, il solo attimo che è bastato al malfattore per “rubare” il cielo, Luca lo descrive con un’intensità che commuove: «“Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”. “In verità ti dico, oggi stesso sarai con me in paradiso”» (Lc 23, 42-43). È la stessa commovente intensità con la quale descrive l’episodio della peccatrice in casa del fariseo (Lc 7, 36-50). Gesù era a pranzo in casa di un fariseo e mentre erano lì a mangiare irrompe una nota prostituta che circonda di attenzioni Gesù: «Portava un vaso di alabastro pieno di unguento e, fermatasi alle spalle presso i suoi piedi, piangendo, cominciò con lacrime a bagnargli i piedi e li asciugava con i capelli, e gli copriva di baci i piedi e li ungeva con l’unguento». Attenzioni che provocano l’indignato rancore del fariseo.
È soprattutto nel narrare le parabole, i gesti di compassione e di misericordia di Gesù, che Luca mostra la sua qualità di scrittore di grande talento. Con brevi notazioni, con sfumature sottili, a volte con una sola parola riesce ad indicare la tensione drammatica di un’intera situazione e non mancano neppure tracce di linguaggio medico. Ma la sua delicatezza si esprime soprattutto quando avvicina la persona di Gesù. Di lui ci suggerisce gli sguardi, le emozioni, i gesti umanissimi, le sofferenze nascoste. Luca è l’unico che riferisce del sudore di sangue di Gesù in quella notte di agonia nel Getsemani (Lc 22, 43-44) e di quel pianto, di quei «singhiozzi», quella sera sull’altura degli ulivi a Gerusalemme (Lc 19, 41-44), di fronte allo splendore del tempio al tramonto, presagendo la distruzione della Sua città.
Giovanni ci ha mostrato Gesù commuoversi fino alle lacrime per la morte dell’amico Lazzaro (Gv 11, 35-38), Luca è il pittore della sua tenerezza, come nell’episodio della donna curva da tanti anni al punto che non poteva più raddrizzarsi (Lc 13, 10-17). È Gesù a prendere l’iniziativa. Nessuno, neppure la donna, gli aveva richiesto niente. Stava insegnando nella sinagoga: la vede e, chiamatala vicino a sé, la guarisce. E quel giorno, quando, entrando nella città di Nain, si imbatte in un corteo funebre e viene a sapere che il morto è il figlio unico di una madre vedova (Lc 7, 11-17). Gesù vede tra la folla quella madre portare al sepolcro l’unico suo figlio. «Vedendola» scrive Luca «ne prova compassione». Allora le si avvicina, e piano le dice: «Donna, non piangere». Un atto di tenerezza è il suo primo gesto, poi le restituirà il figlio vivo.
Mario Barbero
di Mario Barbero
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