Quattordici giovani, un percorso a tappe, e tanti, tantissimi cerotti.
Alla partenza eravamo degli sconosciuti, persone di età e provenienza diverse, pescate un po’ a caso dalle mani di padre Ermanno Savarino (missionario della Consolata) e catapultate nella valle Reatina per trascorrere nove giorni insieme. Cosa avevamo in comune? Tutti alla ricerca di qualcosa.
È iniziato così il nostro pellegrinaggio dell’estate scorsa: con molta voglia di partire, di scoprire e di mettersi in gioco.
Prima tappa: Rieti. Giunti in auto siamo stati accolti da alcune simpaticissime suore per riposare prima di iniziare il cammino. Dopo una bella dormita, infatti, sveglia all’alba e… partenza.
Con lo stretto indispensabile sulle spalle: uno zaino, un sacco a pelo, acqua e tanta frutta secca, abbiamo cominciato, un passo alla volta, il nostro pellegrinaggio sulle orme di San Francesco. A testimoniare i traguardi raggiunti, il preziosissimo «passaporto del pellegrino», sul quale annotavamo i vari luoghi visitati. Ogni timbro, una conquista: Fonte Colombo, Greccio, Poggio Bustone, la comunità del Mondo X, le querce di Tara. Ogni luogo racchiudeva in sé qualcosa, come un’essenza, una sorta di magia che lo rendeva unico.
La fatica, fedelissima compagna di viaggio, veniva lenita dai paesaggi, dalle storie ascoltate, dalle risate, dai volti incontrati. Bastava un goccio d’acqua offerta da gentili sconosciuti, una parola di incoraggiamento dai compagni di viaggio, un sorriso di un passante. Le persone che ci hanno ospitati per la notte, ma anche tutti coloro che abbiamo incrociato durante il tragitto, sono stati una risorsa importante. Da tutti abbiamo imparato qualcosa. Possiamo ritenerci fortunati.
Tra un «non ce la faccio più» e un «mangia un po’di frutta secca che ti da energia», siamo riusciti a compiere l’intero itinerario che avevamo stabilito nella valle Reatina. Ognuno con le proprie gambe, ma con il sostegno di tutti.
In seguito ci siamo diretti in Umbria (in macchina), ad Assisi, patria del grande Santo, imbattendoci in fiumi di persone venute da tutto il mondo. Ma nemmeno la confusione, la massa di rumorosi turisti e il caldo soffocante riuscivano a cancellare la pace e l’armonia che oramai abitavano e si rafforzavano dentro di noi. Perché Assisi è così, e chi ci è stato lo può confermare: ti affascina, ti cattura, e con la sua aura spirituale ti inghiottisce.
Da questa esperienza siamo tornati cambiati. Non ce ne siamo accorti subito, perché il cambiamento è stato profondo. Non abbiamo solamente camminato a piedi verso una tappa, abbiamo camminato ciascuno dentro di sé. Ecco perché il viaggio diventa metafora della vita. Qualcuno, durante il cammino, ci ha impiantato nel cuore un seme, piccolo e silenzioso, che senza grandi pretese aspetta paziente. Quel seme è la fatica, il silenzio – protagonista ufficiale dell’avventura -, la condivisione, la gioia dello stare insieme. Il seme ci è stato seminato dentro, ora sta a noi, tornati a casa, ai nostri impegni, alle nostre vite, riuscire a farlo fiorire.
Paola Bassan
di Paola Bassan
Paola Bassan
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